lunedì 2 novembre 2015

Dialogo col campione - Giorgio Calcaterra

Giorgio Calcaterra è un runner italiano.

3 volte campione del mondo nella 100 km di ultra-maratona nel 2008-2011-2012.

 
Laureatosi 10 volte vincitore nella prestigiosa 100 km del passatore.

Giorgio Calacaterra è conosciuto soprattutto per le sue doti di resistenza e di recupero. Nel 2000 stabilisce il record mondiale, correndo 16 maratone sotto le 2 ore e 20.



Una delle doti che ti ha reso famoso è senza dubbio la resistenza. Ripensando alla tua vita, fin da quando eri bambino, c’è stato un momento o un’esperienza in cui ti sei accorto che eri portato per “la resistenza” e che la sensazione di superare la fatica ti poteva piacere?


Devo risponderti di no, il mio percorso è stato molto graduale. E' vivo in me il ricordo di quando avevo 18/19 anni e di come sia stato per me estremamente complicato superare le due ore di corsa. Vedevo le 2 ore di corsa come una distanza molto lunga.

Non mi sono mai ritenuto particolarmente resistente e non c'è stato un momento specifico in cui mi sono accorto di esserlo. Ho sempre corso tanto, perchè mi piaceva e perchè provavo piacere nel partecipare alle gare. Questo mi permetteva inoltre di passare del tempo con mio padre e di conoscere nuovi posti.

Facevo soltanto ciò che mi indicava il mio istinto e devo ammettere di non aver mai pensato di essere particolarmente resistente.



Posso chiederti come è avvenuto il passaggio da correre 2 ore a correre molte più ore?


E' stato tutto molto graduale! All'inizio correvo 2 ore, poi passando alle maratone le 2 ore e 30/2 ore e 40 le correvo tranquillamente. Il passo successivo è stato prendere parte a maratone quasi tutte le settimane. Mi invitavano, mi divertivo ed è stato per me quasi naturale. Un giorno poi mi proposero una 50 km, io pensai che 50 km non sono poi così lontani dai 42, solo 8 in più! Prima provai quindi a correre 50 km e poi passai a 78. Certo 78 sono molti più di 50, ma ne ero intrigato!

Infine arrivai a correre la 100km del Passatore. Tutti me ne parlavano e quindi decisi di provarla. Volevo provare qualcosa di diverso e avevo il desiderio di sfidarmi. Fu tutto molto graduale! Quando mi ritrovai a prendere parte a molte gare, tutti mi rimandarono la resistenza come un mio punto forte.

Sei solito raccontare, scrivendo, le corse a cui prendi parte. Secondo te, il narrare un'esperienza sportiva vissuta può fare crescere un atleta? Se si in che modo?


Sai le motivazioni che mi hanno spinto a scrivere sono diverse dal ricercare aspetti prestativi, perciò mi riesce difficile risponderti.

Pensando però alle motivazioni, la prima che mi ha spinto a scrivere è stato il desiderio di tenere una sorta di diario, come quelli che si tengono nel cassetto. Il tempo può cancellare i ricordi e ho pensato a questo come un modo per farli rimanere maggiormente impressi.

Un'altra motivazione è stata il desiderio di archiviare le mie gare, continuando quanto iniziò mio padre, come raccogliendone il testimone. A 10 anni, quando ho iniziato a correre, mio padre mi fece un album delle gare. A dire il vero, ne fece più di uno tante furono le gare a cui partecipai! Scriveva la data, il tempo, la posizione e vi allegava la foto.

Mio padre mi insegnò a dare la dovuta importanza ai ricordi! Noi cambiamo, le cose un po' si dimenticano, ma attraverso le foto abbiamo la possibilità di vedere, come diceva lui, di scoprire come eravamo 10 o 20 anni prima. Il mio album è la continuazione di quello creato da mio papà, solamente in formato elettronico.

Un altro aspetto che mi ha spinto a scrivere è l'interesse manifestatomi, da alcune persone, nel poter leggere delle mie gare e delle mie sensazioni. Non ho fini pubblicitari, ma ho il piacere di condividere i miei pensieri con chi ha interesse nel leggerli. Il sito, inoltre, mi è stato regalato e credo che prendermene cura sia un modo per ringraziare chi mi ha fatto questo dono.

