martedì 7 febbraio 2017

Hector Cuper, il guerriero della luce

Eterno secondo.

Due parole attraverso le quali passano le carriere di diverse persone. Atleti, cantanti e non solo. Dal Basket al calcio, dal ciclismo a Sanremo, ogni realtà ha il suo ‘perdente’. Il suo guerriero della luce che, incessantemente, lotta per uscire dalle ombre della sconfitta e accendersi nel luminoso calore della vittoria.

Hector Cuper è l’Hombre Vertical. Un uomo tutto d’un pezzo, più duro del tempo e delle avversità. In piedi, mentre la tempesta prova a smuoverlo senza riuscirci. Colpo dopo colpo, sconfitta dopo sconfitta. Sole o pioggia, fermo ad attendere lo scintillio di un trofeo in una notte calda.

Un guerriero della luce non perde il proprio tempo ascoltando le provocazioni: ha un destino che deve
essere compiuto.

Destino. 1994. Argentina. Mentre negli Stati Uniti Maradona giocava i suoi ultimi scampoli di leggenda, Hector, sulla panchina dell’Huracan, si stava giocando il suo primo trofeo da allenatore. Ultima giornata del campionato di Clausura, la sua squadra sul campo dell’Independiente. Bastava un pareggio, ma fu una disfatta. 4-0. Secondi, tra le lacrime.

Il guerriero della luce comprende che il ripetersi delle esperienze ha un'unica finalità: insegnargli quello che non vuole apprendere.

Apprendere. Sono passati 4 anni da quella giornata di dolore. 4 anni in cui, con il sudore della fronte e i suoi principi, l’argentino si era guadagnato l’Europa. Il suo Mallorca, con Valeròn e Ivan Campo, era arrivato a giocarsi la Copa Del Rey con il più quotato Barcellona. Una battaglia conclusasi ai rigori. Reiziger segna, Eskurza sbaglia, Cuper perde. Ancora una volta in piedi, immobile a cercare una spiegazione.

Il Guerriero non tenta di sembrare, egli è. Conosce il proprio valore e non lotta mai con chi non merita l'onore del combattimento.

Combattere. Il calcio di Cuper era semplice, pochi schemi, tanta corsa. Combattere su ogni pallone, inseguire i lanci della difesa, allargare il gioco sulle fasce, non arrendersi mai. Il Mallorca si ripete e, contro ogni pronostico, riesce ad arrivare alla finale di Coppa delle Coppe. Alla fine del percorso, la Lazio dei fenomeni. 70’ d’illusione, prima dell’amarezza. 2-1, bramando una rivincita che non si realizzerà mai.

L'acqua di un fiume si adatta al cammino possibile, senza dimenticare il proprio obiettivo: il mare.

Obiettivo. Al Valencia gli obiettivi sono diversi. Non ci si accontenta e, con un gruppo di alto livello, porta la sua squadra fino alla finale di Champions League. Un sogno che s’infrange sul Real Madrid, in una notte da brivido. 3-0. Niente da fare.

Nel dubbio, il guerriero preferisce affrontare la sconfitta e poi curarsi le ferite, perchè sa che, se fuggisse, darebbe all'aggressore un potere maggiore di quanto meriti.

Fuggire. Hector non fugge, resta a Valencia e ricomincia per l’ennesima volta dal suo punto fermo: il lavoro. Settimana dopo settimana il gruppo si plasma a immagine e somiglianza del suo allenatore. Pratici, diretti e pronti a soffrire. Pronti alla seconda finale di Champions League consecutiva. Il Bayern Monaco di Oliver Kahn tra se e le speranze di vittoria. Cuper sprona i suoi, sembrano delle furie. Arrivano ai rigori e…il mondo dell’allenatore argentino si sgretola ancora una volta tra le sue mani. Cocci rotti di sogni infranti.

Un guerriero responsabile ha saputo osservare e istruirsi. Ma è stato capace di essere anche “irresponsabile”: a volte si è lasciato trascinare dalla situazione, e non ha risposto, non ha reagito. Ma ha imparato la lezione: ha assunto un atteggiamento, ha ascoltato un consiglio, ha avuto l’umiltà di accettare aiuto.

Irresponsabile. Cuper accetta i consigli, lascia il Valencia e approda a Milano, sponda nerazzurra. Un campionato di alto livello, l’Inter in lotta per lo scudetto, la voglia di correre su ogni pallone. Una grinta che non si vedeva dal 1997-98. In lotta, fino alla fine. Fino al 5 Maggio. Stadio Olimpico. L’Inter cade, Ronaldo piange. Cuper paga le sue scelte, paga l’avere avuto in squadra Gresko e l’averlo messo in campo. Ancora una volta le sue speranze si sciolgono come neve al sole.

Un guerriero della luce ha sempre una seconda opportunità nella vita.

Opportunità. 15 anni di alti e bassi, tra delusioni e dolori. Prima allontana Ronaldo dall’Inter, non riuscendo a superare l’ennesimo secondo posto di una carriera sempre in pista di decollo, poi emigra. Parma, Mallorca e la Grecia. Isole (in)felici in cui ha provato a ritrovare lo smalto dei bei tempi, senza arrendersi ai cambiamenti del calcio. 60 anni, il meglio alle spalle. La chiamata dell’Egitto sembra l’ultima chiamata prima di dover alzare bandiera bianca.
La storia chiama, Hector risponde.

Un guerriero non può abbassare la testa, altrimenti perde di vista l'orizzonte dei suoi sogni.

Sogno. Un sogno chiamato Coppa d’Africa. Una cavalcata esaltante, uno stile di gioco aggressivo, il Messi africano in attacco. Salah trascina don Hector fino alla finale. Le illusioni di gloria si volatizzano all’89’. Aboubakar segna e il baratro si espande sotto i piedi e nella sua mente.

Sono guerrieri della luce perché sbagliano. Perché si interrogano. Perché cercano una ragione: e certamente la troveranno. 

Ragione. Cuper resta in piedi a guardare ancora una volta. Rialzarsi dopo una sconfitta è possibile. Dopo 2 bisogna essere forti. Dopo 7 volte bisogna avere in se qualcosa di speciale. Vertical. Immobile di fronte alle intemperie. Hector guarda il cielo, le stelle sopra la sua testa ne hanno decretato l’ennesima sconfitta. Trovare una ragione, per l’ennesima volta, non è semplice. Una lacrima solca il viso di un uomo duro dall’interno, non scende al mento, ma al cuore.
In ogni storia che si rispetti, il protagonista, dopo immani sofferenze, riesce a coronare i suoi sogni, ma solo se non smette di crederci.

Il guerriero della luce crede. Poiché crede nei miracoli, i miracoli cominciano ad accadere.

Hector Raul Cuper è un guerriero della luce. E un guerriero della luce sa che sarà il tempo a dire chi ha vinto e chi ha perso e lui aspetterà in silenzio quel giorno. Perchè sa che, ogni volta che parla di un sogno, usa un po’ dell'energia di questo sogno per esprimersi. E se ne parla tanto, corre il rischio di sprecare tutta l'energia necessaria per agire.


È solo questione di tempo.
E in fondo noi Somos Contigo.




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