mercoledì 12 ottobre 2016

Musica in Movimento: Green Day - Insomniac

I Green Day sono un gruppo rock tra i più conosciuti degli ultimi 20 anni, autori di canzoni e album di grande successo commerciale. Famosi come i più importanti esportatori del pop-punk americano esploso nella metà degli anni '90, hanno alternato lavori di ottimo riscontro ad altri di minor impatto, passando da musiche più dure ad altre fin troppo orecchiabili. 

La loro esplosione avvenne nel 1994 con "Dookie", trascinato dai singoli "Basket Case" e "When I Comes Around", ma se devo scegliere un album da consigliare, mi butto si "Insomniac", del '95, meno curato, più grezzo, forse meno immediato, ma decisamente più adatto da ascoltare durante un'attività intensa di poco più di mezz'ora, tant'è che ancora oggi non lo disprezzo durante alcune uscite o esercizi in casa.

La batteria di Tré Cool apre le danze di "Armatage Shanks", pezzo tirato il giusto per iniziare con energia. Segue "Brat", meno di due minuti dove accordi semplici e melodia vanno a braccetto con un semplice arrangiamento di chitarra, basso e batteria. L'altrettanto tirata "Stuck With Me" continua sulla stessa falsariga. "Geek Stink Breath" concede una sorta di pausa, almeno in termini di velocità, mostrando meglio la vena più pessimista e oscura della band, in leggera crisi esistenziale dopo il successo planetario di "Dookie". 

Ancora in chiave power-pop è "No Pride", con Billie Joe Armstrong che disegna sempre ottime melodie vocali sopra una base musicale che appare leggermente ripetitiva. Su riff tagliati (e taglienti) si basa "Bab's Uvula Who?", altri due minuti vivaci senza pause. Semplicità rock/punk in "86", con un leggero taglio malinconico nel testo. Il basso di Mike Dirnt lancia la lunga volata di "Panic Song", nata presumibilmente da una session-jam, che dopo 2' di introduzione al fulmicotone, lascia una scia di deliri esistenziali nel testo e nel cantato. 

"Stuart And The Ave." mette ancora in mostra la capacità melodica di Billie Joe, sempre sulla solita base musicale fatta di pochi accordi e stessa tonalità. "Brain Stew" appare come l'unico momento di respiro, costruito su un semplice riff stoppato e un testo nelle cui righe si può perfettamente leggere l'insonnia del gruppo ai quei tempi. Immediatamente attaccata è "Jaded", un minuto e mezzo tiratissimo che rilancia il nostro ritmo. In questo lavoro senza la minima concessione ad assoli o arrangiamenti, le orecchie sembrano abituarsi allo stesso suono, per cui in dirittura finale si intravede un po' di stanchezza: "Westbound Sign" e "Tight Wad Hill" non donano più nulla di nuovo dal punto di vista musicale, lasciando spazio solo a ritmo ed energia. La conclusiva "Walking Contradiction" sembra mettere l'accento finale a questo lavoro semplice, immediato, e secondo me il più trascurato e sminuito della storia gruppo californiano.

Un album onesto, e come ho scritto, molto sottovalutato, nonostante la non grande innovazione musicale, e che può essere davvero utile per accompagnare un'attività sportiva.

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