lunedì 24 aprile 2017

Dialogo col campione: Massimiliano "Massi" Milani

Massimiliano "Massi" Milani è padre, manager e forte runner.

Negli ultimi anni ha ottenuto una crescita costante, che gli ha permesso di inserirsi tra i più forti podisti italiani over 40.

Conosciuti e apprezzati sono gli articoli di approfondimento sportivo, da lui, curati per therunningpitt.com









Ciao Massi, so che sei stato prima un runner “tapascione” e ora sei a tutti gli effetti un “agonista”. In passato c'era già una parte di te agonista? C'è ancora, in te, una parte tapasciona?

Sai Cesare, la risposta è abbastanza semplice. Ho iniziato un'esperienza professionale fuori dall'Italia che mi ha portato molto spesso, se non quasi sempre, a mangiare al ristorante. Nei primi due anni sono ingrassato in maniera importante. L'essere in sovrappeso è stato l'evento scatenante per iniziare a correre.
Quasi da subito mi sono reso conto di avere la possibilità di migliorare molto rapidamente. Poi, leggendo il famoso libro del professore sudafricano Noakes “The Lore of Running”, ho compreso come il principale fattore limitante per un Runner fosse la velocità. Io, nonostante il sovrappeso, correvo già abbastanza forte. Per darti un'idea, dopo poche settimane, anche se solo per un minuto, correvo a 3'40 al km. Partendo da questo presupposto, il mio percorso è stato pianificato, non tanto per aumentare la velocità, ma la resistenza alla velocità. Nel corso di 7 anni sono riuscito ad aumentare il numero di km da correre a un dato ritmo e in parte anche a correre più rapidamente.
Quindi, per rispondere alla tua domanda, da una parte non credo di essere mai stato un tapascione. Mi sono sempre dato degli obiettivi di miglioramento, seppure connessi alle mie di prestazioni e meno al confronto con gli altri. Non mi è mai interessato vincere o arrivare sul podio in una competizione. Il mio desiderio è sentirmi bene dal punto di vista mentale e raggiungere determinati obiettivi cronometrici.
Dall'altra parte, in me c'è sempre una parte tapasciona. Il mio approccio agli allenamenti è Slow. Cerco costantemente di allenarmi lentamente. Con i viaggi, gli spostamenti, lo stress derivante dal mio essere manager, non posso spingere al massimo. Solo 1 o 2 giorni a settimana posso correre forte. Il resto dei giorni io sono un tapascione. Sono un tapascione per l'80% del tempo.

Ascoltandoti ho avuto la sensazione che ci sia stato un piano di miglioramento a lungo termine. E' effettivamente così?

Assolutamente si. I limiti ci sono in tutte le persone, ma la pianificazione c'è sempre stata e chiaramente c'è ancora oggi.

Prima di essere un runner, sei un lavoratore e un professionista. Pensi la tua formazione universitaria e lavorativa abbiano dato qualcosa al tuo essere sportivo? Lo sport ha dato qualcosa in cambio al tuo lavoro?

Le due cose sono abbastanza collegate. Dal punto di vista professionale la mia filosofia è abbastanza semplice, ma innovativa. Quello che penso si ispira al libro “Drive”, manifesto della Radical Agility, scritto circa 6 anni fa dal prof. Pink.
Secondo il professor Pink la motivazione manageriale, come la motivazione in generale, è indipendente dagli incentivi e discende dalla combinazione di 3 fattori: 1) indipendenza; 2) possibilità di avere un obiettivo/scopo da raggiungere, facendolo nella maniera migliore; 3) masterizzare l'argomento che si tratta o la materia che si vuole approfondire. Secondo me queste 3 caratteristiche esistono nella carriera professionale, come nello sport.
Se non sei una persona che cerca di ottimizzare, qualcun altro, o qualche altra azienda, finirà per essere più bravo di te nel migliorarsi o trasformarsi. Inoltre, se questo non fosse vero, correremmo il rischio che chi vende il prodotto o il servizio ad un prezzo più basso otterrà un Appealing da parte del consumatore finale.
Anche lo sport credo abbia dato qualcosa alla mia pratica professionale. Gli americani dicono “Keep you Honest”. Lo sport ti aiuta a comprendere i tuoi limiti. Sai, a livello aziendale a volte si fanno dei piani strategici a lungo termine, che non hanno un'attuabilità precisa. Nello sport è diverso. Se noi dovessimo correre una maratona sappiamo che in 2 ore non possiamo farcela. Seppure io sia consapevole, che, per tendenza o per natura, sono un'ottimista, grazie allo sport ho imparato ad essere Honest, migliorando così anche a livello lavorativo. L'ottimismo non sempre paga.

