martedì 11 ottobre 2016

Andy Van de Meyde, la fragilità di un talento di cristallo

Le mani davanti al viso, la destra vicinissima agli occhi, aperta, come un mirino, mentre la sinistra si allontana verso il cielo, a simulare la canna di un fucile.
Guardarsi attorno e vedere lo stadio olimpico ammutolito, i tifosi della Roma attoniti, i visi tirati in un misto di odio e ammirazione, mentre i compagni gli correvano incontro. Chivu, Sneijder, Van Der Vaart, Ibrahimovic, una generazione irripetibile per l’Ajax che, in una notte d’autunno, conquistò l’Olimpico.


Era il 2002, Andy Van Der Meyde aveva 23 anni ed era considerato uno dei talenti più puri che il calcio olandese avesse sfornato negli ultimi 20 anni. La precisione al cross, il dribbling ubriacante, la velocità di un giovane nel fiore dei suoi anni, così forte da non potersi non innamorare di lui. 
Nella terra di Van Gogh lo idolatrano, l’Europa gli mette gli occhi addosso, l’Inter lo compra per regalare il pezzo pregiato al suo allenatore, Hector Cuper, l’hombre vertical argentino, che faceva del gioco sulle fasce il punto nevralgico della sua tattica.

Estate 2003, il mercato che i nerazzurri ricorderanno come quello dei 4 esterni. 4 talenti, 4 storie diverse, 4 acquisti che non lasciarono il segno alla scala del calcio.
Fadiga: laterale sinistro di spinta senegalese, arrivato come l’uomo che avrebbe cambiato il volto dell’Inter, con il suo controllo sopraffino e la fisicità di un colosso. Buoni preamboli e poco altro. Nemmeno il tempo di allenarsi che, durante le visite mediche, gli viene riscontrato un problema cardiaco. Carriera quasi terminata.
Luciano: Ei fu Eriberto, acquistato dal Chievo Verona sulle ali dell’entusiasmo, tra le ali del Chievo dei miracoli di Luigi Del Neri, negli anni in cui anche Thomas Manfredini sembrava Cristiano Ronaldo. Comprato Eriberto, all’Inter si presenta Luciano, lo stesso uomo, ma 3 anni più vecchio (‘invecchiato’ di tre anni in un giorno in seguito alla scoperta del suo furto d’identità) e infinitamente più scarso. San Siro, dove i tifosi sono molto esigenti, lo boccia al minuto 7 della prima giornata, quando svirgola il primo cross.
Kily Gonzales: l’uomo di Cuper, l’esterno ultra trentenne desiderato e voluto, all’Inter donò qualche anno d’impegno e… Qualche anno d’impegno.
Il quarto colpo era Andy, il giovane olandese che faceva girare la testa all’Europa. 
Dall’Ajax all’Inter, passando per lo stadio Olimpico. Sembrava l’inizio di una lunga storia d’amore.
Highbury è costretta a inchinarsi al suo genio in una notte di metà settembre, quando l’Inter di Cuper dominò gli inglesi infliggendogli un sonoro 0-3, con l’olandese protagonista di un goal meraviglioso: Kily crossa dalla sinistra, Sol Campbell l’allontana verso l’esterno, dove Van der Meyde arriva al volo con mezzo esterno destro in salto. La palla alle spalle di Seamen, il cecchino diventa idolo.

Cuper è portato in trionfo, Andy è il suo uomo. 
I sogni svaniscono all’alba, Andy si sciolse durante le notti della movida milanese. La distruzione dell’Io.
Cuper prima lo aspetta, poi lo umilia. In un derby contro il Milan lo sostituisce prima della mezz’ora, segnando la fine del suo talento. 
In nerazzurro ha giocato due stagioni, collezionando a malapena 32 presenze in serie A. 
L’Everton, però, crede ancora in lui. 4 anni a Liverpool, 20 presenze. Un disastro, un enigma con il numero 7 sulle spalle. Il peso di un super stipendio, la fama improvvisa e le compagnie sbagliate. Una maglia nerazzurra addosso, se fosse stato brasiliano l’avremmo chiamato Adriano.

Alcol e donne, cammelli in giardino e cocaina, l’abisso dell’anima nera che s’impadroniva delle sue luci, portandolo ai margini delle società e della società. Andy ha perso tutto, anche se stesso.
‘Nessuna pietà’, la sua autobiografia choc ne sfuma i colori senza alcun filtro, se non il seppia del tempo che passa, affievolendo i ricordi, ma non attenuando il dolore.
Andy Van der Meyde, la fragilità di un talento di cristallo.


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