Alessandro Proni è
un ex ciclista professionista e oggi si occupa di biomeccanica
applicata al ciclismo e allenamenti personalizzati.
Divenuto
professionista nel 2007 con la Quick Step, ha conquistato nello
stesso anno una vittoria di tappa al Giro di Svizzera.
Alessandro Proni è
conosciuto e riconosciuto nel mondo sportivo per aver saputo dare
primaria importanza ad aspetti famigliari anche durante i suoi anni
di attività professionistica.
Ciao Alessandro,
nonostante tu abbia da poco smesso di correre, hai già intrapreso
una nuova attività come biomeccanico e personal trainer. Quali sono
a tuo modo di vedere gli aspetti, caratteriali e non, che ti hanno
facilitato in questo passaggio?
Da
qualche anno mi stavo guardando intorno, perchè ero un po' stufo del
mondo che gravitava intorno alla bicicletta. Non tanto della
bicicletta in sé, ma piuttosto di ciò che gli stava intorno.
Questo
ha fatto in modo che quando ho smesso di correre fossi in parte
preparato. Ho, quindi, potuto subito iniziare un lavoro che già
facevo da qualche anno per passione, con amici parenti e conoscenti.
Un lavoro che non era proprio tale, perchè mi divertiva.
Avere
già iniziato qualche anno prima credo mi abbia aiutato, inoltre
sento che per me è stato di aiuto vedere la soddisfazione delle
persone che seguivo a livello biomeccanico. A quel punto mi sono
detto: “Perchè, no? Perchè non trasformare una passione in un
lavoro?”.
Ho
sempre vissuto il mio lavoro come una passione e continuare in questa
direzione credo possa essere una cosa molto bella. Non tutti sono
altrettanto fortunati! Così è iniziata e poi questo lavoro piano,
piano, è cresciuto e oggi posso dire di essere soddisfatto.
Credi ci
siano dei tuoi aspetti caratteriali che ti abbiano facilitato in
questo passaggio?
Tendo
a non piangermi addosso e ho un approccio positivo. Questo mi porta a
saper voltare pagina molto velocemente.
Sai
se dovessi voltarmi a guardare e a pensare tutti i sacrifici fatti,
mi mancherebbe l'aria, mi mancherebbe il fiato. La mia forza credo
sia non fermarmi troppo a rimuginare, perchè so che se mi fermassi
sarebbe tutto più complicato.
Questo
credo mi abbia aiutato anche nelle cose della vita, soprattutto nei
periodi successivi alla perdita di mia sorella. La sera o la notte,
quando sono solo, mi trovo a pensare, provo
ad accelerare a 1000 in modo da scacciare via i cattivi pensieri.
Se invece dovessi
riflettere sulle difficoltà che si presentano al termine
dell'attività professionistica, cosa mi risponderesti?
Per
tutta la mia vita, se non considero gli anni passati a scuola, la
mattina mi alzavo e andavo ad allenarmi. In un attimo questa routine
è venuta meno. Mi alzavo e mi rendevo conto di non avere più un
obiettivo e questo mi portava a domandarmi per quale ragione dovessi
andare ancora in bicicletta.
Le
giornate sono diventate molto più lunghe. Quando andavo in
bicicletta stavo in sella almeno dalle tre alle sei ore. Tornavo
quindi a fare una vita “normale” alle 2/3 del pomeriggio e questa
per me durava mezza giornata. Nell'altra metà c'era la
spensieratezza che sa darti la bicicletta, che mi permetteva di stare
come su un altro mondo.
Il
passare a vivere una giornata “lunga” per me è stata una
difficoltà. Da una giornata di 12 ore, sono stato catapultato alla
vita di tutti i giorni, la vita di tutti, che dura 24 ore.
Ci sono stati degli
aspetti che ti hanno aiutato a sentire le giornate meno lunghe?
L'ho
sperimentato come se fosse un allenamento. Quando inizi la
preparazione 2 ore in bici ti sembrano infinite, mentre poi durante
la stagione queste diventano utili a “scaricare”.
Così
come nell'allenamento, anche nella vita mi è accaduta la stessa
cosa. Le giornate inizialmente sembravano infinite, mentre oggi avrei
bisogno di 2 giornate per fare fronte a tutto ciò che devo svolgere.
Credo sia una sorta di allenamento sia fisico, che mentale.
Quali sono gli aspetti
di maggiore crescita personale che porti con te dal mondo dello sport
professionistico e che senti ti stiano aiutando nella tua nuova
avventura professionale?
Non
voglio limitare la risposta al mondo professionistico, ma credo sia
più importante dire cosa mi ha dato il mondo della bicicletta. Mi ha
aiutato a non mollare mai e mi ha aiutato a sopportare la sofferenza.
