martedì 25 ottobre 2016

Cadel Evans in 4 atti

La faccia da bravo ragazzo, quello sguardo cupo di chi corre con la forza di un guerriero e la sensibilità di un poeta, superando ogni limite con il coraggio di non arrendersi.
Cadel Evans in 4 atti.


30 Maggio 2002: il crollo.
La maglia rosa sulle spalle, il gruppo che scappa, Savoldelli che corre verso la vittoria del Giro. 
Salire a ‘zig zag’, l’ultima risorsa di chi ha già dato l’anima su quella maledetta bicicletta. Il 'falco'  vola, Evans atterra al suolo pesantemente. Da primo a quattordicesimo, dal successo alla sconfitta in una crisi di fame. Sull’ascesa verso Folgaria, il 25enne ex biker perde 15’ e la possibilità di vincere il Giro, dopo essere sembrato il più forte fino a quel momento. Scalare un sogno.
Il 2002 è l’anno della rivelazione, non basta un crollo a nasconderne il talento.
Evans riparte, la Telekom lo vuole. La squadra tedesca ingaggia due dei tre protagonisti del Giro d’Italia 2002, l’australiano sconfitto e l’italiano vincitore (il terzo protagonista era Tyler Hamilton, che ha affrontato l’intera corsa rosa con una frattura alla clavicola, ma questa, come direbbe Federico Buffa, è un’altra storia). 2003 e 2004. Due stagioni, due corridori, lo stesso destino. Nessun lampo, solo infortuni. 






28 Luglio 2007: a 23” dal sogno.
Il Tour de France aveva vissuto un ennesimo anno all’insegna del doping e degli scandali. Micheal Rasmussen, maglia gialla e favorito, era stato allontanato dalla sua squadra per non aver comunicato con precisione i suoi spostamenti. Polemiche, l’opinione pubblica spaccata e un vuoto di ‘potere’ nella rosa dei favoriti del post Armstrong. Il giovane Contador, il regolarista Leipheimer, il talentuoso Valverde e il ‘vincitore’ del 2006 Pereiro. Una polveriera in attesa di un’esplosione. 
L’ultima cronometro avrebbe deciso tutto. 
Contador con un vantaggio di 1’50” su Evans. 55 km per la resa dei conti. Leipheimer vola e domina la prova contro il tempo, ma era troppo lontano in classifica per poter impensierire gli altri. Evans da tutto, ma non basta.
Contador vince il suo primo Tour de France. Per l’australiano l’amara sconfitta. A 30 anni le occasioni iniziano a essere sempre meno.
La fortuna di Evans non cambia, il 2008 riserva la stessa amara delusione. Stessa cronometro, stessa distanza, ma questa volta Cadel non vola. Chiude settimo, troppo lontano. Troppo stanco. Il secondo posto in classifica sembra una resa. 
Puntare sulle corse di un giorno o giocarsi tutto per andare a caccia della chimera in giallo?




27 Settembre 2009: Rinascita o chiusura?
A Mendrisio, in Svizzera, tutti gli occhi erano puntati su Fabian Cancellara. La ‘Locomotiva di Berna’ era il favorito d’obbligo e, quasi per tutta la corsa, riesce a tenere il gruppo compatto. Quasi. Nel finale Rodriguez, Kolobnev ed Evans attaccano, prendono margine e sull’ultima salita Cadel lancia la sua offensiva finale. Uno scatto, un progressione, il tutto per tutto. 13” di vantaggio allo scollinamento, un finale in solitaria a cambiare il trend di una carriera da ‘eterno secondo’.
Finalmente vincente, ma non ancora soddisfatto.



23 Luglio 2011: Felicità.

Gli occhi fissi davanti a se. Il cuore che batte forte, nonostante la bradicardia da atleta. Contador è già partito, Voeckler pure. Il Tour è stato stranissimo. Basso all’ultima chiamata, Contador stanco dopo il dominio al Giro d’Italia, i fratelli Schleck al top della forma, ma troppo legati tra di loro per permettere a uno dei due di prendere un vantaggio decisivo in classifica. Cadel Evans sempre lì, attaccato ai primi, dopo anni di crisi, mentre Voeckler rischia di far saltare il banco con una fuga bidone, come nel 2004. Le salite non danno un verdetto definitivo, Andy Schleck è più forte, ma non concretizza la sua superiorità, mentre Ivan Basso non riesce a trovare il colpo vincente dopo delle progressioni importanti.
Un clima teso e senza acuti porta la carovana alla 20esima tappa. 
42 km contro il tempo. Ancora una volta il giudice, la giuria e il giustiziere sarà il cronometro.
Già due volte l’australiano era partito da favorito all’ultimo appello e aveva fallito. L’aria tesa, l’ultima occasione della carriera, a 34 anni, per poter mettere il sigillo e coronare IL sogno.
Evans parte, stacca la testa dagli altri e dai loro risultati. Si concentra sul suo respiro, su ogni singola pedalata di dolore. Gli Schleck si sciolgono, Contador è lontano. Cadel vola, ancora una volta. Verso il traguardo, verso l’apoteosi. 
Così veloce da impensierire Tony Martin, così forte da abbattere ogni resistenza.
L’arrivo sul traguardo è commovente. Le lacrime di chi non si è mai arreso. Contro la sfortuna e contro avversari più forti. La tenacia contro i colossi. L’oro addosso.
Vincere il Tour a 34 anni, salire sul podio al Giro a 36.


Evans non è stato il corridore più forte della sua generazione.
Non è stato il più forte in salita, non è stato il più bravo a cronometro, non è stato il più rapido in volata. 
E’ stato solo se stesso, semplicemente Cadel. 
L’uomo che ha messo in gioco tutto per il suo sogno e ha avuto il coraggio di non arrendersi mai.  


'Io, per principio, non mi ritiro. Io, sulla bici, piuttosto ci muoio. Non è proprio così, è solo un modo di dire, ma è la passione della mia vita. Se parto, voglio sempre arrivare. Meglio primo. Ma piuttosto ultimo.'

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