mercoledì 11 novembre 2020

Giù le mani da Nibali!

Dopo l'ultimo Giro d'Italia non si sono più contati ormai gli attacchi a Vincenzo Nibali da parte di pseudo tifosi, che di ciclismo sanno probabilmente poco, oppure, se proprio conoscitori del mondo dei pedali, hanno metri di giudizio tutti particolari. In un mondo dove ognuno può dire la propria, c’è anche questo.

Nell’ultimo Giro d’Italia Nibali non è andato come ci si poteva forse aspettare, e come si aspettava lui stesso. Quello che spesso i criticoni non capiscono è che il primo deluso per prestazioni non positive è l’atleta stesso. Le prime buone tappe con arrivi in salita avevano forse illuso. Il 7° posto finale si tratta della sua peggiore prestazione in un grande giro, tra quelli in cui ha puntato dichiaratamente alla classifica generale e non alle sole tappe. Ma è stato davvero un tale disastro l’anno di Nibali? È davvero così clamorosamente in fase calante? In un anno così particolare e con le gare ciclistiche racchiuse in pochi mesi, ha comunque raccolto un 6° posto al Giro di Lombardia, una buona prestazione al Mondiale di Imola (prima con la fuga insieme a Van Aert, poi rimanendo fuori dal gruppo che si è giocato il podio per aver ceduto a poche centinaia di metri dallo scollinamento, pochi secondi che avrebbero potuto farlo rimanere nel gruppo dei migliori e far decisamente cambiare il destino della gara e il giudizio sulla sua prova), e infine un Giro d’Italia corso generosamente, cercando di resistere il più possibile agli alti ritmi che i giovani rampanti tenevano davanti.
Ma da quando sarebbe così in calo il buon Vincenzo? Nel 2019, solo lo scorso anno quindi, è arrivato al 2° posto nel Giro vinto dall’ecuadoregno Richard Carapaz, dimostrando quest’anno, tra il Tour e soprattutto la Vuelta chiusa al 2° posto per una manciata di secondi, di non essere una meteora, e davanti allo sloveno Primoz Roglic, ovvero quello che al momento è il più forte corridore da corse a tappe, che dalla vittoria dello scorso anno alla Vuelta ha raccolto una sfilza impressionante di successi (tra la doppietta in Spagna, oltre alla Liegi-Bastogne-Liegi e un mondiale concluso al 6° posto giocandosi il podio nella volata finale), con la sola “macchia” del Tour perso alla penultima tappa. Al Tour dello scorso anno Nibali, pur andato forzato dal suo team, ha tentato più volte la fuga per una vittoria di tappa, successo raggiunto nella penultima frazione, cortissima a seguito di una modifica del percorso a causa di una frana, e proprio per questo corsa a ritmi altissimi e coi migliori a dare tutto fino all’ultima goccia di energia.
Il problema è che Nibali ha abituato tutti troppo bene nei precedenti anni, facendo credere di essere un fenomeno assoluto. E fenomeno lo è, senz’altro, ma la sua grandezza è stata quella di aver raccolto il massimo dalle sue possibilità, spesso inventando (come alla Sanremo del 2018), vincendo senza alcuna discussione (i 2 Lombardia), provandoci anche quando la giornata non era la migliore (come in tante altre occasioni, tra Sanremo, Lombardia e Mondiali, o alla sua unica apparizione al Fiandre sempre di due anni fa), puntando alle tappe quando la forma non permetteva di lottare per la classifica generale, facendo quasi mai apparizioni anonime. Senza contare anche della sfortuna che lo ha tolto dai giochi sul più bello alle Olimpiadi di Rio del 2016, o la caduta al Tour del 2018 quando sull’Alpe d’Huez sembrava in grado di poter fare la differenza, e il cui infortunio ha poi condizionato il resto della stagione e il Mondiale di fine anno a Innsbruck, probabilmente il più adatto a lui. E senza contare le sconfitte “controverse”, come la Liegi persa all’ultimo chilometro da Iglinskij, unica vittoria di prestigio del corridore kazako poi entrato al centro di problemi di doping e per questo ritiratosi molto presto, o la Vuelta del 2013 persa nei confronti dell’americano Horner, 41enne ai tempi, diventato quasi improvvisamente un fenomeno a quell’età. O il mondiale di Firenze sempre di quell’anno, vinto dal portoghese Rui Costa e dove Nibali, stretto nella morsa dei due spagnoli, non riuscì per poco a concretizzare la sua superiorità in salita.
Ma la sfortuna lo ha colpito persino nella vittoria, come nel Tour dominato del 2014, una vittoria a volte considerata di mezzo valore a causa del ritiro dei due principali antagonisti, Chris Froome e Alberto Contador, anche se sono in molti - compreso me - a credere che quello fu il miglior Nibali di sempre e che avrebbe potuto ugualmente vincere. Proprio in quegli anni, tra 2012 e 2014, fu probabilmente il suo periodo migliore. Ma non che dopo abbia fatto schifo! L’incredibile recupero del Giro del 2016 nelle ultime 2 tappe fu qualcosa di clamoroso, senza contare gli altri podi nelle corse a tappe (il 3° posto del Giro a 40” da Dumoulin e il 2° della Vuelta, entrambi nel 2017).
Un corridore così, capace di vincere i 3 Grandi Giri e 2 Classiche Monumento, con una sfilza incredibile di podi e di top ten sempre in queste corse, è una rarità assoluta nella storia del ciclismo e che bisogna tenersi stretta, evitando di criticarla per risultati minori rispetto alle attese.

Il problema è la solita ricerca, spesso tutta italiana, di fare paragoni col passato (e il passato, nel ciclismo, ora si chiama Marco Pantani), pensando che un atleta sia degno di essere chiamato campione tale solo dominando per anni senza sconfitte, o che un ciclista debba diventare leggenda solo con fughe epiche, senza accettare il cambiamento dei tempi e magari un ciclismo più pulito di anni decenni fa. A proposito, anche il fatto di essere stato sempre lontano da chiacchiere e dubbi sul suo conto non è cosa irrilevante per mostrare la grandezza di un ciclista che non si è mai risparmiato e che mancherà molto, quando smetterà.

(Articolo a cura di Stefano Ruzza, ultratrailrunner, trail coach e amante dello sport)