Quando sei in gara, in salita e non sai quanto mancherà ancora,
provi una sofferenza che quasi è difficile ritenere vera. Questo ti
rafforza molto dal punto di vista mentale.
La
bici ha la capacità di dare una forma al tuo carattere, di
rafforzarlo. Il non mollare mai proprio della bici credo di averlo
portato nella mia vita quotidiana. Devo ringraziare i miei genitori e
in particolare mio padre che mi ha indirizzato verso questo sport
meraviglioso.
Secondo te in che modo
i valori trasmessi dalla famiglia e dalla scuola possono influenzare
un ciclista? Tu senti di essere stato un professionista con aspetti
propri e personali, proprio per quanto ti è stato insegnato?
Innanzitutto
credo che per un ciclista sia fondamentale avere una famiglia che
asseconda questa passione, perchè è uno sport durissimo in cui i
momenti in cui vorresti mollare tutto sono dietro l'angolo. Mi
ritengo fortunato ad avere avuto la mia famiglia sempre vicina, che
mi assecondava e che era consapevole di cosa potesse darmi la
bicicletta.
Conosco
ragazzi che non hanno avuto questa possibilità. In momenti duri non
avevano qualcuno vicino che li potesse confortare e hanno finito per
abbandonare i loro sogni. Gli atleti sono molto forti mentalmente, ma
possono essere anche molto fragili. Vanno da un estremo ad un altro.
Tutti
i grandi atleti, non solo legati al ciclismo, hanno delle fragilità
ed è per questo che la famiglia riveste un ruolo importante, perchè
deve saper supportare i periodi in cui vuoi chiuderti in casa e non
vedere nessuno.
A
mio modo di vedere penso che una caratteristica comune a grandi
atleti è che si sono sposati presto. Bastano 2 o 3 persone che ti
aiutano a creare quel senso di sicurezza intorno a te, per superare i
momenti difficili della vita.
Mi stai dicendo che la
famiglia non è particolarmente importante quando stai vincendo, ma
quando ci sono momenti difficili?
Quando
vinci tutti vogliono salire sul carro dei vincitori, mentre quando
hai un periodo difficile non succede così.
Ad
un atleta basta poco per perdere fiducia e buttarsi giù e sai bene
che la testa ha un ruolo centrale. Un piccolo bruciore di gambe può
diventare un bruciore insopportabile! La famiglia che ti sta accanto
ti conosce e sa come comportarsi. Il tifoso invece non ti conosce e
anche il tifoso amico può conoscerti fino a un certo punto. La
famiglia ti ha visto crescere, ti conosce, capisce quando sei in
difficoltà e conosce i modi migliori per farti rialzare.
C'è una frase detta
da tuo padre o un tuo famigliare che senti ti abbia caratterizzato
come sportivo?
La
cosa più importante insegnatami dai miei genitori è che lo sport è
importante, ma non è tutto. Oltre a questo mi hanno insegnato a
perdere. Ricordo con particolare piacere quando a 7 anni un bambino
mi battè in una gara e io andai da lui a stringergli la mano.
Sua
madre guardò la mia e gli disse “ma come! Suo figlio perde e viene
a stringere la mano a mio figlio?!”. La risposta di mia madre mi
rimase impressa “io sono contenta non solo quando mio figlio vince,
ma anche quando perde e sa riconoscere che l'avversario è stato più
forte”. Questo mi ha aiutato anche negli anni a venire, perchè mi
portava a non cadere in ogni tipo di tentazione. Accettavo la
sconfitta quando venivo battuto e vedevo gli avversari come atleti
più forti e non come dei ladri.
Non
vengo da una famiglia ricca, ma da una famiglia che ha dovuto sempre
guadagnare quanto aveva. Una famiglia che non ha mai fregato il
prossimo, per regalarmi o regalarsi cose che non poteva permettersi.
Questo insegnamento ha fatto parte di me nello sport e lo porto con
me anche nella vita quotidiana.
Pensando al ciclismo,
quali sono secondo te gli aspetti caratteriali da allenare per
diventare un buon ciclista e secondo te come possono essere allenati?
Quanto
sto per dirti può sembrare una stupidaggine e l'ho detto veramente a
poche persone. Uno degli anni in cui sono andato più forte mi
ripetevo sempre che non avevo mal di gambe. Mi allenavo a dire a me
stesso che non avevo mal di gambe.
Cercavo
di pensare positivo e questo mi ha permesso di accorgermi come
pensare positivo possa aiutarti molto sia nella vita, come nello
sport professionistico. Basta poco per buttarti giù, quindi è
importante essere forti di testa.
