3 volte campione del mondo nella 100 km di ultra-maratona nel 2008-2011-2012.
Laureatosi 10 volte vincitore nella prestigiosa 100 km del passatore.
Giorgio Calacaterra è conosciuto soprattutto per le sue doti di resistenza e di recupero. Nel 2000 stabilisce il record mondiale, correndo 16 maratone sotto le 2 ore e 20.
Una delle doti che ti
ha reso famoso è senza dubbio la resistenza. Ripensando alla tua
vita, fin da quando eri bambino, c’è stato un momento o
un’esperienza in cui ti sei accorto che eri portato per “la
resistenza” e che la sensazione di superare la fatica ti poteva
piacere?
Devo
risponderti di no, il mio percorso è stato molto graduale. E' vivo
in me il ricordo di quando avevo 18/19 anni e di come sia stato per
me estremamente complicato superare le due ore di corsa. Vedevo le 2
ore di corsa come una distanza molto lunga.
Non
mi sono mai ritenuto particolarmente resistente e non c'è stato un
momento specifico in cui mi sono accorto di esserlo. Ho sempre corso
tanto, perchè mi piaceva e perchè provavo piacere nel partecipare
alle gare. Questo mi permetteva inoltre di passare del tempo con mio
padre e di conoscere nuovi posti.
Facevo
soltanto ciò che mi indicava il mio istinto e devo ammettere di non
aver mai pensato di essere particolarmente resistente.
Posso chiederti come è
avvenuto il passaggio da correre 2 ore a correre molte più ore?
E'
stato tutto molto graduale! All'inizio correvo 2 ore, poi passando
alle maratone le 2 ore e 30/2 ore e 40 le correvo tranquillamente. Il
passo successivo è stato prendere parte a maratone quasi tutte le
settimane. Mi invitavano, mi divertivo ed è stato per me quasi
naturale. Un giorno poi mi proposero una 50 km, io pensai che 50 km
non sono poi così lontani dai 42, solo 8 in più! Prima provai
quindi a correre 50 km e poi passai a 78. Certo 78 sono molti più di
50, ma ne ero intrigato!
Infine
arrivai a correre la 100km del Passatore. Tutti me ne parlavano e
quindi decisi di provarla. Volevo provare qualcosa di diverso e avevo
il desiderio di sfidarmi. Fu tutto molto graduale! Quando mi ritrovai
a prendere parte a molte gare, tutti mi rimandarono la resistenza
come un mio punto forte.
Sei solito raccontare, scrivendo, le corse a cui prendi parte. Secondo te, il narrare un'esperienza sportiva vissuta può fare crescere un atleta? Se si in che modo?
Sai
le motivazioni che mi hanno spinto a scrivere sono diverse dal
ricercare aspetti prestativi, perciò mi riesce difficile
risponderti.
Pensando però alle motivazioni, la
prima che mi ha spinto a scrivere è stato il desiderio
di tenere una sorta di diario, come quelli che si tengono nel
cassetto. Il tempo può cancellare i ricordi e ho pensato a questo
come un modo per farli rimanere maggiormente impressi.
Un'altra
motivazione è stata il desiderio di archiviare le mie gare,
continuando quanto iniziò mio padre, come raccogliendone il
testimone. A 10 anni, quando ho iniziato a correre, mio padre mi fece
un album delle gare. A dire il vero, ne fece più di uno tante furono
le gare a cui partecipai! Scriveva la data, il tempo, la posizione e
vi allegava la foto.
Mio
padre mi insegnò a dare la dovuta importanza ai ricordi! Noi
cambiamo, le cose un po' si dimenticano, ma attraverso le foto
abbiamo la possibilità di vedere, come diceva lui, di scoprire come
eravamo 10 o 20 anni prima. Il mio album è la continuazione di
quello creato da mio papà, solamente in formato elettronico.
Un
altro aspetto che mi ha spinto a scrivere è l'interesse
manifestatomi, da alcune persone, nel poter leggere delle mie gare e
delle mie sensazioni. Non ho fini pubblicitari, ma ho il piacere di
condividere i miei pensieri con chi ha interesse nel leggerli. Il
sito, inoltre, mi è stato regalato e credo che prendermene cura sia
un modo per ringraziare chi mi ha fatto questo dono.
