lunedì 26 settembre 2016

Dialogo col campione - Marco Zanchi

Marco Zanchi è un runner specializzato nei Trail e nelle ultradistanze.

Marco Zanchi sta vivendo una stagione agonistica eccezionale, coronata dalle prestazioni alla Lavaredo Ultra Trail e all'Ultra Trail du Mont Blanc.

Attualmente Marco Zanchi è in sesta posizione nell'Ultra Trail World Tour Rankings, oltre ad essere primo italiano in classifica






Dal punto di vista mentale credi ci siano delle caratteristiche che differenziano l'ultratrailer elite dal normale amatore? Se si quali?

Secondo me, no. Gli aspetti mentali, la capacità di resistere alla fatica e la motivazione credo siano indipendenti dalla velocità con cui un atleta conclude una gara. Questi elementi ognuno va a cercali dentro di sé. Non importa che tu sia un top runner, un elite o un tapascione.
A livello mentale credo che l'impegno richiesto da una gara sia sempre il medesimo e così vale anche per la capacità di reagire in situazioni delicate. Anzi, secondo me è più frequente che molli di testa un atleta d'elite quando percepisce di non essere in grado di competere con i propri rivali. Queste condizioni rendono più fragile l'atleta elite. Un amatore ha come unico scopo terminare la gara e il suo rivale è il traguardo e questo, forse, lo rende più forte.

In questa situazione, quando un atleta/rivale con cui sei solito battagliare ti sorpassa, tu come sei solito comportarti?

Quando un atleta che normalmente batto, mi supera o lo vedo davanti a me, non mi lascio influenzare. Normalmente mi calibro sulle mie capacità e i miei riferimenti.
Parto tranquillo, senza lasciarmi prendere dal ritmo elevato della prima parte di gara. Questo vale in tutte le competizioni ed in particolare negli eventi internazionali. So che in queste gare si procede per esclusione e vince quindi chi regge fino alla fine.

Dal punto di vista fisico/atletico in questi anni sei migliorato molto, credi di essere cresciuto anche sotto l'aspetto mentale?

Credo di essere diventato più “saggio”, riesco a gestirmi meglio senza lasciarmi prendere dall'entusiasmo della partenza e dei primi km. Ho imparato a saper aspettare il momento giusto per iniziare a spingere e per attaccare. In passato facendo gare più corte, sulle 2/3 ore, era una sorta di sprint, in cui ero consapevole che la fatica mentale sarebbe durata “poco”.
Da quando ho iniziato a praticare ultradistanze, in cui sono impegnato anche per più di 24 ore, ho imparato che un'eventuale crisi può essere gestita e, in un certo senso, sono pronto ad affrontarla, perchè me l'aspetto. Praticando ultradistanze oltre ad allenare la parte fisica, ho allenato di conseguenza anche l'aspetto mentale.

I percorsi di Trail prevedono tracciati in continuo mutamento. Si susseguono salite, discese, pianure, falsopiani, fondo irregolare, ghiaia, terra, rocce, ecc. Un atleta ha quindi la necessità di essere flessibile e adattabile. Credi si possa coltivare la flessibilità e l'adattabilità anche sotto l'aspetto mentale?

Fortunatamente il trail ha un continuo susseguirsi di cambiamenti di terreno. Non so se riuscirei a tenere dal punto di vista mentale in una 24 ore su strada o su un anello in pista.
L'ambiente e il suo mutare è un elemento molto importante per me, che uso spesso a mio favore in gara. Passare dalla montagna, dai ghiaioni, al bosco, mi aiutano a non soffermarmi sulla distanza che manca al traguardo.
I cambiamenti di percorso sono inoltre importanti per recuperare. Essendo muscolarmente portato per le discese, e non soffrendole, sono per me un terreno nel quale recuperare le energie. La discesa mi diverte anche molto e questo è un aiuto ulteriore.
Un atleta che viene dal mondo della strada, rispetto a un atleta che come me è nato tra le montagne, credo possa trovare delle difficoltà in un ambiente in continuo mutamento. Da quando ho iniziato a correre mi sono sempre allenato in ambienti variegati, che sono per me un ambiente naturale.

Se dovessi dare un suggerimento ad un atleta che arriva dalla strada e si appresta ad affrontare un trail, quale consiglio daresti?