Le discipline a cui ti rivolgi sono la maratona e la mezza maratona. Quali credi siano le differenze nella gestione mentale di queste due distanze?

Non ho mai cercato di ottimizzare la performance in una mezza. Questa distanza è sempre stata un supporto alla maratona, che è il mio vero e unico obiettivo. Dato che cerco di pianificare, ho preso questa decisione. Secondo me le due discipline non sono assolutamente simili dal punto di vista dell'allenamento. Se un atleta desidera ottimizzare i risultati deve necessariamente scegliere e limitare la scelta a una delle due.
Dal punto di vista mentale la maratona è molto più avvincente, perchè nel corso della gara si scoprono lati di noi stessi o si affrontano difficoltà che la mente ci aiuta a superare. La mezza maratona è meno legata a una questione mentale, mentre la determinante è prettamente fisica. Se si è riusciti a svolgere il ciclo di allenamento stabilito in modo preciso, la probabilità di ottenere il risultato atteso è alta. Nella maratona, se tralasciamo la potenza lipidica, ci sono sempre momenti in cui ci si trova in difficoltà.
Nella scorsa maratona di Parigi, al 30° km, la strada saliva leggermente, la temperatura aumentava minuto dopo minuto, mi trovavo con ragazzi molto più giovani di me che andavano molto forte e mi sono trovato a pensare di mollare. Grazie alla capacità di resistere, mi sono aggrappato mentalmente a questi giovani francesi e sono rimasto con loro fino alla fine. Addirittura, negli ultimi 2 km, quando mi trovavo sugli champs elysee, li ho superati, superando anche la sesta donna, un'etiope con un tempo sulla mezza maratona significativamente più basso del mio.

Parlando di maratona, quali credi siano le qualità caratteriali che possano favorire il successo di un Runner?

Secondo me ce ne sono 2. La prima in assoluto è la focalizzazione. Partendo dal presupposto che ognuno di noi ha dei limiti, è necessario identificare in maniera precisa in che tempi passare e a quali distanze. Non ha molto senso spingere molto di più di quello che si può fare nell'arco dei 42 km. Essere focalizzati e sapere a che punto si può arrivare è un aspetto significativo che contribuisce alla performance.
Il secondo aspetto è legato alla gestione dello sforzo. Salvo il caso si corra sotto sforzo, una crisi si affaccerà molto probabilmente nella testa di un maratoneta. In frangenti come questi è importante non scoraggiarsi, ottenendo dalla mente quello che di fatto il corpo non ha. Seppure il corpo dica di fermarti, grazie alla capacità di fare fatica un atleta può continuare a correre.
Così mi è accaduto a Parigi. Quando mi trovavo in salita, tra il 34° e 35° km, vedevo persone, al bordo della strada divertirsi e bere champagne. Io, in quel frangente, faticavo e non riuscivo nemmeno a tenere il ritmo utile al raggiungimento del mio obiettivo. La capacità di fare fatica e superare le difficoltà è fondamentale ed è grazie ad essa che ho proseguito.

Col passare degli anni hai migliorato i tuoi personali. Sicuramente una ragione alla base di questo miglioramento è riconducibile all'allenamento e all'aspetto atletico. Credi ci siano state delle acquisizioni anche di natura mentale?

Credo sia migliorata la capacità di affrontare queste tipologie di sfide. Detto ciò, Cesare, bisogna considerare che, se andiamo a disegnare un diagramma delle mie performance negli ultimi anni, 8 gare su 10 ho fatto il mio personale.
Non vorrei portarmi sfortuna, ora ho 45 anni, pensare di migliorare ancora è difficile, ma quanto accaduto non credo sia un caso. Si può migliorare ogni tanto, ma se migliori sempre significa che c'è una buona capacità di pianificazione.

Questa è una capacità che fa parte di te e della tua professione. Ti sei accorto di essere migliorato sotto questo aspetto nei tuoi anni da sportivo?

