mercoledì 20 gennaio 2016

Musica in Movimento: David Bowie - Space Oddity

David Bowie è stato molto più di un pugno di canzoni di successo: innovatore, punto di contatto tra avanguardia e cultura pop, ispiratore per una generazione di musicisti della new wave anni '80, e molto altro ancora. Una cosa certa ed innegabile è che con alcune sue canzoni accompagna le corse di tante persone, grazie alla capacità di proporre melodie memorabili su ritmi ben cadenzati. Difficile scegliere un album in particolare da consigliare tra le tante pietre miliari che ha lasciato lungo il suo cammino: "Ziggy Stardust", "Heroes", "Honky Dory", "Low"... Ma io mi soffermo su "Space Oddity", forse mezzo gradino sotto i sopracitati, ma contenente non poche cavalcate folk-rock adattissime come sottofondo musicale per allenamenti mediamente intensi.


Uscito nel 1969, rappresenta il secondo album di David Bowie, ancora nella fase più classica della musica. Nonostante ciò, l'album si apre con la memorabile title track "Space Oddity", anticipatrice dei temi fantascientifici di Ziggy Stardust", passando tra diversi cambi di ritmo e una melodia che è entrata nella storia della musica"Unwashed and Somewhat Slightly Dazed" lungo i suoi incessanti 6' sembra tratta dalla discografia del primo Bob Dylan, con anche l'armonica a bocca, tipica dei folk-singer anni '60. 

"(Don't Sit Down)" è un piccolo scherzo di meno di un minuto, un intermezzo prima di "Letter to Hermione", il brano più intimista del lotto, tratta da una vera lettera che Bowie scrisse ad una ragazza anni prima. 

Gli oltre 9 minuti di "Cygnet Committee" sono una specie incontro tra il cantautoriato alla Bob Dylan (complice anche il testo-fiume e la critica sociale) e il progressive che nell'Inghilterra di quegli anni stava per raggiungere l'apice, con un incedere a tratti epico, ma senza eccedere nel barocchismo, canzone perfetta per lasciare andare nella corrente del suo scorrere. 

"Janine" appare più classica, ma sempre intensa, grazie al tagliente riff della chitarra di Tim Renwick. Tema di nuovo intimista e approccio folk per "An Occasional Dream". Orchestra e musica classica invece per "Wild Eyed Boy from Freecloud", vera chicca dell'album. "God Knows I'm Good" è un altro pezzo di dylaniana ispirazione, un folk con un ritmo più intenso e nervoso, adatto per andature più veloci. L'ultima traccia è "Memory of a Free Festival", il defaticamento finale: lungo i suoi 7 minuti si va dalla partenza sommessa al cantato disincantato della strofa, fino al ritornello in coro ripetuto ossessivamente per tutta la seconda parte della canzone.

Un album non tra i più memorabili della discografia di David Bowie, ma non per questo meno importante, decisivo per unire i suoi inizi più cantautoriali con le successive raffinate ricerche espressive, e soprattutto, per quel che ci riguarda, musica perfetta per accompagnare piacevoli allenamenti.

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