mercoledì 19 ottobre 2016

Musica in Movimento: Bob Dylan - Bringing It All Back Home

Vogliamo anche noi rendere omaggio a Bob Dylan dopo il suo recente incoronamento al Nobel per la letteratura? Certo che vogliamo! E bando subito alle critiche al suo premio: innanzitutto, al Nobel si dà fin troppa importanza, ed è abbastanza risaputa la capacità dell'Accademia svedese di sviare e fare scelte "particolari" (soprattutto nella letteratura), ma che i testi di Bob Dylan siano degni del più alto riconoscimento, è indubbio.

Riguardo alla sua musica, non è stato semplice scegliere un album da consigliare apprezzabile durante lo sport. I primi album troppo folk, semplice chitarra e voce, gli ultimi hanno richiami troppo classici, niente di memorabile; giusto mentre avevo deciso di dedicare l'articolo a "Highway 51 Revisited", il primo interamente elettrico, quello della svolta dichiarata del vecchio menestrello, quello di "Like A Rolling Stone", ecco che ho pensato al perfetto album da consigliare per chi si avvicinasse al grande Robert Allan Zimmermann (vero nome del cantautore), ossia "Bringing It All Back Home", del 1965: diviso in due parti, una elettrica e una acustica, racchiude perfettamente le prime delle molte anime di Dylan.


Si apre subito con il folk-rock di "Subterrean Homesick Blues", quasi un anticipo punk-rap, data la impressionante capacità di sputare parole e rime con naturalezza disarmante sopra una base semplicissima e incalzante. "She Belongs to Me" è una ballata più classica, ma da ritmi e melodie mai melense. 

Con "Maggie's Farm" si riprende vigore, col testo irriverente e rabbioso sopra un impianto sonoro che non ha tentennamenti. Malinconica la melodia di "Love Minus Zero (No Limits)", altra ballata non lenta che non permette troppo respiro. Ed ecco che si ritorna con velocità e ritmo in "Outlaw Blues" e "On the Road Again" blues-rock ancora irriverenti e senza lasciare fiato, così come "Bob Dylan's 115th Dream", sei minuti di versi sputati senza pause. 

Si arriva così alla seconda parte acustica, aperta dall'immortale "Mr. Tambourine Man", e seguita dall'altro pregevole "Gates of Eden". I ritmi non scendono troppo, e diventano quasi incontenibili con i 7' di versi e rime senza contegno e pause di "It's Alright, Ma (I'm Only Bleeding)", amara e disillusa. Il folk classico di "It's All Over Now, Baby Blue" chiude quest'album da leggenda.

Se poi, fuori dal contesto sportivo - verso cui è dedicato questo articolo - vi farete una lettura dei testi (magari ben tradotti) di questo album, capirete del perché del Nobel a questo genio inarrivabile e irripetibile.

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