mercoledì 26 ottobre 2016

Musica in movimento: Godspeed You Black Emperor! - Lift Your Skinny Fists Like Antennas To Heaven!

Passiamo stavolta ad una musica poco conosciuta, un gruppo non facente parte del main stream, ma fondamentale soprattutto nel passaggio a cavallo dei due millenni: parliamo dei canadesi Godspeed You Black Emperor! e del loro album "Lift Your Skinny Fists Like Antennas To Heaven!", uscito proprio nel 2000. Spesso accostati al neo-progressive - o al post-rock - hanno invece sempre dimostrato di essere indipendenti da qualsiasi etichettatura, fedeli al loro modo di essere e suonare totalmente anarchico.

L'album - doppio - è lungo un'ora e mezza, adattissimo per lunghi allenamenti in solitaria, soprattutto se accompagnato anche dal resto della discografia. Si tratta di musica fondamentalmente strumentale, con pochi sprazzi qua e là di voci e dialoghi di fondo, ma mai vere melodie vocali. Quattro lunghe suite che permettono di entrare in stati quasi ipnotici. Nonostante la lunghezza non esiste noia e non esistono ripetizioni. Una selva sonora intensa e senza pause.

Si apre con "Storm", pezzo lungo 22': i primi 6' sono un crescendo che fanno già capire la maestosità dell'impianto sonoro, tra chitarre e violini (il gruppo è composto da una decina di elementi, divisi appunto tra una classica impostazione di formazione rock e accompagnamento orchestrale), e si prosegue ancora con 4' atmosferici che si innestano in un'altra progressione post-rock; verso metà del pezzo arriva la tempesta, cambia la tonalità, cambia l'umore, ma non l'intensità; negli ultimi 5' ecco invece il suono scomparire, lasciando spazio a voci, rumori di fondo, il ronzio della vita moderna, e poi di nuovo pianoforte e suoni inquietanti, con in sottofondo una voce distorta. Tutte le incongruenze del nuovo millennio.

Anche il secondo pezzo, "Static", è lungo 22'. Si apre con dissonanze, suoni, altri ronzii di fondo, altre voci, e poi un violino malinconico e dal sapore gotico; dopo 7' parte la "vera" canzone, sotto un arpeggio di chitarra (o violino pizzicato?) e archi che si rincorrono, e all'undicesimo minuto ecco di nuovo la parte più rock, con chitarre distorte (Efrim Menuck e Mike Moya), basso (Mauro Pezzente, il "leader" del gruppo), e un crescendo al limite del noise; gli ultimi 5' sono nuovamente un insieme di suoni inquietanti e atmosfere oscure.

La seconda parte del lavoro si apre con "Sleep", 23'. Voci, chitarre e violini, e un lento crescendo, stavolta su un tema centrale più chiaro e ricorrente, che dopo 8' diventa una vera cavalcata con la batteria a tenere il ritmo altissimo; il suono si affievolisce e la chitarra distorta lascia spazio alla seconda parte della canzone, una nuova progressione che termine solo a fine brano.

Il quarto e ultimo pezzo è "Antennas to Heaven", 19'. Si apre con un breve sbilenco brano country, e poi nuovi rumori di fondo, un gioco di xilofoni ed echi, una filastrocca infantile, chitarra e violino che duettano, e d'improvviso, dopo 5', un'esplosione rock, un solo minuto intenso, che lascia spazio nuovamente a un sottofondo oscuro; come dopo ogni intermezzo rumoristico o inquietante, sembra rinascere la speranza e la bellezza con la musica; gli ultimi 4' sono invece costituiti ancora una volta da suoni, non si capisce se celestiali o diabolici, o piuttosto appartenenti ad un limbo imprecisato. Di sicuro, questa ora e mezza di musica è perfetta rappresentante degli anni 2000.

Un album che sarà destinato a rimanere negli anni. Non avrà mai successo commerciale, ma la sua qualità artistica e significativa verrà certamente riconosciuta anche tra molto tempo.

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