lunedì 17 ottobre 2016

Dialogo col campione: Massimiliano Mondello

Massimiliano Mondello con i suoi 34 titoli assoluti è stato il giocatore italiano di tennistavolo più titolato di tutti i tempi.
Ha vinto 10 titoli italiani individuali assoluti, 8 nel doppio maschile, 5 nel doppio misto, 11 scudetti nella seria A1. 
Massimiliano Mondello, a livello internazionale, è stato medaglia d'argento di doppio con Lorenzo Nannoni ai Giochi del Mediterraneo del 1993; ha raggiunto con la Nazionale italiana il terzo posto nei Campionati mondiali del 2000 a Kuala Lumpur, risultato più prestigioso mai raggiunto dall'Italia nel tennistavolo. A squadre ha raggiunto 2 finali e 2 semifinali di Coppa Campioni.








Ciao, per iniziare vorrei chiederti se secondo te esistono delle doti mentali che caratterizzano il buon giocatore di tennis tavolo. Cosa ne pensi?

Secondo me, nel tennis tavolo, come in tutti le discipline, ci deve essere il giusto approccio allo sport professionistico. Fare sport a livello amatoriale e a livello professionistico sono due cose molto diverse.
Quando giochi a livello professionistico devi essere pronto a gestire momenti di alta tensione. In campionati europei, mondiali e Pro Tour la testa diventa un fattore molto importante. Conta per il 70/80%, a mio parere, nel tennis tavolo.
Ciò che fa la differenza nel mondo professionistico è proprio la testa e il saper avere il giusto approccio allo sport e alla vita professionistica. Se non riesci a stare concentrato e non sei capace di reggere stress intensi o a lungo termine troverai molte difficoltà nel professionismo. La tecnica può essere migliorata e modificata, ma non basta.
Puoi fare un buon torneo, ma se non hai la testa non riuscirai ad avere la giusta continuità per farne 10 di fila. La continuità è un ingrediente importante per diventare un giocatore di alto livello.

Esistono aspetti mentali che differenziano i più forti giocatori al mondo da giocatori buoni?

Come dicevo prima l'aspetto, secondo me, cruciale è il saper mantenere la concentrazione su un arco temporale di lungo termine.
Ci sono diversi giocatori capaci di fare un buon torneo, mentre il campione è capace di giocare bene per tutto l'anno. Il campione sa andare sempre avanti, sa vincere sempre. La concentrazione del campione è alta in ogni match ed è per questo che riesce a portare a casa spesso buoni risultati.

Esistono dei pensieri o dei tranelli mentali che possono danneggiare questa continuità di concentrazione?

Certamente. Un atleta può trovare in ogni momento dei tranelli, sia nella vita quotidiana come nello sport. Quando giocavo mi accorgevo che c'erano momenti in cui, non riuscendo ad esprimere il mio gioco, andavo in confusione. Andavo in tilt.
E' in momenti come questi che devi essere bravo, devi saper reagire, riuscendo comunque a portare a casa risultati importanti. Per questo motivo ti dico che secondo me la testa è così importante nello sport.
A livelli alti puoi anche essere un fenomeno, ma se non hai una buona testa a supportarti, non diventerai mai un gran giocatore.

Mi raccontavi che ti è capitato di andare in tilt, perchè non riuscivi ad esprimere il tuo gioco. Come si gestisce durante un match una situazione simile?

Credo ogni atleta abbia un suo modo particolare di reagire. Io quando giocavo male o ero in un periodo in cui non riuscivo ad esprimere il mio gioco, cercavo di colmare quel gap con la grinta. Iniziavo a urlare come un pazzo, cercavo di mettere gli attributi sul tavolo. Colmavo le mie difficoltà con l'aggressività sportiva.
Conosco giocatori che quando vanno in tilt non riesci a smuoverli nemmeno con le “cannonate”. Per mesi e mesi si piangono addosso, senza riuscire a rialzarsi. Io, avendo un carattere forte, riuscivo a uscire dalla negatività con la grinta, gli attributi e l'aggressività sportiva.

Una curiosità. Sei così anche nella vita quotidiana o solo nello sport?

Io sono un ragazzo allegro e vivace, con un temperamento forte. Anche nella mia accademia cerco sempre di associare lavoro duro al sorriso. Non mi piace essere nervoso coi bambini in palestra. Voglio che i bambini crescano con il lavoro duro, ma anche sapendosi divertire.

Da insegnante, quali credi siano i tratti che fanno capire che un bambino è predisposto per il tennis tavolo?

Si nota subito quando un ragazzino è portato. Ha già un gioco e non vuole perdere. A Cagliari c'era un ragazzino che qualsiasi sport facesse, anche biglie, voleva vincere, già si vedeva che aveva la mentalità vincente. Non a caso oggi è in nazionale e sta giocando molto bene.
Quando ti accorgi che un ragazzino è portato devi cercare di farlo esprimere in tutti i modi possibili a livello tecnico. Fin da piccoli si nota chi ha la mentalità vincente e chi meno, seppure con il lavoro si può andare a colmare questi aspetti. Io anche se un ragazzino non è portato per lo sport, cerco comunque di insegnargli tutto quello che posso insegnargli.

Secondo te un giocatore che non ha questa mentalità vincente può comunque emergere nel tennis tavolo?

Si e no. Credo che per raggiungere obiettivi alti, come mondiali, olimpiadi ed europei, la mentalità vincente sia un requisito essenziale.
Per obiettivi meno sfidanti, di livello nazionale o regionale, anche un giocatore senza mentalità vincente può trovare il suo spazio. Se non hai la mentalità giusta puoi diventare un buon giocatore, ti è però precluso l'accesso a livelli alti.

