Claudio Chiappucci è stato uno dei ciclisti italiani più importanti negli ultimi 30 anni.
Soprannominato El Diablo, vinse una Milano-Sanremo e ottenne, rispettivamente, 3 podi al Giro D'Italia e al Tour de France.
Alcuni commentatori di
ciclismo sostengono che per creare l'atleta ideale sarebbe bastato
unire il corpo di Bugno e la testa di Chiappucci. A questo proposito,
vorrei chiederti quali sono le tue doti dal punto di vista mentale?
Pensi di esserci nato o di averle costruite col tempo?
Innanzitutto
ci tengo a sottolineare che la perfezione non esiste e questo è il
motivo per cui spesso si associa il corpo di Bugno e la testa di
Chiappucci. Detto questo, io non penso di essere nato da subito con
delle doti mentali, ma di averle costruite durante il corso della mia
carriera.
La
caparbietà e la capacità di superare delle difficoltà sono
essenziali nel ciclismo. Molto spesso è la testa a fare la
differenza e questa va costruita negli anni. A volte ci sono atleti
con un fisico bestiale, ma senza la testa per supportare il loro
motore.
L'essere
capace di non mollare. Molto spesso l'istinto ti suggerisce di
lasciarti andare, ma è in quei frangenti che subentra la testa, che
ti ricorda le motivazioni che ti spingono verso l'obiettivo. Possono
essere motivazioni personali, di squadra, legate ai tifosi, ma è la
testa a saperle far fruttare, trasformandole in forza e energia.
Quando eri in
difficoltà eri solito agganciarti a qualche pensiero?
No,
non avevo un pensiero ricorrente. Sai durante una gara di 6/7 ore
pensi a molte cose, le riflessioni sono in continua evoluzione e non
ti soffermi mai su un pensiero unico.
Questo
processo aiuta ad allenare la mente, perchè ti confronti con
situazioni difficili e tu devi capire come uscirne, come far passare
le difficoltà e come arrivare al traguardo. Lo slancio parte dalla
testa e il fisico non fa che cogliere l'input che gli trasmetti con
la testa.
La tua vittoria sul
Sestriere del '92 è ancora negli occhi di molti appassionati. In
quell'impresa hai passato molto tempo da solo. Quali sono secondo te
i rischi, a livello mentale e di pensieri, in cui può incappare un
ciclista che va in fuga?
I
rischi possono essere molti. Mi sono trovato in fuga quasi per caso,
non volevo andare da subito in fuga ma mi ci sono trovato. A quel
punto inizia una fase di riflessione. Devi capire come mai sei in
fuga e cosa puoi fare dal momento che sei in fuga. Continui o
aspetti? Nel frattempo l'adrenalina ti sostiene e ti permette di
proseguire.
I
chilometri passano, il traguardo si avvicina, ma dall'altra parte il
rischio di essere raggiunto o di avere un crollo è in agguato. Tu
devi essere pronto ad affrontare qualsiasi evenienza si presenti e in
quei momenti i pensieri spaziano dalla tua vita personale, alla
situazione di gara, a come superare un momento di crisi, a come ti
comporteresti nel caso venissi raggiunto, a prevedere come
imposteresti la gara se la fuga dovesse finire.
Da quanto mi racconti
un atleta in corsa pensa molto....
Questo
vale per me, ma non so se per tutti sia cosi. Ero un corridore molto
istintivo e per essere così avevo bisogno di pensare molto. Oggi gli
atleti che pensano sono sempre meno, perchè sono i direttori a dare
gli input attraverso gli auricolari.
Ai
miei tempi, seppure delineavamo una tattica iniziale, noi corridori
eravamo obbligati a pensare molto in corsa. In corsa potevamo
decidere per tattiche non previste e per le quali la squadra non era
completamente preparata. La riflessione scaturiva anche dal fatto che
le situazioni di corsa erano in parte non prevedibili.
Uno degli aspetti che
ti ha reso famoso sono i tuoi ripetuti scatti in salita. Oltre
all'aspetto atletico, che deve essere sufficientemente allenato, ci
sono degli stratagemmi mentali che possono rendere uno scatto
efficace?
Lo
scatto è un modo di pensare e può essere efficace o meno in
relazione al tuo avversario. Per me uno scatto non è mai stato
uguale a un altro, perchè i miei avversari variavano, variava la
loro forma fisica e variava la mia.
Non
puoi sapere come andrà uno scatto, non lo puoi preparare a tavolino,
ma devi essere pronto ad adattarti alla situazione che si viene a
creare.
Mi stai dicendo che
uno scatto diventa efficace se sei capace di comprendere bene la
situazione?
Certo!
Uno scatto non nasce per caso! Studi la situazione e i tuoi
avversari, pensi a quanto dista il traguardo, studi la conformazione
della salita e quanto manca alla vetta. Anche il tempo atmosferico
può rendere uno scatto efficace o meno.
Può capitare di
prendere parte a un giro, di partire per una tappa alpina, e ci si
accorge di essere in una giornata no. Non si vuol far capire agli
avversari il proprio stato, per non dare loro un vantaggio. Quali
possono essere degli stratagemmi da mettere in atto?