Devo
però ammettere che grandi campioni sono anche fragili, infatti
quando smettono di fare sport finiscono per cedere alla vita normale.
Non ho mai veramente capito il perchè a questi atleti è come se gli
si presenti davanti un burrone. Forse erano logorati dalla vita
sportiva, che è una vita che ti consuma fisicamente, ma anche
mentalmente.
Forse
quando chiudono l'attività professionistica finiscono per concedersi
tutto quanto si sono negati prima. Un ciclista in particolar modo è
sportivo 24 ore su 24 e non solo quando è in bicicletta. Sta attento
a tutto, dal cibo, al tempo che passa in piedi, all'attenzione per il
riposo.
Credo
che molti atleti chiudano prima proprio per questa ragione e, come si
dice in gergo, saltano di testa. Capita così anche a sportivi che si
dimostrano grandi atleti, ma finita la loro attività agonistica non
riescono a lottare come quando erano corridori.
Io
ho avuto la fortuna di intraprendere un lavoro che mi piace, ma se
dovessi definire questo passaggio direi che è “una seconda vita”.
Sembra che tu rinasca, trovandoti ad affrontare situazioni
completamente diverse da quelle che hai conosciuto nel passato. Io la
chiamo “la mia seconda vita”!
Quindi sei nato una
seconda volta?
Si,
perchè ho dovuto ricominciare tutto da capo! Devi ricominciare
indipendentemente da tutto il lavoro che hai fatto per diventare ciò
che sei stato.
Rimanendo
nell'ambiente ciclistico io ho avuto la fortuna di trovare più
semplice questa fase. Quando svolgo l'attività da biomeccanico o se
devo consigliare una bici, so consigliare al meglio e sono
consapevole della mia professionalità. Le persone inoltre conoscono
il mio passato da ciclista professionista, si fidano di me, e la
strada per me è quindi spianata. Chiaramente questo è dovuto al
fatto che in passato ho saputo dimostrare professionalità. Devo però
ammettere che prima pensavo solo ad allenarmi, mentre ora devo
pensare a 2000 cose!
Ci sono degli aspetti
di questa seconda vita che ti piacciono?
Sicuramente
si! Sono più libero mentalmente. Posso mangiare di più, posso
andare a camminare o addirittura a “buttarmi da una montagna”.
Posso fare ciò che voglio! Prima ero privato di tutto, mentre ora
posso scendere e giocare a palla con le mie bambine. E' stata come
una liberazione!
Nella tua carriera hai
corso con grandi capitani. Secondo te quali sono le doti che deve
avere un leader per essere un buon leader?
Un
buon leader deve darti sicurezza e deve essere capace di trasmetterti
la sua mentalità. Uno dei più “signori” è stato Garzelli, come
lo è stato anche Bettini. Devo però dire che mai e poi mai nessuno
è stato capace di trasmettermi grinta come Danilo Di Luca.
Nonostante
tutto quello che è accaduto, bisogna dire che Danilo di testa era
fortissimo. Mai ho visto un ciclista con una convinzione mentale
pari alla sua e questa convinzione era capace di trasmetterla a te
che dovevi tirare per lui.
Ci sono degli aspetti
che ti sono stati trasmessi dai tuoi capitani, che hai portato con te
nella tua nuova avventura lavorativa?
La
grinta di Danilo la metto nel mio lavoro, mentre la gentilezza di
Garzelli credo l'avessi anche prima, ma è un aspetto sicuramente
utile nel mio lavoro.
Nella tua esperienza
di ciclista c'erano dei pensieri che ti aiutavano a superare i
momenti di massimo sforzo? Posso chiederti quali erano?
Credo
ricorderò per tutta la vita quando vinsi al giro di Svizzera. Avevo
il gruppo dietro di me e mentre sentivo il suo fiato sul collo il
pensiero è andato immediatamente a mia moglie e alla mia bambina.
Ora ho due bambine, ma all'epoca ne avevo una soltanto.
Pensavo
che la voglia di non mollare la dovevo dedicare a loro, per tutti i
sacrifici che insieme avevamo fatto. Per tutte le volte che ero
mancato da casa, per tutte le volte che non avevo potuto vedere la
mia bambina. Per ringraziare mia moglie che mi aveva permesso di fare
questo sport!
Mi
ripetevo sempre che non dovevo mollare per loro, anche se in quel
momento io stavo morendo. Ho resisto e sono riuscito a vincere.
Questo
mi permetteva anche di avere una maggiore importanza nella squadra e
nel ciclismo, oltre ad un altro buon contratto, ma queste erano
solamente conseguenze. Il mio pensiero era assorbito dal desiderio di
dare una soddisfazione alla mia famiglia.
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