Bè, sì, era da inserire anche lui nei consigli musicali, perché in fondo proprio schifo schifo non facevano i suoi primi album, e anche se poi nel tempo non ha fatto altro che ripetersi o tentare strade non propriamente nuove, quello che ha fatto Ligabue con “Buon compleanno, Elvis!” non è stata poca cosa nella storia della musica italiana. Uscito nel 1995, ha superato il milione di copie vendute, che a memoria non so se sia più stato ripetuto in Italia, e non credo potrà avvenire ancora.
All’interno dei nostri confini c’è anche la convinzione che un buon pop-rock possa essere fatto solo all’estero, che in Italia possa esistere solo musica leggera di qualità scadente in contrapposizione al rock indipendente, e nient’altro. A dirla tutta, Ligabue, non è poi così lontano, musicalmente parlando, a Bruce Springsteen, per stile, genere, tematiche dei testi, vicinanza ai giovani “buoni” contro il resto del mondo “cattivo”, tutto in una semplicità a volte imbarazzante, ma capace di arrivare al cuore di milioni di persone, e per quanto riguarda il nostro paese, si tratta pur sempre di oro colato rispetto alla media della musica di successo italiana.
L’album, incentrato sul ‘sogno rock’n’roll’, con più riferimenti a Elvis e ad altri grandi della musica, parte con l’energetica “Vivo morto o x”, riffone di chitarra e sonorità rock-blues. “Seduto in riva al fosso” è la classica ballatona in crescendo tipica del Liga. Altro riff di chitarra (del pregevole Federico Poggipollini, primo riferimento della band che accompagna il buon Luciano) in apertura della title-track “Buon compleanno, Elvis!”, carica nel suo parlare del sogno di essere rockstar.
Ancora ritmo e rock protagonisti nel testo e nella musica di “La forza della banda”. Intimismo di massa in “Hai un momento, Dio?”, uno degli innumerevoli singoli di successo dell’album. Un minuto di intermezzo tra chitarre e gracidii in “Rane a Rubiera Blues” è la preparazione di soffusa suspense per la successiva “Certe notti”, il più importante successo di Ligabue, uno dei maggiori di tutti gli anni ’90, ballata che sarebbe anche niente male per chi non avesse avuto le orecchie riempite per (o da) anni da questa melodia. Strofe/ritornelli accattivanti più o meno nello stesso stile in “Viva!”, sempre in crescendo come nella miglior tradizione.
Rock più energico e veloce in “I ‘ragazzi’ sono in giro”, poi altra ballata rock con “Quella che non sei” e ballata acustica più pacata con “Non dovete badare al cantante”. Ultimi scampoli di energia e movimento in “Un figlio di nome Elvis” e “Il cielo è vuoto o il cielo è pieno” (secondo me tra le più sottovalutate di tutta la produzione di Ligabue). Altro gran pezzo è la finale “Leggero”, il defaticamento, aperta da un semplice chitarra/voce, prima del crescendo finale, dove torna il rock semplice ed efficace della band.
Come detto, uno degli ultimissimi album ad associare influenza mediatica anche ad un certa qualità, e passata la tolleranza alla voce rauca di Ligabue e per le ballate pop, ha anche una discreta dose di carica per accompagnare la nostra attività sportiva.
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