Antonio
Filippo Salaris è un atleta
italiano specializzato nelle ultra-maratone e nelle ultra-maratone
nei deserti.
Antonio
Filippo Salaris ha ottenuto
numerose vittorie a livello nazionale e internazionale, ma tra i
risultati di maggiore rilievo figura il quarto posto alla prestigiosa
e durissima Marathon des Sables tenutasi nel 2013.
Ciao
Filippo, hai corso partendo dagli 800 metri, passando dalle mezze
maratone, maratone, fino ad arrivare alle ultra-distanze. Come sei
arrivato a correre le ultra?
Prima
che interrompessi per 10 anni di gareggiare, da ragazzino correvo gli
800m e i 1500m. Le distanze corte mi facevano soffrire molto, fino a
uscire dal campo senza la voglia di tornare in pista.
Mi
è, quindi, scattata una molla che mi ha portato a desiderare di
confrontarmi con distanze più lunghe, come i 10.000 e oltre.
Purtroppo
sono stato sfortunato. Seppure il mio allenatore fosse un buon
allenatore, si concentrava unicamente sul mezzofondo. Sosteneva che
le mezze-maratone e le maratone fossero questione per atleti dai 30
anni in su. Nonostante presi parte alla mia prima mezza a 15 anni e,
nonostante, la mia mente ragionasse già per le lunghe distanze, mi
trovai frenato.
La
filosofia dei primi anni 90' sosteneva che bisognasse attendere prima
di dedicarsi alle lunghe distanze. Non potendo quindi prendere parte
a gare lunghe, mi dedicai alle gare veloci. Oggi vediamo che alle
maratone corrono anche i 20enni, quindi quella filosofia era
sbagliata. Quando hai le gare lunghe nel sangue, partecipi alle gare
veloci solo se non puoi fare altrimenti.
Mi
hai raccontato che le gare lunghe le avevi nel sangue e che eri
mentalmente predisposto a queste distanze. Quali senti siano gli
aspetti mentali che via via le distanze si allungano diventano
importanti?
La
prima cosa che mi viene in mente è la pazienza. Un bravo
ultra-maratoneta deve essere paziente sia nella fase di preparazione,
che in gara.
In
una competizione di 80 km, non può, dopo un km, pensare che ne
mancano ancora 79. La gara parte dal 30esimo o dal 40esimo km e per
pensare in questo modo, credo la pazienza giochi un ruolo importante.
Gestione
della crisi. Molti atleti che si rivolgono alle ultra-distanze
concepiscono la crisi come un aspetto costitutivo di questa
disciplina. Tu cosa ne pensi? Come affronti una crisi?
Se
la gara è molto lunga, di 7/8 o anche 10 ore, la crisi devi
aspettartela, prima o poi sai che arriverà a tutti. Personalmente,
quando arriva, cerco di tenere il cervello occupato iniziando a
contare fino a 100. Conto fino a 100 e, visto che sono in crisi,
rallento il passo, e poi riprendo a contare.
Continuo
a contare e aspetto che la crisi passi. Conto e, chiaramente, non
penso mai a ritirarmi.
Una
curiosità, nella tua vita lavori con i numeri? Che rapporto hai con
i numeri? Ti piacciono?
Nella
vita sono un imprenditore ed i numeri quindi rientrano in alcuni
aspetti del mio lavoro.
Se
però sei interessato a sapere perchè conto fino a 100, ti rispondo
che è l'unico modo per far passare il tempo.
Le
tue origini sono sarde. Credi che ci siano degli aspetti tipici della
tua regione che ti contraddistinguono come runner?
In
Sardegna trovo le condizioni ideali per allenarmi, condizioni che
ricalcano bene quanto accade in gara.
Quando
ho preso parte alle ultra-maratone nel deserto, ci sono stati momenti
in cui seguivo i marocchini e altri momenti in cui erano loro a
seguire me, ma tendenzialmente sei solo. In corsa tendenzialmente c'è
solitudine.
In
Sardegna poca gente pratica questo sport ed io, inoltre, sono
abituato ad allenarmi da solo. Oltre a questo aspetto similare, anche
il paesaggio a volte ricalca il deserto. Io abito vicino ad Alghero.
Nei pressi di dove abito, si trova Porto Ferro. Il paesaggio è a
tratti verde e a tratti desertico, sembra quindi di correre nel
deserto.
Allenarmi
in Sardegna penso quindi sia ideale. Poi c'è il mare e a me piace
allenarmi dove c'è il mare.
Hai
ottenuto alcuni risultati di rilievo in corse nel deserto. Secondo te
cambia qualcosa dal punto di vista psicologico quando si corre in un
deserto?
