È in Tour in questo periodo uno dei gruppi storici della storia del rock, che non credo di esagerare dicendo si giochi il podio dietro solo a Beatles e Rolling Stones: sto parlando degli Who (o The Who, per essere più precisi). Non ho mai amato particolarmente le esibizioni rockettare di 70enni, specialmente quando si tratta di reunion con 2 soli superstiti su 4, ma se parliamo del gruppo e della sua musica, bè, gli Who continuo ad amarli.
La loro influenza nella storia della musica è stata decisiva: dal primo concept-album "Tommy" (più o meno primo, ma diciamo il primo sotto forma di opera rock), al manifesto Mod di "Quadrophenia", attraverso esibizioni incendiarie e che hanno ispirato non poco (di sicuro anticipato) il punk anni '70. Nel consigliare un album per accompagnare allenamenti o gare, opto per il loro album di esordio, "My Generation", del 1965. Certo, quella generation non era quella di ora, ma in quanti continuano ad identificarsi in quella, di generazione, piuttosto che nelle ultime...
L'album si apre con "Out in the Street", una schitarrata di Pete Townshend, autore di praticamente tutte le loro canzoni, e poi la voce roca di Roger Daltrey che duetta col coro: un inizio in bilico tra il beat del tempo e un presagio per quello che ha da donare il quartetto britannico. La successiva "I Don't Mind" è una cover di James Brown, con atmosfera da juke-box, una classica ballata da metà anni '60. In "The Good's Gone" si rialza un po' il tiro, soprattutto nella parte centrale. Ma è da "La-La-La-Lies" che si entra nella zona calda, dove arriva un pianoforte perfettamente a proprio agio, e un Keith Moon alla batteria che mostra alcune delle proprie immense capacità.
"Much Too Much" propone ancora una serie di cori dal sapore beatlesiano, ma la capacità compositiva di Townshend non può non farsi notare. E arriviamo ad una delle canzoni immortali della storia del rock, quella "My Generation" che dà il titolo all'album: scritta nel 1965, in anticipo di 10 anni sul punk, con un sontuoso Keith Moon alla batteria, un altrettanto fenomenale John Entwistle al basso, il cantato balbettato e scazzato di Daltrey, e il testo rabbioso, sfrontato, dal retrogusto nichilista ("spero di morire prima di invecchiare"), in poche parole, pura energia.
In "The Kids Ara Alright" torna la melodia, ancora di stampo beatlesiano, ma perfettamente negli standard degli Who, col loro suono grezzo e immediato, eppure ben curato. Si rallenta ancora in "Please, Please, Please", altra cover di James Brown, momento adatto per respirare. Si riprende vigore con l'energica e veloce "It's Not True", l'ennesima dimostrazione della sezione ritmica.
Tipico blues (di Bo Diddley) è "I'm a Man": il quartetto britannico se la cava anche alle prese con musica tipicamente americana, in particolare nella parte centrale, impadronendosi della canzone, facendo esplodere il loro sound, con la chitarra possente di Townshend, il quale si mette in gioco portandosi alla voce solista nella successiva "A Legal Matter", con esiti più che positivi. Chiude l'album l'iperesplosiva "The Ox", quasi 4' di pura energia, con in primo piano sempre un incredibile Keith Moon alla batteria, Entwistle perfetto al basso, Townshend in un assolo sporco e per nulla auto celebrativo alla chitarra, e la collaborazione di Nicky Hopkins al pianoforte.
Un album che oltre 50 dopo continua ad invecchiare bene, soprattutto perché precursore di tutto quello che Pete Townshend e gli Who hanno dato alla storia della musica. "Talking 'bout my generation".
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