Tra
le tue vittorie più importanti sono senza dubbio una Amstel Gold
Race e una Liegi Baston Liegi. Essere un corridore predisposto per
corse di un giorno implica riuscire ad essere pronto proprio per
quell'appuntamento. Credi ci siano degli aspetti caratteriali che
contraddistinguono un corridore per le classiche?
Credo
che il merito sia legato soprattutto all'aspetto fisico. Tu in un
giorno riesci a dare molto di più, ma se dovessi ripetere il
medesimo sforzo su più giorni, il corpo non saprebbe recuperare.
Chiaramente poi c'è anche la parte mentale. Dopo esserti preparato
per mesi, per giocarti tutto in poche ore, il corridore da corse di
un giorno riesce a stare spesso fuori soglia, più di quanto facciano
altri corridori.
L'aspetto
mentale rientra nella capacità di giocarti tutto in quelle due/tre
corse, dopo esserti preparato per tutto l'inverno. Per me queste
corse erano la Amstel, la Freccia e la Liegi, che cadevano tutte in
una settimana. Lo stress connesso all'avvicinamento di queste corse,
in cui ti giochi tutto, va gestito e bisogna saper imparare a
gestirlo.
Eri
solito sentire lo stress pre-gara in modo particolare o vivevi
tranquillamente l'avvicinarsi di una manifestazione?
La
tranquillità in questi casi è un concetto molto relativo. Quando ti
poni un obiettivo, tu stesso ti carichi di ambizioni. Maturi un senso
del dovere nei confronti di chi ti stipendia, ma soprattutto nei tuoi
confronti.
Nel
percorso di avvicinamento ad un obiettivo fai molti sforzi e rendi la
tua vita più rigorosa. Questo vale per l'allenamento, lo streaching,
l'alimentazione e nei massaggi. La tua vita per 24 ore al giorno
ruota esclusivamente intorno al riuscire ad essere performante. Nasce
una sorta di senso del dovere, un devo “devo vincere”, che
diventa quasi un'imposizione.
Per
evitare questi rischi, ho sempre cercato di mantenere un approccio
mentale differente. Guardavo la gara come un'opportunità. Pensavo a
me stesso come una persona fortunata, che aveva la possibilità di
lottare per vincere e per questo motivo volevo allenarmi bene.
L'andare a letto presto, il curare l'alimentazione, non erano un
obbligo, ma un'opportunità, per riuscire a concretizzare il mio
obiettivo. Questa forma mentale mi aiutava a vivere l'avvicinamento
alle gare con meno stress, emozioni positive e ambizioni sane.
Pensa
ad esempio ai campionati del mondo di Lugano. Correvo in casa, tutte
le persone che incontravo per strada, nei giorni precedenti
all'avvenimento, mi chiedevano la vittoria o la grande prestazione.
In questo frangente ho capito quanto sia importante prendere le
aspettative, di chi ti sta attorno, come motivazioni, non come un
obbligo nei loro confronti.
Motivazione
a dare il massimo. E' la motivazione a dare il massimo che ti
permette al termine di una gara a ripercorre mentalmente il percorso
di avvicinamento, dicendo a te stesso che hai fatto il possibile,
accettando così che qualcuno possa essere stato più forte di te. Se
sai di avere fatto il massimo, in gara e nel percorso di
avvicinamento, puoi arrivare primo, secondo o decimo e lo accetti.
In
questi frangenti impari molto su te stesso. Comprendi a pieno
l'approccio mentale necessario per affrontare questi eventi. Negli
anni ho imparato quali erano, per me, i percorsi migliori per la
gestione delle emozioni e dello stress dell'avvicinamento.
Mi
parlavi del mondiale del '96 di Lugano. Quel secondo posto è stato
per te una vittoria o una sconfitta?
E'
stato esattamente il secondo posto. Io so di avere messo tutto me
stesso in gara e nei mesi precedenti alla gara. Non potevo uscire di
casa senza sentirmi dire “mi raccomando vinci!”, “mi raccomando
facci fare bella figura!”, “siamo tutti per te!”. La pressione
che ho dovuto sopportare è stata notevole.
Alla
fine della gara ero secondo, ne più, ne meno. Io avevo fatto il
massimo. Quel giorno, su quel percorso e per come è andata la gara,
qualcuno è stato più forte di me. Sia io, che il pubblico, sappiamo
che quel giorno più di così non potevo fare.
Gestire
le aspettative del pubblico, 150 km di fuga e tirare più degli
altri, prendere in mano la situazione e vedere il campionato del
mondo a pochi metri da te chiaramente possono far nascere dei
rimpianti. Ma questi sono anche abbastanza facili da digerire, perchè
quel giorno qualcuno era più forte di me. Non è stata una sconfitta
e non è stata una vittoria. L'essere vice-campione del mondo mi
stava bene, perchè avevo dato il massimo.
Dopo
essere stato uno sportivo sei stato direttore sportivo e
imprenditore. Gli anni da ciclista ti hanno aiutato negli anni
successivi?
Sicuramente!