Sono
stato un maratoneta. Ero anche un maratoneta discreto, da 2 ore e 30
a circa 40 anni, ma la maratona era diventata monotona. Puoi credere
che la strada ti dia delle soddisfazioni, perchè l'ambiente ogni
tanto cambia, ma non è proprio così. Corri in mezzo alla gente e
quindi anche se sei a New
York, Londra o Berlino, la cornice rimane sempre la stessa.
Dal
mio punto di vista, l'ultra-maratona, anche se fatta nel deserto, è
meno noiosa della maratona. Seppure si pensi che il deserto sia
monotono, nel deserto ci sono gli erg, le dune, e i laghi salati. Nel
deserto puoi anche gustare la solitudine.
Credi
che la capacità di stare soli possa essere allenata?
Lavorativamente
non ho orari. Avendo diversi appuntamenti, mi capita spesso di
tornare a casa alle 9 di sera. Non avendo, quindi, molto tempo per
allenarmi opto per il Tapis Roulant e per 15/20 giorni di fila questo
diventa il mio allenamento, senza che io veda la strada.
Mi
capita anche di preparare delle gare correndo sul Tapis Roulant per 3
ore, pensando ad altro e senza che questo mi crei problemi. Seppure
sia consapevole che un allenamento simile sia impensabile per molte
persone, credo che mi aiuti molto per imparare ad affrontare la
monotonia e la solitudine delle gare.
Quindi
senti che l'allenamento indoor sia molto utile per preparare una
ultra nel deserto?
Pensa che quando devo allenarmi per le corse nei deserti, sistemo delle stufe davanti al Tapis Roulant e dei teli dietro, in modo da elevare la temperatura fino anche a 35°, ricreando così delle condizioni simili a quelle di gara.
Questo,
a mio avviso, è l'unico sistema per ricreare la situazione che ho
provato nei deserti in Senegal o alla Marathon des Sables. So che
queste tecniche possono sembrare estreme, ma mi portano a soffrire
meno degli altri europei, riuscendo ad andare molto vicino ai
Giordani e ai marocchini.
Se
pensi alla tua vita, fin da quando eri bambino, c'è stato un momento
o una situazione in cui ti sei accorto di essere particolarmente
resistente e predisposto alla resistenza?
Sì,
cè stato. Avevo 12 o 13 anni, soffrivo di un soffio al cuore, e mi
mancavano circa 4/5 cm di un polmone. I medici proibivano a mia madre
di farmi fare sport, ma io uscivo a correre di nascosto Visto che gli
altri bambini correvano, io lo facevo di nascosto.
A
14 anni, a sorpresa, mi presentai ad una gara ad Alghero, in salita.
Seppure alla fine mi sentii male, la terminai e la chiusi, credo,
bene. In quel momento compresi di essere resistente e che nel mio
futuro ci sarebbero state le lunghe distanze. Quando prendevo parte
alle corse di paese, speravo che le distanze fossero le più lunghe
possibili. Mi accorgevo che proprio quando gli altri si staccavano e
facevano fatica, io in iniziavo a dare il meglio di me. Forse a
questi tempi non esistevano le ultra-maratone o forse io non ne
conoscevo l'esistenza, ma avevo scoperto di essere resistente.
Purtroppo
poi non ebbi la fortuna di coltivare la mia passione. Non riuscii ad
entrare nelle fiamme oro e nemmeno in polizia. Parte della mia
sfortuna consiste nell'essere nato nel 1971. Leuprecht, Bennici, Modica e Baldini
sono tutti nati nel 1971 ed erano tutti in polizia. Tutti correvano i
10.000 in 29/30 minuti e quindi io, seppure riuscissi a correre in
32 minuti, non riuscii ad essere preso in polizia e non potei
migliorare ulteriormente. Successivamente smisi di correre per circa
dieci anni e ripresi a 33 anni. Oggi ho 44 anni e mi dedico alle
ultra maratone, anche con buone soddisfazioni.
Si
consiglia spesso agli ultra runner di imparare a conoscere se stessi,
per imparare a trovare e gestire il ritmo. Quanto tempo è necessario
prima di arrivare a un punto soddisfacente? Mesi, anni o dopo alcuni
eventi di vita?
Se
parliamo proprio di tempo, secondo me servono almeno tre anni. Nella
mia esperienza mi ci sono voluti circa 3 anni per scoprirmi e per
imparare dai miei errori.