Anche se rileggere delle tue gare può aiutarti a scorgere dei possibili errori, le motivazioni che mi spingono a scrivere non sono connesse alla speranza di migliorare come atleta. Credo infatti che quanto faccio sia un modo per raccogliere il testimone passatomi da mio papà, condividendo le mie sensazioni con le persone che hanno piacere di leggerle.


Spesso racconti che hai iniziato a correre grazie a tuo padre. C'è una frase da lui detta, che senti aver fatto tua e che ti caratterizza come runner?


Certamente, ce ne sono molte! Quando iniziai a fare molte gare e prendere parte a tante maratone, capitava che la gente mi si avvicinasse, per mettermi in guardia da possibili infortuni o per dirmi che così mi sarei logorato. Mio padre invece mi ripeteva sempre “non dare retta agli altri, ma ascolta te stesso”. Il sapere ascoltare me stesso è l'aspetto che maggiormente mi ha contraddistinto come atleta.

Seppure corressi 30 maratone l'anno, in un periodo storico in cui la tendenza era di correrne 2 o 3, non mi sono fatto spaventare da moniti di sicuri infortuni. Ho ascoltato mio padre e il suo consiglio di ragionare con la mia testa. Questo mi ha permesso di non lasciarmi spaventare e di prendere, di conseguenza, parte a molte gare.

Un'altra cosa che mi ripeteva era di non darmi mai per sconfitto, di ascoltare i segnali che arrivano dalle mie gambe e che le gambe le avevo io. Mi diceva anche di credere sempre nelle mie possibilità e di dare sempre il meglio di me stesso. Sono certo che queste frasi mi hanno contraddistinto come atleta.

Un'ultima frase che credo mi abbia caratterizzato è “la corsa la devi vedere sempre come un divertimento, una possibilità per scoprire un posto nuovo e conoscere nuova gente”. Alla base della mia scelta di prendere parte a molte gare credo che ci sia questa motivazione, trasmessami sempre da mio padre.


Ci sono dei pensieri o c'è un approccio particolare alla vita che possa permettere di vivere la competizione con più leggerezza, senza la foga di dover fare necessariamente risultato?


Io non ho particolari tecniche di rilassamento e forse, avendo fatto molte gare, ho la fortuna che alcune cose vengano da sé. Comunque, se dovesse succedere di sentirmi teso, penso che non sarà questa gara a cambiare la mia vita. Credo, infatti, sia importante inserire la gara in un contesto più ampio. Se penso a quante altre maratone farò e a quante volte ancora avrò la possibilità di testarmi, capisco che anche se va male questa volta, tra una settimana, 10 giorni o il mese prossimo avrò la possibilità di rifarmi. Concentrarsi sulla singola gara porta a iper-valorizzarla, mentre se la si vede in un contesto generale le si ridà il suo vero valore e questo aiuta a rilassarsi.

Molte persone che conosco mi riferiscono di dormire male la sera che precede una gara o di incorrere in diversi problemi, perchè non hanno un approccio sereno verso di essa. Si lasciano prendere dall'ansia. Purtroppo se mi stresso faccio una cosa controproducente. Non risolvo nulla e per di più finirò per andare più piano. La gara come va, va! Se ci penso ripetutamente non andrò più forte!

Anche se ora questi aspetti vengono quasi automatici per me, credo che ripetersi queste frasi possa aiutare un atleta. Può comunque capitare anche a me un periodo in cui sto male o un momento in cui andrò a partecipare ad una gara a cui tengo particolarmente e mi capita di ripetermi queste frasi.


Molti tuo fan apprezzano di te che corri con un'espressione distesa, quasi di gioia. Un approccio disteso e divertito alle competizioni può avere una ricaduta positiva anche a livello di risultati, a tuo parere?


Di questo sono certo! E' lo stress a danneggiare le nostre gare! Se corriamo con gioia e spensieratezza finiamo per andare più forte!