Assolutamente si, l'esperienza aiuta sempre. Grazie ad una delle mie passioni, la lettura, ho potuto comprendere come non esista un solo modello che permetta il miglioramento delle prestazioni. Importante è capire quale tra questi sia il più giusto per il nostro corpo, per il tempo a nostra disposizione e per il nostro contesto di vita.
In passato, a causa dell'inesperienza, ho commesso degli errori, che hanno ritardato il mio miglioramento. La domenica correvo più tempo di quanto faccia ora. Oggi preferisco dedicare più tempo alla famiglia invece di correre mezzora in più. Il mio lavoro non mi permette di vedere spesso i miei piccoli, che stanno crescendo. Passare del tempo con loro mi permette di acquistare una serenità che non potrei avere se mi focalizzassi unicamente sulla corsa o sul lavoro.

Parlando di lettura, quanto secondo te leggere può aiutare un atleta?

Leggere aiuta a sviluppare la mente. Se ci concentriamo sulla letteratura scientifica sportiva, chi ha la voglia e la fortuna di leggere può fare un passo in più rispetto agli altri atleti. Oggi c'è la possibilità di accedere a numerose conoscenze in tutti i settori sportivi e non solo per l'allenamento. Esistono pubblicazioni inerenti la definizione degli obiettivi, l'alimentazione e gli aspetti mentali. Grandi sono quindi le possibilità per uno sportivo di migliorare. E' grazie alla lettura che ho potuto comprendere come il mio corpo si comporta e perché si comporta in un determinato modo. 
Inoltre, il processo della conoscenza è oggi molto differente. Oggi possiamo accedere alle librerie virtuali di tutto il mondo e non è più necessario chiedere all'amico che ne sa in maniera limitata. Anche il costo e le possibilità d'acquisto sono aumentate notevolmente grazie ai libri elettronici.

Negli tuoi articoli di approfondimento a www.therunningpitt.com affronti spesso il tema dell'alimentazione. Per ottimizzare la prestazione credi sia meglio un regime dietetico specifico per gli sport di endurance, anche a costo di non sentirlo proprio, o un regime più flessibile e meno specifico, che si sente più in linea alla propria visione del mondo e ai propri gusti alimentari?

Secondo me i gusti alimentari sono individuali e la scelta di cosa mangiare prima, durante, dopo la corsa o in un periodo a più lungo termine, va lasciato all'atleta. Credo sia utile essere flessibili e non consiglierei un regime specifico. L'obiettivo consiste nell'ottimizzare il peso e per farlo i metodi sono svariati. Leggendo il libro scritto da Djokovic, un paio di anni fa, emergeva come nessuna scelta, da lui fatta, fosse fondamentale o obbligatoria. 
Parlando della mia esperienza posso raccontarti di come mio zio vendeva formaggi e, in particolare, Parmigiano Reggiano. Io adoro il Parmigiano Reggiano e trovo che sia irrilevante domandarmi se sia o meno giusto mangiarlo. Per questa ragione, il regime dietetico deve essere legato ai gusti alimentari del singolo atleta.
Certo, non si può mangiare tutto. Le cose che ci piacciono vanno limitate, se comportano un rischio di aumentare peso. L'importante è bilanciare ciascun alimento, tenendo a mente che si ha un determinato obiettivo di peso.

C'è qualcosa che non ti ho chiesto, ma che ti piacerebbe approfondire?

Ci tengo a sottolineare che correre è importante, ma non è la mia vita. Correre è solo una parte della mia vita.

Posso chiederti come mai ritieni importante sottolineare questo aspetto?

Nell'ultimo anno e mezzo, da quando ho iniziato a scrivere sul blog di Gianmarco Pitteri, mi è capitato spesso di sentirmi rivolgere domande relative ai miei allenamenti, su cosa faccio o meno. Non sono convinto che questo sia un argomento che vorrei trattare con le persone che incontro. Preferirei parlare di cultura generale, politica e soprattutto di economia. Non sono interessato e non troverai in me, se dovessimo incontrarci a cena, la persona che parla e racconta delle sue imprese podistiche.
La ragione che mi ha portato ad utilizzare Facebook è connessa a questo aspetto. Grazie a questo strumento ho la possibilità di raccontare una sola volta le mie performance, senza dovermi ripetere continuamente.

Interessante ciò che dici, considerando che viviamo in un epoca in cui apparire e dimostrare di essere prestativi è decisamente importante.

Vedo spesso persone che si atteggiano a sportivi di eccellenza, pur essendo uno dei tanti. Io non voglio essere considerato uno sportivo di eccellenza, perchè non lo sono. Non mi interessa mostrarmi nelle vesti di una persona che non rappresento.

INTERVISTA A CURA DI:
Cesare Picco autore del libro "Stress e Performance Atletica"

Psicologo/Psicoterapeuta e psicologo dello sport

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