Ho
smesso di correre le maratone nel 2010, seppure facessi sempre più
kilometri in gara facevo molti errori. L'errore più comune è
partire troppo forte. Ogni gara fa storia a sé ed, anche oggi, è
un'occasione di apprendimento, ma credo che dopo 2 anni e mezzo/3 ho
imparato a gestirmi.
Nella
Marathon des Sables, dove tu hai sfiorato il podio nel 2013, il
corridore deve portarsi lo zaino con tutto il necessario per i 5 o 6
giorni di gara. Con che approccio mentale si può superare la
privazione di comodità e, forse soprattutto, di cibo?
Innanzitutto
penso che ad una settimana così dura non ci si possa abituare.
Nonostante ciò e nonostante noi occidentali siamo abituati alle
comodità, bisogna partire con la mentalità giusta. Stare una
settimana senza lavarsi, mangiando cibi liofilizzati o frutta secca
non è facile e va affrontata a pugni stretti.
Devo
però dire che si possa migliorare con l'esperienza. Il primo anno
non sono stato molto bene, mentre il secondo mi sono accorto che
riuscivo a gestire molto meglio le condizioni che si trovano nel
deserto. Uno degli aspetti che più mi mettono in difficoltà è il
dormire per terra. Seppure ci avessi provato 20 giorni, a casa, prima
di partire, credo che sia una cosa molto difficile da affrontare per un uomo
europeo
Credo
però che se queste condizioni fossero protratte per più di una
settimana, sarebbe molto complicato. Anche se hai una
predisposizione, dal quarto giorno in poi inizi a soffrire. Ho il
ricordo di uomini di 50 anni che piangevano. Le condizioni nel
deserto sono molto forti, vedi le unghie che vanno via, la pulizia
che non esiste.
È
risaputo che dopo aver convissuto in tenda per tutta la durata della
Marathon des Sables si instaurano profonde amicizie. Credi che le
condizioni difficili possano aiutare le persone ad avvicinarsi agli altri?
Si
credo proprio di si. Partecipare a queste gare e prendere parte
soprattutto alla Marathon des Sables è come fare il militare, una
sorta di corso accelerato.
Come
ho ancora forte il ricordo dei miei compagni di camerata, così è
per le persone con cui ho condiviso le tende in corsa. In questi
contesti si creano le condizioni per la nascita di amicizie che
durano per tutta la vita. Ancora oggi mi sento spesso con chi era in
tenda con me.
Io
ho legato soprattutto con un atleta che parteciperà alla Marathon des Sables quest'anno. Con lui, ho dormito una notte in tenda quando
grandinava e faceva un freddo cane. L'unica possibilità per
scaldarci era dormire col sacco a pelo vicini come due fidanzati. Non
mi dimenticherò mai questa scena.
Lo
fai perchè stai soffrendo, ma questo porta a imprimere nella tua
memoria scene e persone, che non ti dimenticherai più. Affrontare i
problemi e la fatica derivate da una settimana di fuoco, porta a
stringere legami molto stretti.
C'è
qualcosa che non ti ho domandato e che ti piacerebbe aggiungere?
Che
sono un atleta anomalo, che diventa atleta solo quando si toglie gli
abiti lavorativi. Parlo raramente della mia vita sportiva al bar o
con i miei collaboratori. Alcuni di loro sanno che corro, solo perchè
l'hanno letto sui giornali.
Su
facebook preferisco pubblicare foto della pesca, che è una mia
grande passione, mentre è più difficile che pubblichi di gare o
allenamenti. A differenza di molti sportivi che vivono per lo sport e
che ne parlano continuamente, io sono più riservato. La vita da
atleta è un mio segreto, che tengo per me e del quale sono un po'
geloso. Lo sport è un momento di intimità tra me e me, che vivo
unicamente quando tolgo gli abiti da lavoro.
Non
dico che non provi piacere andare sul podio, passando così una mezza
giornata di festa dopo le ore di fatica sostenuta in gara. Quel tempo
me lo godo, ma so che un sogno di poche ore, prima di tornare alla
mia vita quotidiana.
Ti
faccio un esempio che mi è capitato il giorno passato. Ero a Roma
per lavoro. Sono entrato in un'edicola per acquistare un giornale
sulla corsa. L'edicolante era un runner e mi ha domandato se anche
io, come lui, corressi. Quando mi ha chiesto come mi chiamassi,
scoprendo che mi conosceva, ha iniziato a farmi molte domande. Se
avessi potuto tornare indietro nel tempo, avrei evitato che si
creasse l'occasione per parlare di me. Ho spesso la sensazione che le
persone si pavoneggino dei kilometri che percorrono e delle gare a
cui partecipano, quindi preferisco comportarmi in maniera differente, spesso cambiando discorso.
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