Appena stati in Italia per tre date, richiamando migliaia di nostalgici appassionati, i britannici The Cure sono stato senz'altro la più influente band dark-wave degli anni '80. E ancor di più, Robert Smith ne è stato il più influente personaggio. Affetto da una carica malinconica/romantica con pochi eguali, Smith è stato, insieme a Ian Curtis, il portavoce dei disagi generazionali del post punk settantino britannico. E in questo senso, "Pornography", del 1982, racchiude la perfetta essenza di quel sound, decadente, paranoico, teso, e allo stesso anche melodico e ritmico.
Batteria elettronica e tastiere aprono la nervosa "One Hundred Years", vero manifesto dark, con ritmo e tensione che non mollano mai per gli oltre 6 minuti di durata. "A Short Term Effect" presenta in primo piano la batteria di Laurence Tolhurst e il basso di Simon Gallup, meno tirata, ma sempre sofferente e senza pause.
"The Hanging Garden" tiene ancora alto il ritmo sotto la spinta di batteria e basso, e Robert Smith con la sua magnifica voce a cantare le visioni decadenti del testo. Si rallenta con "Siamese Twins", ballata oscura e allo stesso tempo sognante. Batteria che riprende col suo incedere incessante in "The Figurehead", dove Robert Smith regala magici giri di chitarra, liquidi e tenebrosi. "A Strange Day" mantiene i temi gotici di tutta l'opera, che vengono estremizzati nella seguente "Cold", dolorosa, dolorante, inquietante, e magnifica.
Con la finale "Pornography" tornano i ritmi incessanti di batteria, sopra cui su poggiano tastiere minacciose, atmosfere angoscianti, accordi dissonanti e suoni maligni, il lato più oscuro dell'anima di Robert Smith.
Poche canzoni, otto, che racchiudono però perfettamente la desolazione, le psicosi, il decadentismo, ma anche le speranze, di quel gran genio di Rob Smith. E con ritmi da non sottovalutare mai.
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