Quando ho realizzato il mio personale in maratona ero in periodo particolarmente felice ed ero entusiasta di alcune cose nella mia vita. Oltre a ciò ero anche spensierato, perchè la gara precedente era andata molto bene. Non vedevo quella gara come un'opportunità per realizzare il personale, ma la affrontavo in modo leggero. Sono partito spensierato, sapendo che il mio “dovere” l'avevo già fatto nella maratona precedente e la conclusi ottenendo il mio personale: 2h13m15s.

Collego quel risultato allo stato d'animo di quel periodo: felice e disteso per quanto avevo già fatto. Quanto detto vale nella corsa, come nella vita. Se affronti un compito con gioia, fatichi la metà e ottieni il doppio dei risultati.


Molti atleti che si dedicano alle corse di resistenza sostengono che nella costruzione di un risultato assume un ruolo centrale la gestione delle crisi. Cosa ne pensi? In che modo ti poni di fronte a una crisi e come cerchi di affrontarla?


Molti atleti che conosco quando vanno in difficoltà si fermano, secondo me sbagliando. A mio modo di vedere una persona deve comunque cercare di arrivare, accettando ogni risultato possibile.
Poi va anche detto che le crisi passano! Ti posso portare come esempio l'ultima 100km del passatore a cui ho partecipato. Al 35esimo km ho avuto una crisi che mi ha portato a perdere anche 30 secondi al km. Ero primo, poi sono stato superato e sono diventato secondo e poi terzo. Mi sono trovato molto staccato.

Non ho vissuto una crisi che mi ha costretto a fermarmi, ma considera che perdendo 30 secondi al km, in 10 km arrivi a perdere 5 minuti. Sono però riuscito ad affrontarla! Invece di lamentarmi e di pensare “mamma mia, ho una crisi!”, ho pensato che le crisi come vengono possono anche passare. L'esperienza mi ha permesso di maturare questa consapevolezza. Valeva quindi la pena concentrarsi, tenere duro, comprendere l'origine della crisi e aspettare per vedere la reazione del mio fisico.

Al km 80, quando avevo quasi perso le speranze, ho iniziato a sentirmi meglio e ho alzato l'andatura e dai 4 minuti e 30 di distacco, che avevo, sono perfino riuscito a vincere la gara con 2/3 minuti di vantaggio. Se invece ti fermi non potrai mai sapere se la crisi avrebbe o meno potuto passare.

Credo sia importantissimo saper affrontare le crisi sia in gara, sia durante il periodo di allenamento. La crisi può essere anche intesa come un periodo, nella fase di allenamento, in cui uno va piano e in cui non riesce più ad ottenere i tempi che realizzava prima, finendo per abbattersi. Una persona deve ragionare per comprendere il motivo alla base della crisi. Può essere una carenza nutrizionale, un sovrallenamento o la necessità di riposarsi. Sapere cosa l'ha causata può aiutarti a farla passare.


A livello caratteriale quali pensi siano i tratti che possano contraddistinguere il buon ultra-maratoneta?

Credo sia necessario che abbia una visione peculiare della distanza e della fatica. Oltre a questo credo sia importante che sia tenace e che sia capace di vedere le cose con un'ottica positiva. Se dopo il primo km di una gara da 100 km un atleta pensa che ne mancano ancora 99 il suo è un approccio negativo. Credo sia meglio pensare a quello che è già stato fatto, rispetto a quello che devi ancora fare.

Anche l'umiltà credo sia un tratto che contraddistingue l'ultra-maratoneta. Se pensi di fare chissà che cosa, partendo forte, non arriverai da nessuna parte. A questo vanno affiancate doti di tenacia e oltre alle capacità di gestione.

Secondo te con queste caratteristiche ci si nasce o come le gambe possono essere allenate?


Come in tutte le cose della vita esiste un aspetto genetico, però a parità di genetica l'allenamento fa la differenza.

Se una persona è fisicamente predisposta per le lunghe distanze, ma non si pone mentalmente con il giusto approccio non riuscirà a concludere una gara di questo tipo. Credo addirittura che possa andare più forte una persona non è predisposta, ma a cui è stato insegnato il giusto modo di allenarsi il giusto approccio a queste gare.

Nessun commento:

Posta un commento