Ho diversi amici che arrivando dalla strada hanno iniziato a praticare off-road e gare in montagna. In molti di loro ho visto una certa tendenza ad arrendersi, perchè troppo abituati al cronometro e a dipendere dal ritmo imposto dal cronometro.
Questi continui cambiamenti di percorsi, salita, discesa, ghiaioni, sterrati e cambi di velocità, veloce, lento, finivano per scombussolarli. Loro, da sempre abituati, a impostare i loro allenamenti e le loro gare ad una certa velocità e a un certo ritmo, non riescono ad accettare che se stai camminando in salita non è detto che stai andando più piano di quello che corre. Non riuscendo a mantenere dei ritmi costanti, imposti loro dal cronometro, finivano quindi per arrendersi.
Anche io uso il cronometro, ma unicamente per l'abitudine di controllare la distanza percorsa. Raramente guardo il cronometro per valutazioni e confronti con prestazioni passate o auspicate, cosa che accede invece spesso ad atleti che hanno un background legato alla corsa su strada. Agli amici che praticano trail per le prime volte consiglierei di lasciare a casa l'orologio.

Per diventare un buon Trailer credi sia più produttivo dedicare la completezza del proprio tempo allo sport o diversificare?

Assolutamente meglio diversificare. Io l'ho sempre fatto, perchè frequentare sempre gli stessi posti, percorre sempre gli stessi percorsi, cercare di migliorare sempre il proprio tempo, alla fine ti logora e ti nausea.
Ho preparato una maratona per un anno e il dirigermi sempre verso la stessa pista ciclabile per allenarmi mi nauseava. Un consiglio che posso dare è di alternare la corsa a piacevoli camminate in montagna, con la fidanzata, o praticando anche altri sport. Seppure non gareggiando, pratico sci alpinismo, arrampicata, mountain bike. Diversificare ti permette di riposare, staccando soprattutto di testa.

Abbiamo notato che in alcune gare molto lunghe usi le cuffie con la musica. Cosa ascolti? Preferisci musica che ti dia la carica o qualcosa che ti rilassi? Oppure alterni diversi generi?

Solitamente la uso in gare sopra i 70/80 km. Ascolto musica, innanzitutto perchè mi piace. La ascolto di giorno anche quando lavoro o sono in auto.
In gara mi aiuta a distendermi, soprattutto nei tratti in cui non è necessaria una grande attenzione. Quando l'ascolto la mia mente viaggia e si allontana. Inizio a pensare a tantissime cose relative a vita quotidiana, passata o a programmi futuri. Associare panorami splendidi a buona musica, mi aiuta a viaggiare e rende le gare non soltanto viaggi fisici, ma anche viaggi mentali.
Nel mio Ipod sono contenute principalmente musiche con un buon ritmo, anche se è molto variabile. Passo dall'Estate di Vivaldi, alla Dj Parade che ascoltavo quando ero un ragazzino di 14 anni. Scegliendo una sequenza random passo da Vasco Rossi, che mi carica, a Vivaldi, producendo così un cambiamento repentino. Non ho un genere predefinito, ci sono musiche di film, musiche connesse a momenti particolari della mia vita che mi spingono a cantare durante la gara.
Alla Lavaredo Ultra Trail procedevo nella notte con un concorrente francese, mentre cantavo Vasco Rossi. Lui mi guardava, forse domandandosi se fossi pazzo, ma questi momenti mi aiutano a svagarmi e a viaggiare anche con la testa.

La discesa nel trail fa molta differenza tra gli atleti. Credi ci siano dei tratti di personalità che contraddistinguono il “buon discesista”?

La mia carriera è nata seguendo campioni degli anni '90 e fine anni '90 che principalmente facevano Sky Race. Nelle Sky Race si va su e giù a tutta, scendendo spesso a rotta di collo dalle montagne. Seguendoli e uscendo con loro ho imparato molto. Devo però ammettere che nelle prime uscite che facevo con loro, mi dicevano che in discesa andavo forte, nonostante non fossi specificamente allenato.
La discesa, soprattutto su alcuni sentieri, si connette con la paura. Esistono persone che vanno forte in moto, mentre altre hanno paura, e così accade sulle discese in montagna. Molti amici mi chiedono come allenare la discesa, ma quando li vedo scendere capisco che non è possibile, perchè hanno troppa paura.
La discesa va aggredita. Questo comporta una maggiore tutela a livello muscolare, come anche un minor rischio di cadere. La paura in discesa ti porta a perdere l'elasticità, la reattività e di conseguenza anche una diminuizione di ritmo. Secondo me non si può allenare la paura, non credo possa essere superata.

E' una bella domanda....

