Korn. Ecco, spariamo subito il gruppo questa settimana. "Issues" l'album. 1999 la data. Genere? Crossover, o nu-metal. O altro. Rimane per me uno dei migliori lavori degli anni '90, l'ultimo grande album del quintetto americano (diventato poi quartetto). Certo il loro esordio (l'omonimo "Korn") fu fulminante, ma questo insieme di canzoni, il quarto della loro carriera, è decisamente il più completo, il più ispirato, e perché no, il più adatto alle nostre necessità sportive, tra continue variazioni di ritmi e intensità.
Si parte con la breve "Dead", pessimista come poche, con la cornamusa suonata da Jonathan Davis, cantante e leader del gruppo, il giusto approccio prima di "Falling Away From Me", con i giochi di sonorità lievi ed oscure delle strofe e dei momenti strumentali, e il ritornello esplosivo grazie alla voce di Davis che si mostra subito in tutta la sua grandezza, capace di passare da sofferti sospiri, ad un cantato allucinato e psicotico, fino all'urlo che penetra fino nelle viscere dell'ascoltatore. "Trash" continua sulla stessa falsariga, con le chitarre di Brian "Head" Welch e di James "Munky" Shaffer a creare labirinti sonori in cui si rincorrono a vicenda le loro sei corde.
"4U" è uno dei tanti intermezzi vicini al trip-hop dell'album, meno di due minuti in atmosfere oscure e angoscianti. Poi parte "Beg For Me": la batteria di David Silveria, il basso di Reginald "Fieldy" Arvizu a creare linee liquide nella strofa e un sottofondo quasi percussionistico nel ritornello potentissimo e violento. Eccoci alla canzone probabilmente più famosa dei Korn, "Make Me Bad", più orecchiabile rispetto al resto del contesto, ma non per questo meno pregevole e potente.
Altro intermezzo con l'inquietante "It's Gonna Go Away" dove Davis che appare realmente come la voce di un folle, ma perfettamente adagiata al contesto. "Wake Up" parte subito con violenza e intensità, lasciando respiro solo nelle strofe, sempre atmosferiche e con linee melodiche interessanti. Un minuto di intermezzo in "Am I Gonna Crazy", un titolo che dice tutto. "Hey Daddy" ripropone la stessa formula di strofa lenta e ritornello potente e rabbioso, così come l'altrettanto imponente "Somebody Someone" e la successiva "No Way", dove c'è da sottolineare in particolare l'incredibile lavoro di Fieldy al basso.
Leggermente più varia sul tema è "Let's Get This Party Started", dove il ritmo si mantiene per tutta la durata della canzone. Intermezzo quasi hip-hop con "Wish You Could Be Me", preambolo della intensa "Counting", altro pezzo che lascia poco tempo di rifiatare. La finale "Dirty" appare come leggermente più innocua rispetto al resto, ma non meno potente nel ritornello, lasciando negli ultimi minuti un ronzio di sottofondo, come di una tv o una radio mal sintonizzata, come a simboleggiare la sensazione di inadeguatezza che ha sempre aleggiato i loro testi.
Un album di tutto rispetto nella storia della musica, all'apice di quel genere contaminato da rock, metal, hip-hop, trip-hop, di cui i Korn sono stati forse i migliori portavoce, raccontando i disagi esistenziali dei giovani americani di quegli anni.
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