È uno dei grandi capolavori della Seattle di inizio anni ’90, centro del mondo del rock alternativo grazie a Nirvana, Pearl Jam, Alice in Chains e, naturalmente, Soundgarden, gruppi sul trono del grunge, il cui tragico finale coincide con lo sparo che nell’aprile del ’94 portò via Kurt Cobain, il proprio (involontario, ma fin troppo consapevole) portavoce; fu proprio nel marzo del 1994, che i Soundgarden fecero uscire questo capolavoro, il monumentale “Superuknown”, colonna sonora della fase terminale della scena di Seattle.
Dopo lavori in cui coincidevano hard rock, psichedelia, metal con ritmiche innovative, dal taglio scazzato e nichilista tipico del grunge, in “Superuknown” completarono il loro percorso, aggiungendo melodie (mai banali e scontate), pulendo leggermente il suono, smussando gli spigoli, e regalando il meglio della loro produzione musicale. Scontato dire che l’energia dell’album potrà fare al caso nostro.
L’apertura di “Let Me Drown” mostra immediatamente le carte messe sul tavolo: riff spigolosi, batteria centrale, e l’incredibile voce di Chris Cornell, leader, autore della maggior parte delle canzoni, in possesso di un’estensione vocale impressionante, nonché di carica interpretativa e grande carisma. “My Wave” gioca con i tempi dispari - lontani dal classico 4/4 rock - tratto distintivo della band, con energia e melodia in perfetta sintonia. Cupa, ma capace di aprirsi lungo la sua durata, “Fell On Black Days” regala ancora le grandi capacità compositive e interpretative del gruppo. Ancora più cupa e tenebrosa è “Mailman”, dal ritmo lento e ossessivo, che spinge negli abissi col riff cavernoso della chitarra di Kim Thayil. Rock spinto e potente nella titletrack “Superuknown”, con Chris Cornell al suo meglio. “Head Down” mostra un taglio diverso, elettroacustica dal gusto psichedelico, dove la batteria di Matt Cameron (poi punto fisso del Pearl Jam) sembra procedere per conto proprio senza mai perdersi. E poi ecco il classico, l’eterna “Black Hole Sun”, ballata oscura e inquietante, dove melodia e accordi quasi stonati viaggiano appaiati in perfetta sintonia.
Su un riffone hard rock si dipana l’altro singolo di successo, “Spoonman”, dove c’è uno spazio anche per un assolo di cucchiai, dirattamente dall’’uomo chucchiaio’ Artis The Spoonman. Ancora ritmi più lenti e atmosfere cupe in “Limo Wreck”, dove Ben Shepherd col basso regala una splendida performance. Favoloso hard rock psichedelico in “The Day I Tried To Live”, quasi una summa delle diverse anime musicali del gruppo. Punk-metal spinto è invece “Kickstand”, che invita a spingere senza freni. Altro splendido rock psichedelico in “Fresh Tendrils”, dall’incedere dal passo sicuro e consapevole. Si ripiomba nell’oscurità più cupa nella tenebrosa e spettrale “4th of July”, altro classico immortale dell’album. Orientaleggiante e quasi sperimentale, “Half” è capace di simulare il suono del sitar giocando tra una chitarra acustica e una elettrica. Ritornano atmosfere gotiche in “Like Suicide”, dove però sembra ritornare un vago chiarore verso il finale. La chiusura è per la schizofrenica “She Likes Surprises”, un ultimo sprint a tempo di rock.
Un album epocale, purtroppo l’ultimo degno di nota dei Soundgarden, mentre Chris Cornell ha proseguito alternando la carriera artistica ad altre collaborazioni (Audioslave in primis) a corrente alternata, ma sempre con lo stesso carisma.
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