22 Ottobre 2006
Interlagos, Brasile.
Il mondiale di Formula 1 del 2006 all’ultimo capitolo. Michael Schumacher, il
pilota più vincente di sempre, giunto all’ultima pagina della sua carriera. Il
titolo in palio, seppur solo per la matematica, dato che nella gara precedente
un ritiro era costato carissimo al pilota della Ferrari.
10 punti da recuperare. Vincere, sperando in un ritiro di Alonso. I tratti di
un sogno delineavano i contorni di una speranza, cancellando le certezze a
favore di ipotesi e calcoli.
Vincere e sperare. La pole che diventa un miraggio, la vittoria una chimera. Ed
è solo sabato. Schumacher deve partire decimo, nell’ultimo step delle prove, l’ennesima
sfortuna della stagione: una rottura non identificata non gli permette neppure
di entrare in pista.
Alonso è quinto.
Il tedesco parte aggressivo, cerca disperatamente la rimonta, superando
ostacoli, piloti e detriti, ma ancora la cattiva sorte si accanisce su di lui.
Durante il sorpasso ai danni di Fisichella, la sua posteriore sinistra tocca l’alettone
dell’italiano. La gomma è forata, il controllo è difficile. La macchina sbanda,
deve rallentare. Il rientro ai box è obbligato, ma per farlo deve percorrere un
intero giro. Al rientro in pista è doppiato.
Tutto sfumato, il sogno di chiudere da campione del mondo è ormai rinchiuso nel
cassetto.
Poteva rallentare, godersi i suoi ultimi giri guardando il pubblico. Ma 7
titoli non si vincono per caso.
La fame di un campione, la voglia di far ricredere i critici.
Michael comincia a inanellare giri veloci. Uno dopo l’altro. Recupera il gruppo
e, macchina dopo macchina, supera gli avversari, più veloce di tempo ed età.
Heidfeld, Yamamoto e Sato. Nessuno riesce a resistere per più di qualche curva.
De la Rosa e Kubica. Volare.
Alonso è perso, l’orgoglio no.
Davanti a se, stavolta, il tedesco ha Barrichello. Amici e nemici, compagni e
rivali. La storia recente della Ferrari in un duello. Finta a destro, scarto a
sinistra. Alla fine del rettilineo dei box. Il sorpasso di rabbia, di autorità.
I tifosi in piedi, a casa e sugli spalti, l’omaggio al cannibale.
Fuori Rubens, tocca a Giancarlo. Fisichella gli è costato il podio, l’ennesima
battaglia. Basta la pressione del ferrarista per spingerlo all’errore. In curva
1 non riesce a tenere in pista la sua monoposto, esce. Michael è davanti. Da
ultimo a quinto. Una rimonta spettacolare.
Kimi era il suo sostituto annunciato, l’uomo che avrebbe riportato il numero 1
sulla Rossa.
Schumacher lo vede. Lo raggiunge. Lo sfida.
Il vecchio contro il giovane, il passato contro il futuro, mentre il presente,
Alonso, consolidava la seconda posizione.
3 giri alla fine.
Schumacher cerca d’inserirsi a sinistra, il finlandese chiude la porta. Lascia
solo uno spiraglio. L’ultima luce, l’ultimo attacco. O la va o la spacca.
Michael s’infila, pochi secondi, ma sembra un’eternità. Appaiati, ruota a
ruota. L’ultima sfida. Niente poteva fermarlo, Raikkonen deve cedere. Il
tedesco è davanti.
Quarto.
13 sorpassi. 13 rintocchi del tempo.
L’ultima gara in Ferrari, l’ultima gara del vero Schumacher. Vissuta come tutta
la sua carriera. All’arrembaggio, senza fare calcoli, ma entrando curva dopo
curva nel cuore dei tifosi. Facendo cambiare idea anche agli scettici e
dimostrando al mondo che non esiste record insuperabile.
La velocità nel sangue e il talento nelle mani, stringendo il volante e
azzannando la vita.
'I'm Michael Schumacher. I don't need to test my driving ability'
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