Le mani davanti al viso, la destra vicinissima agli occhi,
aperta, come un mirino, mentre la sinistra si allontana verso il cielo, a
simulare la canna di un fucile.
Guardarsi attorno e vedere lo stadio olimpico ammutolito, i tifosi della Roma
attoniti, i visi tirati in un misto di odio e ammirazione, mentre i compagni
gli correvano incontro. Chivu, Sneijder, Van Der Vaart, Ibrahimovic, una
generazione irripetibile per l’Ajax che, in una notte d’autunno, conquistò l’Olimpico.
Era il 2002, Andy Van Der Meyde aveva 23 anni ed era considerato uno dei
talenti più puri che il calcio olandese avesse sfornato negli ultimi 20 anni.
La precisione al cross, il dribbling ubriacante, la velocità di un giovane nel
fiore dei suoi anni, così forte da non potersi non innamorare di lui.
Nella terra di Van Gogh lo idolatrano, l’Europa gli mette gli occhi addosso, l’Inter
lo compra per regalare il pezzo pregiato al suo allenatore, Hector Cuper, l’hombre
vertical argentino, che faceva del gioco sulle fasce il punto nevralgico della
sua tattica.
Estate 2003, il mercato che i nerazzurri ricorderanno come quello dei 4
esterni. 4 talenti, 4 storie diverse, 4 acquisti che non lasciarono il segno
alla scala del calcio.
Fadiga: laterale sinistro di spinta
senegalese, arrivato come l’uomo che avrebbe cambiato il volto dell’Inter, con
il suo controllo sopraffino e la fisicità di un colosso. Buoni preamboli e poco
altro. Nemmeno il tempo di allenarsi che, durante le visite mediche, gli viene
riscontrato un problema cardiaco. Carriera quasi terminata.
Luciano: Ei fu Eriberto, acquistato
dal Chievo Verona sulle ali dell’entusiasmo, tra le ali del Chievo dei miracoli
di Luigi Del Neri, negli anni in cui anche Thomas Manfredini sembrava Cristiano
Ronaldo. Comprato Eriberto, all’Inter si presenta Luciano, lo stesso uomo, ma 3
anni più vecchio (‘invecchiato’ di tre anni in un giorno in seguito alla
scoperta del suo furto d’identità) e infinitamente più scarso. San Siro, dove i
tifosi sono molto esigenti, lo boccia al minuto 7 della prima giornata, quando
svirgola il primo cross.
Kily Gonzales: l’uomo di Cuper, l’esterno
ultra trentenne desiderato e voluto, all’Inter donò qualche anno d’impegno e…
Qualche anno d’impegno.
Il quarto colpo era Andy, il giovane
olandese che faceva girare la testa all’Europa.
Dall’Ajax all’Inter, passando per lo stadio Olimpico. Sembrava l’inizio di una
lunga storia d’amore.
Highbury è costretta a inchinarsi al suo genio in una notte di metà settembre,
quando l’Inter di Cuper dominò gli inglesi infliggendogli un sonoro 0-3, con l’olandese
protagonista di un goal meraviglioso: Kily crossa dalla sinistra, Sol Campbell
l’allontana verso l’esterno, dove Van der Meyde arriva al volo con mezzo
esterno destro in salto. La palla alle spalle di Seamen, il cecchino diventa
idolo.
Cuper è portato in trionfo, Andy è il suo uomo.
I sogni svaniscono all’alba, Andy si sciolse durante le notti della movida
milanese. La distruzione dell’Io.
Cuper prima lo aspetta, poi lo umilia. In un derby contro il Milan lo
sostituisce prima della mezz’ora, segnando la fine del suo talento.
In nerazzurro ha giocato due stagioni, collezionando a malapena 32 presenze in
serie A.
L’Everton, però, crede ancora in lui. 4 anni a Liverpool, 20 presenze. Un
disastro, un enigma con il numero 7 sulle spalle. Il peso di un super
stipendio, la fama improvvisa e le compagnie sbagliate. Una maglia nerazzurra
addosso, se fosse stato brasiliano l’avremmo chiamato Adriano.
Alcol e donne, cammelli in giardino e cocaina, l’abisso dell’anima nera che s’impadroniva
delle sue luci, portandolo ai margini delle società e della società. Andy ha
perso tutto, anche se stesso.
‘Nessuna pietà’, la sua autobiografia choc ne sfuma i colori senza alcun
filtro, se non il seppia del tempo che passa, affievolendo i ricordi, ma non attenuando il
dolore.
Andy Van der Meyde, la fragilità di un talento di cristallo.
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