Secondo
me la miglior difesa è l'attacco. Vuoi far vedere ai tuoi avversari
che ci sei, soprattutto quando sei al tuo meglio. Cerchi di ingannare
i tuoi avversari costruendoti un'immagine, un ruolo.
Gli
dimostri che sei forte, anche se sai che le tue potenzialità quel
giorno sono ben diverse. Sai non sempre puoi essere un fenomeno, ma
hai la necessità di comunicare che sei in forma anche quando non lo
sei.
Mi è
capitato di vincere delle gare quando non ero in forma e di perderle
quando ero molto sicuro delle mie potenzialità. Quando pensi poco e
ti approcci alle gare con semplicità, perdi quell'adrenalina che ti
permette di avere la forza per fare la differenza.
Sei stato un ottimo
discesista. Hai mai avuto paura in discesa?
No,
mai. Pensa che io arrivavo da una caduta i primi anni da
professionista in cui mi sono rotto una clavicola e un piede. Seppure
non per colpa mia, mi sono trovato coinvolto in una caduta.
Dopo
questo infortunio, mi sono ritrovato più forte di prima in discesa.
Forse questo è accaduto perchè sono riuscito a convincermi che la
caduta era stata un caso e non era dipesa da me. Ho scoperto infatti
di essere un ottimo discesista e in particolare nelle situazioni a
maggiore difficoltà, ad esempio con la pioggia.
Se dovessi dare un
consiglio ad un giovane ciclista per affrontare le discese quale
consiglio daresti?
Non
so se un consiglio potrebbe servire, perchè non sempre quando sei
sulla strada riesci a mettere in pratica quello che pensi andrebbe
fatto. Senza un'esperienza importante alle spalle del ciclista non è
possibile dargli un consiglio. A volte i consigli sono semplicistici.
Quando si è a tutta,
ma non si vuole mollare, ci sono dei pensieri che secondo te possono
aiutare? E' differente essere a tutta in gruppo o in solitaria?
Se
sei a tutta da solo significa che stai facendo la differenza, stai
vincendo o stai facendo qualcosa di grande. Se sei in gruppo
significa che stai soffrendo o che sei al gancio. Segui gli altri, ma
stai facendo fatica, e quindi la sensazione che provi è che qualcosa
non quadri. Meglio essere da soli e provare la sofferenza connessa a
fare la differenza sugli altri.
Quindi è meglio
essere soli quando si fa fatica?
Meglio
soli che male accompagnati.
In diverse interviste
hai dichiarato di essere un appassionato di calcio e di averlo anche
praticato. Quali sono le componenti del Calcio che mancano al
ciclismo e quali sono le componenti del ciclismo che mancano al
calcio?
Non credo. Il calcio è
fatto di schemi, è tattica. Lo schema nel calcio funziona sempre.
Nel ciclismo la tattica è in continua evoluzione, cambia sempre.
Varia in relazione al momento, alla gara, al percorso, al tempo
atmosferico, agli avversari e dalle tue condizioni. Le variabili sono
molte nel ciclismo e questo porta a renderlo imprevedibile.
Nel calcio conosci già
gli avversari, sai come giocano e questo rende importante la tattica.
Secondo te non ci sono
competenze che un calciatore potrebbe imparare da un ciclista?
No, sono sport troppo
diversi. Il calcio è uno sport di squadra in cui esiste una
panchina. Il ciclista non può essere sostituito e deve pedalare in
ogni eventualità. Anche a livello di leadership ci sono importanti
differenze. Nel calcio nel momento in cui sei dotato di estro, prima
o poi lo metterai in mostra. Nel ciclismo non è sempre così.
Sono sport molto
differenti. Il ciclismo è molto variabile. C'è la pianura, la
salita e i percorsi cambiano sempre. Credo di essere passato dal
calcio al ciclismo, perchè sentivo mi desse la possibilità di
esprimere al meglio il mio essere.
C'è qualcosa che
vorresti dirmi e che non ti ho domandato?
II ciclista dal punto di
vista mentale è forte, perchè senza forza mentale il fisico vale di
meno. I risultati arrivano perchè hai un carattere forte. Non credo
che per forza si debba nascere così. Io le mie qualità le ho
scoperte col tempo, affrontando le difficoltà e le problematiche che
la vita mi proponeva.
Ho scoperto di essere
caparbio. Questo mi ha permesso di esprimermi e di dirigermi nella
direzione degli obiettivi che desideravo raggiungere. Non ho mai
voluto essere come tutti gli altri, volevo essere unico e questo mi
ha portato anche ad essere perseverante. Non sono nato campione, mi
sono costruito, affrontando le difficoltà.
C'è stato un momento
in cui tu, pensando alla tua storia sportiva, ti sei accorto di avere
delle capacità importanti?
Credo la maglia gialla
nel '90. Mi sono accorto che tutto il mondo mi guardava e ho capito
che c'era qualcosa di me che piaceva alla gente e ai media. In quel
momento mi sono detto “da questo momento devo dimostrare, questo è
il mio momento!”. Volevo dimostrare a me stesso e a chi mi osannava
che non ero un fuoco di paglia, che io c'ero.
INTERVISTA A CURA DI:
Cesare Picco autore del libro "Stress e Performance Atletica"
Psicologo/Psicoterapeuta e psicologo dello sport
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