Anche
se rileggere delle tue gare può aiutarti a scorgere dei possibili
errori, le motivazioni che mi spingono a scrivere non sono connesse
alla speranza di migliorare come atleta.
Credo infatti
che quanto faccio sia un modo per raccogliere il testimone passatomi
da mio papà, condividendo le mie sensazioni con le persone che hanno
piacere di leggerle.
Spesso racconti che
hai iniziato a correre grazie a tuo padre. C'è una frase da lui
detta, che senti aver fatto tua e che ti caratterizza come runner?
Certamente,
ce ne sono molte! Quando iniziai a fare molte gare e prendere parte a
tante maratone, capitava che la gente mi si avvicinasse, per mettermi
in guardia da possibili infortuni o per dirmi che così mi sarei
logorato. Mio padre invece mi ripeteva sempre “non dare retta agli
altri, ma ascolta te stesso”. Il sapere ascoltare me stesso è
l'aspetto che maggiormente mi ha contraddistinto come atleta.
Seppure
corressi 30 maratone l'anno, in un periodo storico in cui la tendenza
era di correrne 2 o 3, non mi sono fatto spaventare da moniti di
sicuri infortuni. Ho ascoltato mio padre e il suo consiglio di
ragionare con la mia testa. Questo mi ha permesso di non lasciarmi
spaventare e di prendere, di conseguenza, parte a molte gare.
Un'altra
cosa che mi ripeteva era di non darmi mai per sconfitto, di ascoltare
i segnali che arrivano dalle mie gambe e che le gambe le avevo io. Mi
diceva anche di credere sempre nelle mie possibilità e di dare
sempre il meglio di me stesso. Sono certo che queste frasi mi hanno
contraddistinto come atleta.
Un'ultima
frase che credo mi abbia caratterizzato è “la corsa la devi vedere
sempre come un divertimento, una possibilità per scoprire un posto
nuovo e conoscere nuova gente”. Alla base della mia scelta di
prendere parte a molte gare credo che ci sia questa motivazione,
trasmessami sempre da mio padre.
Ci sono dei pensieri o
c'è un approccio particolare alla vita che possa permettere di
vivere la competizione con più leggerezza, senza la foga di dover
fare necessariamente risultato?
Io
non ho particolari tecniche di rilassamento e forse, avendo fatto
molte gare, ho la fortuna che alcune cose vengano da sé. Comunque,
se dovesse succedere di sentirmi teso, penso che non sarà questa
gara a cambiare la mia vita. Credo, infatti, sia importante inserire
la gara in un contesto più ampio. Se penso a quante altre maratone
farò e a quante volte ancora avrò la possibilità di testarmi,
capisco che anche se va male questa volta, tra una settimana, 10
giorni o il mese prossimo avrò la possibilità di rifarmi.
Concentrarsi sulla singola gara porta a iper-valorizzarla, mentre se
la si vede in un contesto generale le si ridà il suo vero valore e
questo aiuta a rilassarsi.
Molte
persone che conosco mi riferiscono di dormire male la sera che
precede una gara o di incorrere in diversi problemi, perchè non
hanno un approccio sereno verso di essa. Si lasciano prendere dall'ansia.
Purtroppo se mi stresso faccio una cosa controproducente. Non risolvo
nulla e per di più finirò per andare più piano. La gara come va,
va! Se ci penso ripetutamente non andrò più forte!
Anche
se ora questi aspetti vengono quasi automatici per me, credo che
ripetersi queste frasi possa aiutare un atleta. Può comunque
capitare anche a me un periodo in cui sto male o un momento in cui
andrò a partecipare ad una gara a cui tengo particolarmente e mi capita
di ripetermi queste frasi.
Molti tuo fan
apprezzano di te che corri con un'espressione distesa, quasi di
gioia. Un approccio disteso e divertito alle competizioni può avere
una ricaduta positiva anche a livello di risultati, a tuo parere?
Di
questo sono certo! E' lo stress a danneggiare le nostre gare!
Se corriamo con gioia e
spensieratezza finiamo per andare più forte!
