lunedì 21 marzo 2016

Dialogo col campione - Antonio Filippo Salaris

Antonio Filippo Salaris è un atleta italiano specializzato nelle ultra-maratone e nelle ultra-maratone nei deserti.

Antonio Filippo Salaris ha ottenuto numerose vittorie a livello nazionale e internazionale, ma tra i risultati di maggiore rilievo figura il quarto posto alla prestigiosa e durissima Marathon des Sables tenutasi nel 2013.





Ciao Filippo, hai corso partendo dagli 800 metri, passando dalle mezze maratone, maratone, fino ad arrivare alle ultra-distanze. Come sei arrivato a correre le ultra?

Prima che interrompessi per 10 anni di gareggiare, da ragazzino correvo gli 800m e i 1500m. Le distanze corte mi facevano soffrire molto, fino a uscire dal campo senza la voglia di tornare in pista.
Mi è, quindi, scattata una molla che mi ha portato a desiderare di confrontarmi con distanze più lunghe, come i 10.000 e oltre.
Purtroppo sono stato sfortunato. Seppure il mio allenatore fosse un buon allenatore, si concentrava unicamente sul mezzofondo. Sosteneva che le mezze-maratone e le maratone fossero questione per atleti dai 30 anni in su. Nonostante presi parte alla mia prima mezza a 15 anni e, nonostante, la mia mente ragionasse già per le lunghe distanze, mi trovai frenato.
La filosofia dei primi anni 90' sosteneva che bisognasse attendere prima di dedicarsi alle lunghe distanze. Non potendo quindi prendere parte a gare lunghe, mi dedicai alle gare veloci. Oggi vediamo che alle maratone corrono anche i 20enni, quindi quella filosofia era sbagliata. Quando hai le gare lunghe nel sangue, partecipi alle gare veloci solo se non puoi fare altrimenti.

Mi hai raccontato che le gare lunghe le avevi nel sangue e che eri mentalmente predisposto a queste distanze. Quali senti siano gli aspetti mentali che via via le distanze si allungano diventano importanti?

La prima cosa che mi viene in mente è la pazienza. Un bravo ultra-maratoneta deve essere paziente sia nella fase di preparazione, che in gara.
In una competizione di 80 km, non può, dopo un km, pensare che ne mancano ancora 79. La gara parte dal 30esimo o dal 40esimo km e per pensare in questo modo, credo la pazienza giochi un ruolo importante.

Gestione della crisi. Molti atleti che si rivolgono alle ultra-distanze concepiscono la crisi come un aspetto costitutivo di questa disciplina. Tu cosa ne pensi? Come affronti una crisi?

Se la gara è molto lunga, di 7/8 o anche 10 ore, la crisi devi aspettartela, prima o poi sai che arriverà a tutti. Personalmente, quando arriva, cerco di tenere il cervello occupato iniziando a contare fino a 100. Conto fino a 100 e, visto che sono in crisi, rallento il passo, e poi riprendo a contare.
Continuo a contare e aspetto che la crisi passi. Conto e, chiaramente, non penso mai a ritirarmi.

Una curiosità, nella tua vita lavori con i numeri? Che rapporto hai con i numeri? Ti piacciono?

Nella vita sono un imprenditore ed i numeri quindi rientrano in alcuni aspetti del mio lavoro.
Se però sei interessato a sapere perchè conto fino a 100, ti rispondo che è l'unico modo per far passare il tempo.

Le tue origini sono sarde. Credi che ci siano degli aspetti tipici della tua regione che ti contraddistinguono come runner?

In Sardegna trovo le condizioni ideali per allenarmi, condizioni che ricalcano bene quanto accade in gara.
Quando ho preso parte alle ultra-maratone nel deserto, ci sono stati momenti in cui seguivo i marocchini e altri momenti in cui erano loro a seguire me, ma tendenzialmente sei solo. In corsa tendenzialmente c'è solitudine.
In Sardegna poca gente pratica questo sport ed io, inoltre, sono abituato ad allenarmi da solo. Oltre a questo aspetto similare, anche il paesaggio a volte ricalca il deserto. Io abito vicino ad Alghero. Nei pressi di dove abito, si trova Porto Ferro. Il paesaggio è a tratti verde e a tratti desertico, sembra quindi di correre nel deserto.
Allenarmi in Sardegna penso quindi sia ideale. Poi c'è il mare e a me piace allenarmi dove c'è il mare.