Le prime lezioni di vita, da cui ho imparato molto, sono iniziate
quando avevo 12 anni e quando ho iniziato a correre, quasi per caso.
Sono
nato in un paesino disperso sulle montagne e il mio approccio con il
mondo dell'asilo e della scuola è stato molto traumatico. Il dover
andare a scuola i primi anni, per me era una sorta di sofferenza.
Avevo grandi dubbi verso me stesso e verso il mondo. Nel quotidiano e
con gli altri mi sentivo male, facendo parecchia fatica per riuscire
in qualcosa. Mi domandavo cosa potesse essere il mondo se io facevo
già così tanta fatica nel mio piccolo paese. Il futuro mi
spaventava.
Poi
un giorno l'autista del pullman, che ci portava alle scuole medie, mi
chiese se volevo fare un giro in bici con lui. Lo battei su una
salita e lui andò da mio padre, dicendogli di prendere la sua bici e
di farmi correre, perchè avevo talento. In quel momento compresi che
il mondo non era formato solo i miei 15 compagni di scuola. Compresi
che il mondo non si confinava all'aula scolastica e che che forse
c'era spazio anche per me.
Quel
momento cambiò radicalmente la mia vita, perchè per la prima volta
iniziavo a ricevere dei complimenti. Finalmente stavo facendo
qualcosa che andava bene, che piaceva agli altri e che a me piaceva
moltissimo! Mi piaceva al di la dei risultati, perchè io in bici mi
sentivo bene.
Compresi
che con ambizione, voglia, desiderio e mettendoci l'impegno, anche io
potevo riuscire. Compresi che questo approccio valeva in ogni ambito
della mia vita. Valeva per la bici, ma era così anche a scuola. Il
mio approccio alla vita da quel momento cambiò del tutto. Avevo un
nuovo approccio in bici, ma avevo anche un nuovo approccio a scuola e
nel mondo extra-sportivo.
La
lezione che derivai da quel momento fu notevole. Iniziai a imparare
da tutto quello che accedeva, dalle cose belle e dalle cose brutte.
Imparai a non montarmi la testa, comprendendo che tutto va e viene.
Il
ciclismo ho avuto un ruolo notevole nella formazione del tuo
carattere...
Quando
sei bambino, il mondo è talmente grande da farti un po' di paura.
Inoltre, quando in un paesino, ti senti l'ultimo della classe, la tua
percezione del mondo diventa ancora più complessa e complicata.
Credo
sia molto importante che i genitori diano spazio ai propri figli in
una disciplina sportiva, musicale o in un qualsiasi ambito in cui
provano interesse e in cui dimostrano un minimo di talento. Se
stimoli i tuoi figli in questi ambiti, permetti loro di accrescere la
loro autostima, allentando il senso del dovere di seguire un via
predeterminata.
Oltre
all'importante ruolo dei genitori, anche gli allenatori e i maestri,
è fondamentale siano persone in gamba, capaci e rispettose.
Allenatori e maestri è importante siano in grado di motivare
qualsiasi ragazzo, anche chi può avere qualche difficoltà in una
data disciplina. Nessuno deve sentirsi obbligato a diventare un
campione di tennis, calcio o di qualsiasi disciplina. Un ragazzo deve
sentirsi in diritto di praticare una disciplina, con dei compagni con
cui si diverte.
Lo
sport può giocare un ruolo importante, ma è necessario che siano
presenti persone capaci di gestire le emozioni che questi ragazzi
sperimentano. Frustrare un ragazzo perchè non riesce bene in una
data disciplina sportiva sicuramente non lo aiuta a crescere. Ad un
ragazzo vanno date delle indicazioni per migliorare, stimolandolo e
rassicurandolo sul fatto che ce la può fare. E' la società stessa
che deve lavorare, non per creare dei campioni sportivi, ma persone
che hanno una buona fiducia in se stessi, che pensano di potercela
fare, affrontando la vita quotidiana con impegno e con passione.
Ripensando
alla tua vita, fino dagli anni della tua infanzia. Credi ci sia una
frase detta da una persona per te importante (genitore, parente,
allenatore) che ti ha caratterizzato come atleta?
Di
frasi ce ne sono state molte, ma credo che anche il semplice
atteggiamento delle persone che mi sono state vicino sia stato
fondamentale. I sorrisi, la gioia sincera delle persone care, hanno
giocato un ruolo per me importante.
Chiaramente
quando Ettore Fora, l'autista con cui ho iniziato a pedalare, è
andato da mio padre a dargli la sua bici, dicendogli di farmi
correre, perchè avevo un talento, mi sono trovato disorientato. Poi,
quando, dopo tre giorni mi trovai a correre, arrivando quinto al
traguardo, nonostante fossi il più piccolo, scoprii una cosa
bellissima: qualcuno credeva in me. Gli amici, gli allenatori,
credevano in me.
Penso
di essere stato molto fortunato, perchè intorno a me ho trovato
persone molto intelligenti, sin dall'inizio della mia carriera. Gli
allenatori sono stati per me dei padri. Non padri severi, ma genitori
che mi comunicavano il desiderio di vedermi crescere e che mi
trasmettevano la passione.
