Eterno secondo.
Due parole attraverso le quali passano le carriere di diverse persone.
Atleti, cantanti e non solo. Dal Basket al calcio, dal ciclismo a Sanremo, ogni
realtà ha il suo ‘perdente’. Il suo guerriero della luce che, incessantemente,
lotta per uscire dalle ombre della sconfitta e accendersi nel luminoso calore
della vittoria.
Hector Cuper è l’Hombre Vertical. Un uomo tutto d’un pezzo,
più duro del tempo e delle avversità. In piedi, mentre la tempesta prova a
smuoverlo senza riuscirci. Colpo dopo colpo, sconfitta dopo sconfitta. Sole o pioggia, fermo ad attendere lo scintillio di un trofeo in una notte calda.
Un guerriero della luce non perde il proprio
tempo ascoltando le provocazioni: ha un destino che deve
essere compiuto.
essere compiuto.
Destino. 1994.
Argentina. Mentre negli Stati Uniti Maradona giocava i suoi ultimi scampoli di
leggenda, Hector, sulla panchina dell’Huracan, si stava giocando il suo primo
trofeo da allenatore. Ultima giornata del campionato di Clausura, la sua
squadra sul campo dell’Independiente. Bastava un pareggio, ma fu una disfatta.
4-0. Secondi, tra le lacrime.
Il guerriero della
luce comprende che il ripetersi delle esperienze ha un'unica finalità:
insegnargli quello che non vuole apprendere.
Apprendere. Sono
passati 4 anni da quella giornata di dolore. 4 anni in cui, con il sudore della
fronte e i suoi principi, l’argentino si era guadagnato l’Europa. Il suo
Mallorca, con Valeròn e Ivan Campo, era arrivato a giocarsi la Copa Del Rey con
il più quotato Barcellona. Una battaglia conclusasi ai rigori. Reiziger segna,
Eskurza sbaglia, Cuper perde. Ancora una volta in piedi, immobile a cercare una
spiegazione.
Il Guerriero non tenta
di sembrare, egli è. Conosce il proprio valore e non lotta mai con chi non
merita l'onore del combattimento.
Combattere. Il
calcio di Cuper era semplice, pochi schemi, tanta corsa. Combattere su ogni
pallone, inseguire i lanci della difesa, allargare il gioco sulle fasce, non
arrendersi mai. Il Mallorca si ripete e, contro ogni pronostico, riesce ad
arrivare alla finale di Coppa delle Coppe. Alla fine del percorso, la Lazio dei
fenomeni. 70’ d’illusione, prima dell’amarezza. 2-1, bramando una rivincita che
non si realizzerà mai.
L'acqua di un fiume si
adatta al cammino possibile, senza dimenticare il proprio obiettivo: il mare.
Obiettivo. Al
Valencia gli obiettivi sono diversi. Non ci si accontenta e, con un gruppo di
alto livello, porta la sua squadra fino alla finale di Champions League. Un
sogno che s’infrange sul Real Madrid, in una notte da brivido. 3-0. Niente da
fare.
Nel dubbio, il
guerriero preferisce affrontare la sconfitta e poi curarsi le ferite, perchè sa
che, se fuggisse, darebbe all'aggressore un potere maggiore di quanto meriti.
Fuggire. Hector
non fugge, resta a Valencia e ricomincia per l’ennesima volta dal suo punto
fermo: il lavoro. Settimana dopo settimana il gruppo si plasma a immagine e
somiglianza del suo allenatore. Pratici, diretti e pronti a soffrire. Pronti
alla seconda finale di Champions League consecutiva. Il Bayern Monaco di Oliver
Kahn tra se e le speranze di vittoria. Cuper sprona i suoi, sembrano delle
furie. Arrivano ai rigori e…il mondo dell’allenatore argentino si sgretola
ancora una volta tra le sue mani. Cocci rotti di sogni infranti.
Un guerriero responsabile ha saputo osservare e
istruirsi. Ma è stato capace di essere anche “irresponsabile”: a volte si è
lasciato trascinare dalla situazione, e non ha risposto, non ha reagito. Ma ha
imparato la lezione: ha assunto un atteggiamento, ha ascoltato un consiglio, ha
avuto l’umiltà di accettare aiuto.
Irresponsabile.
Cuper accetta i consigli, lascia il Valencia e approda a Milano, sponda
nerazzurra. Un campionato di alto livello, l’Inter in lotta per lo scudetto, la
voglia di correre su ogni pallone. Una grinta che non si vedeva dal 1997-98. In
lotta, fino alla fine. Fino al 5 Maggio. Stadio Olimpico. L’Inter cade, Ronaldo
piange. Cuper paga le sue scelte, paga l’avere avuto in squadra Gresko e l’averlo
messo in campo. Ancora una volta le sue speranze si sciolgono come neve al
sole.
Un guerriero della
luce ha sempre una seconda opportunità nella vita.
Opportunità. 15
anni di alti e bassi, tra delusioni e dolori. Prima allontana Ronaldo dall’Inter,
non riuscendo a superare l’ennesimo secondo posto di una carriera sempre in
pista di decollo, poi emigra. Parma, Mallorca e la Grecia. Isole (in)felici in
cui ha provato a ritrovare lo smalto dei bei tempi, senza arrendersi ai
cambiamenti del calcio. 60 anni, il meglio alle spalle. La chiamata dell’Egitto
sembra l’ultima chiamata prima di dover alzare bandiera bianca.
La storia chiama, Hector risponde.
La storia chiama, Hector risponde.
Un guerriero non può
abbassare la testa, altrimenti perde di vista l'orizzonte dei suoi sogni.
Sogno. Un sogno
chiamato Coppa d’Africa. Una cavalcata esaltante, uno stile di gioco
aggressivo, il Messi africano in attacco. Salah trascina don Hector fino alla
finale. Le illusioni di gloria si volatizzano all’89’. Aboubakar segna e il
baratro si espande sotto i piedi e nella sua mente.
Sono guerrieri della
luce perché sbagliano. Perché si interrogano. Perché cercano una ragione:
e certamente la troveranno.
Ragione. Cuper
resta in piedi a guardare ancora una volta. Rialzarsi dopo una sconfitta è
possibile. Dopo 2 bisogna essere forti. Dopo 7 volte bisogna avere in se
qualcosa di speciale. Vertical. Immobile di fronte alle intemperie. Hector
guarda il cielo, le stelle sopra la sua testa ne hanno decretato l’ennesima
sconfitta. Trovare una ragione, per l’ennesima volta, non è semplice. Una
lacrima solca il viso di un uomo duro dall’interno, non scende al mento, ma al
cuore.
In ogni storia che si rispetti, il protagonista, dopo immani sofferenze, riesce a coronare i suoi sogni, ma solo se non smette di crederci.
In ogni storia che si rispetti, il protagonista, dopo immani sofferenze, riesce a coronare i suoi sogni, ma solo se non smette di crederci.
Il guerriero della
luce crede. Poiché crede nei miracoli, i miracoli cominciano ad accadere.
Hector Raul Cuper è un guerriero della luce. E un guerriero
della luce sa che sarà il tempo a dire
chi ha vinto e chi ha perso e lui aspetterà in silenzio quel giorno. Perchè
sa che, ogni volta che parla di un sogno,
usa un po’ dell'energia di questo sogno per esprimersi. E se ne parla tanto,
corre il rischio di sprecare tutta l'energia necessaria per agire.
È solo questione di tempo.
E in fondo noi Somos Contigo.
E in fondo noi Somos Contigo.
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