Hai ottenuto alcuni risultati di rilievo in corse nel deserto. Secondo te cambia qualcosa dal punto di vista psicologico quando si corre in un deserto?

Sono stato un maratoneta. Ero anche un maratoneta discreto, da 2 ore e 30 a circa 40 anni, ma la maratona era diventata monotona. Puoi credere che la strada ti dia delle soddisfazioni, perchè l'ambiente ogni tanto cambia, ma non è proprio così. Corri in mezzo alla gente e quindi anche se sei a New York, Londra o Berlino, la cornice rimane sempre la stessa.
Dal mio punto di vista, l'ultra-maratona, anche se fatta nel deserto, è meno noiosa della maratona. Seppure si pensi che il deserto sia monotono, nel deserto ci sono gli erg, le dune, e i laghi salati. Nel deserto puoi anche gustare la solitudine.

Credi che la capacità di stare soli possa essere allenata?

Lavorativamente non ho orari. Avendo diversi appuntamenti, mi capita spesso di tornare a casa alle 9 di sera. Non avendo, quindi, molto tempo per allenarmi opto per il Tapis Roulant e per 15/20 giorni di fila questo diventa il mio allenamento, senza che io veda la strada.
Mi capita anche di preparare delle gare correndo sul Tapis Roulant per 3 ore, pensando ad altro e senza che questo mi crei problemi. Seppure sia consapevole che un allenamento simile sia impensabile per molte persone, credo che mi aiuti molto per imparare ad affrontare la monotonia e la solitudine delle gare.

Quindi senti che l'allenamento indoor sia molto utile per preparare una ultra nel deserto?

Pensa che quando devo allenarmi per le corse nei deserti, sistemo delle stufe davanti al Tapis Roulant e dei teli dietro, in modo da elevare la temperatura fino anche a 35°, ricreando così delle condizioni simili a quelle di gara.
Questo, a mio avviso, è l'unico sistema per ricreare la situazione che ho provato nei deserti in Senegal o alla Marathon des Sables. So che queste tecniche possono sembrare estreme, ma mi portano a soffrire meno degli altri europei, riuscendo ad andare molto vicino ai Giordani e ai marocchini.

Se pensi alla tua vita, fin da quando eri bambino, c'è stato un momento o una situazione in cui ti sei accorto di essere particolarmente resistente e predisposto alla resistenza?

Sì, cè stato. Avevo 12 o 13 anni, soffrivo di un soffio al cuore, e mi mancavano circa 4/5 cm di un polmone. I medici proibivano a mia madre di farmi fare sport, ma io uscivo a correre di nascosto Visto che gli altri bambini correvano, io lo facevo di nascosto.
A 14 anni, a sorpresa, mi presentai ad una gara ad Alghero, in salita. Seppure alla fine mi sentii male, la terminai e la chiusi, credo, bene. In quel momento compresi di essere resistente e che nel mio futuro ci sarebbero state le lunghe distanze. Quando prendevo parte alle corse di paese, speravo che le distanze fossero le più lunghe possibili. Mi accorgevo che proprio quando gli altri si staccavano e facevano fatica, io in iniziavo a dare il meglio di me. Forse a questi tempi non esistevano le ultra-maratone o forse io non ne conoscevo l'esistenza, ma avevo scoperto di essere resistente.
Purtroppo poi non ebbi la fortuna di coltivare la mia passione. Non riuscii ad entrare nelle fiamme oro e nemmeno in polizia. Parte della mia sfortuna consiste nell'essere nato nel 1971. Leuprecht, Bennici, Modica e Baldini sono tutti nati nel 1971 ed erano tutti in polizia. Tutti correvano i 10.000 in 29/30 minuti e quindi io, seppure riuscissi a correre in 32 minuti, non riuscii ad essere preso in polizia e non potei migliorare ulteriormente. Successivamente smisi di correre per circa dieci anni e ripresi a 33 anni. Oggi ho 44 anni e mi dedico alle ultra maratone, anche con buone soddisfazioni.

Si consiglia spesso agli ultra runner di imparare a conoscere se stessi, per imparare a trovare e gestire il ritmo. Quanto tempo è necessario prima di arrivare a un punto soddisfacente? Mesi, anni o dopo alcuni eventi di vita?

Se parliamo proprio di tempo, secondo me servono almeno tre anni. Nella mia esperienza mi ci sono voluti circa 3 anni per scoprirmi e per imparare dai miei errori.
Ho smesso di correre le maratone nel 2010, seppure facessi sempre più kilometri in gara facevo molti errori. L'errore più comune è partire troppo forte. Ogni gara fa storia a sé ed, anche oggi, è un'occasione di apprendimento, ma credo che dopo 2 anni e mezzo/3 ho imparato a gestirmi.