Quando
ho realizzato il mio personale in maratona ero in periodo
particolarmente felice ed ero entusiasta di alcune cose nella mia
vita. Oltre a ciò ero anche spensierato, perchè la gara precedente
era andata molto bene. Non vedevo quella gara come un'opportunità
per realizzare il personale, ma la affrontavo in modo leggero. Sono
partito spensierato, sapendo che il mio “dovere” l'avevo già
fatto nella maratona precedente e la conclusi ottenendo il mio
personale: 2h13m15s.
Collego
quel risultato allo stato d'animo di quel periodo: felice e disteso
per quanto avevo già fatto. Quanto detto vale nella corsa, come
nella vita. Se affronti un compito con gioia, fatichi la metà e
ottieni il doppio dei risultati.
Molti atleti che si
dedicano alle corse di resistenza sostengono che nella costruzione di
un risultato assume un ruolo centrale la gestione delle crisi. Cosa
ne pensi? In che modo ti poni di fronte a una crisi e come cerchi di
affrontarla?
Molti
atleti che conosco quando vanno in difficoltà si fermano, secondo
me sbagliando. A mio modo di vedere una persona deve comunque cercare
di arrivare, accettando ogni risultato possibile.
Poi va anche detto
che le crisi passano! Ti posso portare come esempio l'ultima 100km
del passatore a cui ho partecipato. Al 35esimo km ho avuto una crisi
che mi ha portato a perdere anche 30 secondi al km. Ero primo, poi
sono stato superato e sono diventato secondo e poi terzo. Mi sono
trovato molto staccato.
Non
ho vissuto una crisi che mi ha costretto a fermarmi, ma considera che
perdendo 30 secondi al km, in 10 km arrivi a perdere 5 minuti. Sono
però riuscito ad affrontarla! Invece di lamentarmi e di pensare
“mamma mia, ho una crisi!”, ho pensato che le crisi come vengono
possono anche passare. L'esperienza mi ha permesso di maturare questa
consapevolezza. Valeva quindi la pena concentrarsi, tenere duro,
comprendere l'origine della crisi e aspettare per vedere la reazione
del mio fisico.
Al
km 80, quando avevo quasi perso le speranze, ho iniziato a sentirmi
meglio e ho alzato l'andatura e dai 4 minuti e 30 di distacco, che
avevo, sono perfino riuscito a vincere la gara con 2/3 minuti di
vantaggio. Se invece ti fermi non potrai mai sapere se la crisi avrebbe o
meno potuto passare.
Credo
sia importantissimo saper affrontare le crisi sia in gara, sia
durante il periodo di allenamento. La crisi può essere anche intesa
come un periodo, nella fase di allenamento, in cui uno va piano e in
cui non riesce più ad ottenere i tempi che realizzava prima, finendo
per abbattersi. Una persona deve ragionare per comprendere il motivo
alla base della crisi. Può essere una carenza nutrizionale, un
sovrallenamento o la necessità di riposarsi. Sapere cosa l'ha
causata può aiutarti a farla passare.
A livello caratteriale
quali pensi siano i tratti che possano contraddistinguere il buon
ultra-maratoneta?
Credo
sia necessario che abbia una visione peculiare della distanza e della
fatica. Oltre a questo credo sia importante che sia tenace e che sia
capace di vedere le cose con un'ottica positiva. Se dopo il primo km
di una gara da 100 km un atleta pensa che ne mancano ancora 99 il suo
è un approccio negativo. Credo sia meglio pensare a quello che è
già stato fatto, rispetto a quello che devi ancora fare.
Anche
l'umiltà credo sia un tratto che contraddistingue
l'ultra-maratoneta. Se pensi di fare chissà che cosa, partendo
forte, non arriverai da nessuna parte. A questo vanno affiancate doti
di tenacia e oltre alle capacità di gestione.
Secondo te con queste
caratteristiche ci si nasce o come le gambe possono essere allenate?
Come
in tutte le cose della vita esiste un aspetto genetico, però a
parità di genetica l'allenamento fa la differenza.
Se
una persona è fisicamente predisposta per le lunghe distanze, ma non
si pone mentalmente con il giusto approccio non riuscirà a
concludere una gara di questo tipo. Credo addirittura che possa
andare più forte una persona non è predisposta, ma a cui è stato
insegnato il giusto modo di allenarsi il giusto approccio a queste
gare.
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