Una curiosità.... ti è mai capitato di provare la paura di vincere in partita?

Si e posso farti un esempio. In un Pro Tour in Italia avevo 2 match point a favore contro Wladimir Samsonov, giocatore bielorusso in quel periodo tra i primi 3 al mondo e più forte giocatore europeo.
Me lo ricordo ancora come se fosse ieri. Mi sono bloccato fisicamente e mentalmente. Speravo che lui sbagliasse il colpo o commettesse un errore, ma a quei livelli purtroppo non si sbaglia.
Se penso a quella partita provo ancora fastidio. Poteva essere un tassello importante nella mia carriera sportiva. Certo non avevo 7 match point, ne avevo 2, ma comunque ho perso. Quella volta ho avuto paura di perdere, ma lo sport va così.

Se dovessi dare un consiglio a un tuo allievo per gestire un momento come quello che tu hai vissuto, che consiglio daresti?

Io so come ci si sente in quei momenti ed è dura, vedi tutto buio. Posso dirgli di spostare la mente dalla paura, di non pensarci troppo e di provare a divertirsi, ma è difficile! Sai non saprei cosa dirgli perchè in quei momenti è veramente dura!

Ti è capitato spesso di provare paura di vincere?

No, sono stato un giocatore dal temperamento allegro, con una certa cattiveria agonistica e a parte la partita con Samsonov non ho mai avuto paura di vincere. Sono stato un giocatore che non ha mai avuto paura di niente e di nessuno. Non mi incutevano timore il pubblico, il posto o gli avversari.

Se pensi alla tua carriera sportiva fin da quando eri ragazzino, c'è una frase detta da un genitore, un famigliare, un allenatore, che senti ti abbia caratterizzato come giocatore?

Da piccolo, un mio ex allenatore mi chiamava mano di pietra. Giocavo talmente duro che la palla diventava pesante. Avevo un gioco “ignorante”. Essere chiamato mano di pietra mi dava carica, mi infondeva fiducia.
Questo allenatore, Patrizio Deniso, attuale allenatore della nazionale, me lo ripeteva ogni giorno ed ho proprio il ricordo di come mi caricava sentirgliela pronunciare.

Quanti anni avevi in quel periodo?

Diciamo dagli 11 ai 22/23 anni.

Quindi tu eri mano di pietra...

Si al centro federale di Fiuggi mi chiamavano “l'Enfant Terrible, mano di pietra”. Ero piccolo e molto magro, ma quando giocavo facevo male. Il mio gioco era pesante e ignorante.

In che modo questa ignoranza sportiva ti aiutava durante i match?

Non avevo paura degli avversari, come del pubblico. Anche se c'erano 500 persone a guardarmi giocare, non sentivo la pressione. Avere un'ignoranza sportiva mi ha aiutato a prendere di petto gli avversari. Andavo, giocavo e vincevo.

Ci sono state delle situazioni in cui secondo te ti ha svantaggiato?

No, perchè è sempre stata un'ignoranza sportiva positiva. Sono un ragazzo fondamentalmente buono.

C'è qualcosa che non ti ho chiesto che ti piacerebbe raccontarmi?

Ho iniziato questo sport da piccolo e l'ho sempre affrontato con grande passione. La cosa che insegno ai “miei piccolini” è di divertirsi, che il resto accade da sè. Se hai talento, quando ti diverti, esce sicuramente. Se cresci divertendoti, ma anche pensando che un domani vorrai fare un qualcosa, questa secondo me è la mentalità giusta.
Da allenatore devi avere la capacità di stimolare i ragazzi facendoli divertire, senza esagerare con il “tu devi”. Se poi ti accorgi che c'è un atleta particolarmente talentuoso, allora lo fai lavorare tecnicamente su tutti gli aspetti che possono essere affrontati in una palestra.
Un'ultima cosa importante è la costanza. Un atleta non si può allenare solo una volta a settimana. Ha bisogno di essere costante se vuole ottenere dei risultati.

Stai sottolineando l'importanza del divertimento. Per te lo sport è sempre stato un divertimento o ci sono stati momenti in cui per te è stato prevalentemente un lavoro?

Quando giocavo e giravo con la nazionale, io mi divertivo! Fare sport non equivale ad andare in miniera. Fare sport ti permette di viaggiare in tutte le parti del mondo e ti fa conoscere persone sempre differenti. Ho potuto conoscere con i miei occhi cose che non avrei scoperto nemmeno studiando.
Io mi sono sempre divertito e credo di non aver mai considerato il tennis tavolo come un lavoro. Certamente ho avuto l'occasione di guadagnare e di mandare così avanti la mia vita, ma credo che il lavoro, nel vero senso del termine, sia un'altra cosa.

Un momento difficile durante la tua crescita sportiva?


Io vivevo in Calabria e a 11 anni mi sono dovuto trasferire a Fiuggi. Se pensi che un ragazzino a 11 si deve trasferire a 700 km dalla propria famiglia, capisci quanto sia dura. Mi ricordo che per me è stata durissima. 

4 commenti:

  1. Grazie di cuore per queste lezioni.
    Un campione in tutti i sensi, saluti Max

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    1. Hai ragione, è stata un'intervista molto interessante ed arricchente :)

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  2. Parole da vero campione! Lo sport insegna molto, è proprio vero, soprattutto perché ti mette in situazioni difficili da cui si esce fuori soltanto con la grinta. Tutte le attività che richiedono sacrificio fanno si che alla fine un individuo conosca se stesso e diventi migliore, più forte, più potente, più vivo.
    Alfredo

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