Nella Marathon des Sables, dove tu hai sfiorato il podio nel 2013, il corridore deve portarsi lo zaino con tutto il necessario per i 5 o 6 giorni di gara. Con che approccio mentale si può superare la privazione di comodità e, forse soprattutto, di cibo?

Innanzitutto penso che ad una settimana così dura non ci si possa abituare. Nonostante ciò e nonostante noi occidentali siamo abituati alle comodità, bisogna partire con la mentalità giusta. Stare una settimana senza lavarsi, mangiando cibi liofilizzati o frutta secca non è facile e va affrontata a pugni stretti.
Devo però dire che si possa migliorare con l'esperienza. Il primo anno non sono stato molto bene, mentre il secondo mi sono accorto che riuscivo a gestire molto meglio le condizioni che si trovano nel deserto. Uno degli aspetti che più mi mettono in difficoltà è il dormire per terra. Seppure ci avessi provato 20 giorni, a casa, prima di partire, credo che sia una cosa molto difficile da affrontare per un uomo europeo
Credo però che se queste condizioni fossero protratte per più di una settimana, sarebbe molto complicato. Anche se hai una predisposizione, dal quarto giorno in poi inizi a soffrire. Ho il ricordo di uomini di 50 anni che piangevano. Le condizioni nel deserto sono molto forti, vedi le unghie che vanno via, la pulizia che non esiste.

È risaputo che dopo aver convissuto in tenda per tutta la durata della Marathon des Sables si instaurano profonde amicizie. Credi che le condizioni difficili possano aiutare le persone ad avvicinarsi agli altri?

Si credo proprio di si. Partecipare a queste gare e prendere parte soprattutto alla Marathon des Sables è come fare il militare, una sorta di corso accelerato.
Come ho ancora forte il ricordo dei miei compagni di camerata, così è per le persone con cui ho condiviso le tende in corsa. In questi contesti si creano le condizioni per la nascita di amicizie che durano per tutta la vita. Ancora oggi mi sento spesso con chi era in tenda con me.
Io ho legato soprattutto con un atleta che parteciperà alla Marathon des Sables quest'anno. Con lui, ho dormito una notte in tenda quando grandinava e faceva un freddo cane. L'unica possibilità per scaldarci era dormire col sacco a pelo vicini come due fidanzati. Non mi dimenticherò mai questa scena.
Lo fai perchè stai soffrendo, ma questo porta a imprimere nella tua memoria scene e persone, che non ti dimenticherai più. Affrontare i problemi e la fatica derivate da una settimana di fuoco, porta a stringere legami molto stretti.

C'è qualcosa che non ti ho domandato e che ti piacerebbe aggiungere?

Che sono un atleta anomalo, che diventa atleta solo quando si toglie gli abiti lavorativi. Parlo raramente della mia vita sportiva al bar o con i miei collaboratori. Alcuni di loro sanno che corro, solo perchè l'hanno letto sui giornali.
Su facebook preferisco pubblicare foto della pesca, che è una mia grande passione, mentre è più difficile che pubblichi di gare o allenamenti. A differenza di molti sportivi che vivono per lo sport e che ne parlano continuamente, io sono più riservato. La vita da atleta è un mio segreto, che tengo per me e del quale sono un po' geloso. Lo sport è un momento di intimità tra me e me, che vivo unicamente quando tolgo gli abiti da lavoro.
Non dico che non provi piacere andare sul podio, passando così una mezza giornata di festa dopo le ore di fatica sostenuta in gara. Quel tempo me lo godo, ma so che un sogno di poche ore, prima di tornare alla mia vita quotidiana.
Ti faccio un esempio che mi è capitato il giorno passato. Ero a Roma per lavoro. Sono entrato in un'edicola per acquistare un giornale sulla corsa. L'edicolante era un runner e mi ha domandato se anche io, come lui, corressi. Quando mi ha chiesto come mi chiamassi, scoprendo che mi conosceva, ha iniziato a farmi molte domande. Se avessi potuto tornare indietro nel tempo, avrei evitato che si creasse l'occasione per parlare di me. Ho spesso la sensazione che le persone si pavoneggino dei kilometri che percorrono e delle gare a cui partecipano, quindi preferisco comportarmi in maniera differente, spesso cambiando discorso.

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