Sono
stato fortunato. Da subito ho trovato persone che amavano il
ciclismo, che mi stimolavano e che mi trasmettevano la passione nel
fare bene le cose che facevo. Persone che mi hanno insegnato ad avere
dei sogni, facendomi capire che non ci deve essere paura nel sognare
in grande. Non ci deve essere paura nel sognare di diventare campione
del mondo quando hai 12 anni, perchè sognare è una cosa piacevole.
Quando
Ettore Fora mi ha chiesto di fare una gara con lui in salita la mia
vita è cambiata. Io con la Graziella di mia mamma e lui con la
Master, ma l'ho battuto. Da quel momento poi ci sono state frasi e
soprattutto atteggiamenti positivi, che hanno sostenuto questo
cambiamento.
Ripartire
dopo una brutta caduta. La paura ti ha mai influenzato in corsa e
cosa si pensa nelle fasi più concitate e pericolose di una tappa?
In
gara la concentrazione è sempre massima, perchè sei consapevole di
essere su una bici senza essere molto riparato. A quei tempi io ero
uno degli unici corridori a portare sempre il casco, nonostante non
fosse obbligatorio, perchè indossavo soltanto dei pantaloncini e una
maglietta. Non è che non pensi mentre sei in bici, ma in certi
frangenti devi stare con gli altri e lasciare andare l'adrenalina.
Quando
sono caduto non mi sono accorto di una fessura nella strada e fui
vittima di una caduta molto brutale. Credo che anche da
quell'incidente scoprii di avere forze e capacità che non immaginavo
di possedere. Secondo i medici ero fortunato ad essere sopravvissuto
e che la mia carriera doveva terminare in quel momento.
La
mia reazione però fu decisa, perchè ero leader di coppa del mondo,
era giugno e volevo vincere il mondiale che si sarebbe tenuto ad
ottobre. Non volevo piangermi addosso e mi fissai subito un
obiettivo. Non volevo vivere con una scusa. Volevo provare a tornare
me stesso immediatamente. Al mondiale arrivai quarto, ma dopo una
gara notevole e con una forza mentale altrettanto notevole.
Mi
hai parlato più volte di forza mentale, quali sono le
caratteristiche di un atleta forte di testa?
Innanzitutto
un atleta deve sapere che esiste una forza mentale e che non contano
solo le gambe. Sapere che hai delle emozioni, hai una famiglia, hai
degli allenatori, degli sponsor e che devi imparare a gestire anche
questi aspetti non è sempre immediato ed evidente.
Un
atleta può essere vincente, perchè è talmente forte fisicamente da
non avere bisogno anche la forza mentale. In un caso come questo il
corridore è quasi arrogante, perchè è completamente sicuro dei
propri mezzi. Può però capitare che un corridore vinca, perchè ha
una buona tempra mentale.
Un
corridore come me, con un carattere mite, che ha iniziato la propria
carriera ciclistica con delle insicurezze, aveva bisogno di rendersi
conto dell'esistenza dell'aspetto mentale nello sport e che questo
era altrettanto importante dell'aspetto fisico. Dovevo allenare
entrambi gli aspetti, visualizzando quanto stavo facendo. Pensavo che
stavo percorrendo una salita forte, perchè domenica avrei affrontato
una salita simile. Questo mi permetteva di arrivare pronto al momento
saliente.
Credo
che un atleta, quando gareggia a livello internazionale, abbia
bisogno di lavorare anche su questi aspetti. Spesso vediamo molti
ragazzi talentuosi, che praticano diverse discipline sportive,
perdesi. Questo accade nonostante questi ragazzi abbiano già firmato
contratti importanti.
I
soldi, a differenza di quanto molti pensano, non creano difficoltà
agli atleti, perchè li portano a spendere quanto più possibile. I
soldi creano difficoltà agli atleti, perchè sono un peso non
indifferente da sopportare. Quando un atleta firma un contratto
importante, inizia a pensare di essere obbligato a ottenere
prestazioni eccellenti, perdendo il piacere nel fare ciò che fa.
Spesso i soldi più che uno stimolo diventano un freno, un
impedimento. Non è per tutti così, ma per alcuni i soldi mettono
sul tavolo il dovere imperativo di fare qualcosa, finendo per agire
da freno.
Quello
che mi colpisce ascoltandoti è che la tua vita sportiva corre e si
sviluppa parallela alla tua vita personale....
Spesso
capita che poniamo alcuni sportivi talmente in alto, al punto che
loro si dimenticano che la vita è una. In alcuni momenti sei uno
sportivo, in altri non lo sei. In ogni caso rimani sempre te stesso.
Non siamo fatti da due personalità differenti.
I
problemi nascono quando lasciamo che questi due aspetti umani si
dividano. In questo caso, quando l'atleta smette di essere sportivo,
si ritrova a vivere una realtà dimenticata per anni. Il trauma
subito nel tornare nella vita quotidiana è difficile da superare o
addirittura insormontabile.
Nessun commento:
Posta un commento