giovedì 27 aprile 2017

Musica in Movimento: Genesis - The Lamb Lies Down On Broadway

La musica progressive non è mai stata considerata per tutti, e potrebbe non sembrare tale nemmeno per essere ascoltata durante un’attività sportiva. Eppure, nell’ecclettismo, nelle dinamiche, nelle strutture e nelle melodie di questa genere musicale in piena evoluzione nei primi anni ’70, si possono nascondere non pochi utili preziosi aiuti per accompagnare lo sport, oltreché, naturalmente, allargare i propri orizzonti musicali e ammirare le perfette esecuzioni strumentali. I Genesis sono da considerarsi trai i gruppi più importanti di quel periodo musicale, e il leader del loro primo periodo, Peter Gabriel, tra i migliori esponenti della musica pop-rock a livello assoluto. Tanti sono stati gli album degni di nota, direi tutti i loro primi 6 album, escluso il primo, ma il più importante e forse utile per il nostro obiettivo è proprio l’ultimo di questi, “The Lamb Lies Down On Broadway”, del 1974, che rappresenta anche l’ultimo lavoro di Gabriel con il gruppo. Ed è proprio Peter Gabriel ad essere l’assoluto protagonista dell’album doppio (della durata di oltre un’ora e mezza), inventore del soggetto del concept e autore di quasi tutti i testi.

La storia raccontata in musica parla di un ragazzo, Rael (alter ego di Peter Gabriel), che si ritrova fuori dalla metropolitana a Broadway, e vagando per New York ha diversi incontri con personaggi surreali. Il pianoforte di Tony Banks apre la dinamica titletrack “The Lamb Lies Down On Broadway”, dove si denota un cambiamento rispetto ai Genesis dei loro lavori precedenti: se prima la loro musica partiva da una piattaforma folk per spostarsi verso composizioni più ricercate, ora il lato acustico diminuisce, il suono è più potente e la produzione più curata, e benché le canzoni siano legate tutte una con l’altra,  non ci sono le lunghissime suite tanto care al progressive. 

“Fly On A Windshield” parte pacata, per poi aprirsi in un sound corposo e con chitarre psichedeliche, collegandosi al riff quasi hardrock di “Broadway Melody Of 1974”. Sopra un bel giro di chitarra di Steve Hackett si posa la leggera “Cuckoo Cocoon”. In crescente dinamismo è la lunga “In The Cage” (non lunga e complessa come le vecchie suite dei Genesis), con Tony Banks assoluto protagonista insieme alla batteria di Phil Collins. Passaggio surreale in “The Grand Parade Of Lifeless Packaging”, e di nuovo forza ritmica in “Back In N.Y.C.”. “Hairless Heart” è la cosa più vicina ai primissimi Genesis, con chitarre quasi folk e atmosfere sospese, introduzione alla leggera e pop “Counting Out Time”. Eterea e sognante è la splendida “Carpet Crawlers”. La prima metà si chiude con “The Chamber Of 32”, sorta di country-pop-progressive.

La seconda parte si apre con la rockeggiante “Lilywhite Lillith”, con Michael Rutheford e Steve Hackett a costruire un potente muro sonoro con le loro chitarre. Strumentale, delirante e oscura è “The Waiting Room”; con un prezioso pianoforte, “Anyway” ridona colore e respiro, così come “Here Comes The Supernatural Anaesthetist”. Perfetto stile Genesis in “The Lamia”, dove melodie, atmosfere sospese e potenza ritmica vanno di pari passo. Suoni quasi new age ante litteram in “Silent Sorrow In Empty Boats”, e psichedelia delirante nella surreale “The Colony Of Slippermen”, unica vera suite dell’album, divisa in tre parti. Ancora suoni sospesi e visionari in “Ravine”. Torna il tema sonoro iniziale in “The Light Dies Down On Broadway”, pre-finale della lunga storia raccontata. Rimane ancora la zoppicante “Riding The Scene”, dove Tony Banks crea una splendida fuga con le sue tastiere. “In The Rapids” è un richiamo folk dei primi Genesis, e la finale “It”, superdinamica e dai ritmi a rotta di collo (con l’ottimo lavoro di Phil Collins, il batterista più sprecato della storia della musica rock), ci accompagna al termine della storia, dove il protagonista, Rael, trova la maturità per diventare definitivamente uomo.

L’album che ha portato all’allontanamento dai Genesis di Peter Gabriel, dall’ego e dalle idee troppo grandi e complesse per essere sopportati dagli altri (grandi) musicisti. Un album da storia della musica, e che nella sua ora è mezzo è in grado di accompagnarci ovunque vogliamo.

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