Secondo me no, non può essere superata. Credo che avere paura o non avere paura sia una questione di DNA.
La velocità ha sempre fatto parte di me. Io provengo dal mondo del motociclismo e prima di correre a piedi correvo in moto, in pista. Anche prima di avere la patente rubavo il motorino a mio fratello e andavo in giro a divertirmi. Pensa a Valentino Rossi che a 6 anni usava già il motorino del padre.
Con il passare degli anni va anche detto che la paura aumenta, perchè diventi più saggio. Io sono calato molto in discesa rispetto a qualche anno fa. Mi chiedo come facessi a scendere a 4/5 minuti in meno rispetto ad oggi che sono molto più allenato. Credo fossi più incosciente e con meno paura. Oggi ho 40 anni e credo di vedere più rischi, sono più saggio.

Ti ho ascoltato con interesse, perchè sono un pessimo discesista...

Chiaramente in discesa si può migliorare, ma superare la paura credo non sia possibile. Mi capita di spiegare ad alcuni amici, che in discesa non devono arretrare con il baricentro e di portare il peso in avanti. Come con gli sci, una delle prime cose che ti insegnano è di portare il peso a valle e nella corsa funziona nello stesso modo.
Se riesci a mantenere un giusto equilibrio tra la pendenza e il baricentro, non ti fai male e riesci a scendere con efficacia. Quando hai paura, arretri, ti irrigidisci, l'equilibrio si sposta sul posteriore e in automatico scivoli. La paura è inoltre un circolo vizioso. Quando hai paura inizi ad avere sempre più paura.
A questo va aggiunta anche una predisposizione muscolare. Non incorrendo in dolori o in crampi, ho la fortuna di poter osare maggiormente in discesa, ripartendo poi in salita.

Eventi importanti come la LUT si associano anche a grandi pressioni. Hai delle ritualità o delle strategie particolari per fare fronte al montare della tensione?

Non sono solito lasciarmi prendere dalla tensione. Certamente prima della partenza un po' di tensione c'è, ma è legata al sapere se il materiale è tutto a posto, se ho dato tutto il necessario alle persone che fanno assistenza lungo il percorso. Una volta fatto il check poi vado via tranquillo.
Il momento per me più difficile, in gare internazionali come la Lavaredo o la TransCanaria, in cui ti trovi a confrontarti con i più forti del mondo, sono i 10 minuti che precedono il mettere il pettorale. In quella fase sento proprio l'impazienza di partire. Entrando in griglia, vedo poi gli amici, inizio a scherzare e tutto passa.
Una situazione che ultimamente mi ha dato una carica incredibile è accaduta alla Lavaredo Ultra Trail. Il Giovedì prima della gara avrei dovuto partecipare alla presentazione e alla consegna dei pettorali ai top runner. Nonostante mi fossi organizzato per partire giovedì, gli sponsor ci tenessero ed alcuni amici mi avessero seguito per vedermi, lo speaker prima della presentazione mi raggiunge e mi comunica che ero stato tolto da questo momento, perchè non avevo raggiunto un punteggio sufficiente.
Questo disguido mi ha fatto arrabbiare, ma la rabbia l'ho portata in gara e questa rabbia mi spingeva. Mentre sorpassavo gli avversari mi rendevo conto che per me diventava una sorta di vendetta, nei confronti degli organizzatori. Dicevo a me stesso “vediamo come finisce al traguardo”! E alla fine sono arrivato primo italiano al traguardo.

E' stata una forza propulsiva...

Si, nonostante sia molto amico con gli altri corridori italiani, quando li incontravo, mi trovavo a pensare “ecco, sono qua anche io!” ed è diventato uno stimolo in più. Quando ho rivisto il mio arrivo, quasi non mi riconoscevo da quanto ero aggressivo.

C'è qualcosa che non ti ho chiesto che ti piacerebbe dire?

Mi accorgo che ci sono sempre più atleti giovani a praticare trail e mi sento ormai un veterano. Sono 16 anni che prendo parte a queste corse. Nonostante siano passati diversi anni, però, mi diverto ancora come accadeva le prime volte.
Quando incontro molti amici che hanno iniziato con me, ma che hanno smesso di competere, mi domando come mai. Li incontro ancora tra le montagne, ma hanno scelto di smettere di gareggiare nonostante avessero grandi potenzialità. Forse non si divertono più o forse i loro stimoli erano diversi dai miei.

Io mi diverto ancora e spero di divertirmi ancora, fino a quando il fisico reggerà. Quando sono in griglia mi emoziono ancora e non vedo l'ora che arrivi la prossima gara.

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