Rimane a volte un mistero capire come in Italia alcuni gruppi musicali (o artisti in generale), da grande fama e successo internazionale, non riescano proprio a decollare. Destino condiviso da alcune band che vendono milioni di copie nel mondo, facilmente primi nelle classifiche di vendite e contemporaneamente elogiate dalla critica musicale. Uno dei casi che reputo più eclatanti riguarda gli Arcade Fire, gruppo canadese autore nel 2004 di un album d'esordio davvero epocale, "Funeral", considerato quasi all'unanimità dal mondo musicale come uno dei migliori prodotti del primo decennio del nostro secolo.
La loro ricetta musicale consiste in una sorta di collage tra il new wave fine anni '70, i primi U2, il David Bowie di Ziggy Stardust (in particolare nella voce), sound potente e variegato, arrangiamenti ricchi e ben curati, gusto per il barocchismo senza esasperazioni (che hanno invece condannato i Muse, ad esempio), capacità (mai semplice) di unire drammaticità a positività di fondo. Il senso del ritmo incessante, tipico della nuova new wave (e in questo simili agli Interpol), permette di sfruttarne le potenzialità anche durante attività sportive.
L'album si apre con il pianoforte a metà tra festoso ed epico di "Neighborhood #1 (Tunnels)", travolgente nel ritmo e nella voce di Win Butler. Sempre su dinamiche consistenti si dipana "Neighborhood #2 (Laika), unendo rock a musica folkloristica (richiamata dal suono di un gisa e dai violini). Più pacata è "Une Année Sans Lumiere", strutturata sopra un semplice arpeggio chitarristico, con un bel duetto di Win Butler con la moglie Régine Chassagne, cantante e polistrumentista del gruppo. Più tirata e rock è "Neighborhood #3 (Power Out)", drammatica, tesa e senza tregua. L'ultimo quartiere, "Neighborhood #4 (Kettles)", malinconica grazie al lavoro congiunto di violini, chitarre e una splendida melodia vocale, dona un poco di respiro. Ballata dal sapore classico grazie al ritmo valzer,
"Crown Of Love" è un'altra magnifica perla, che nell'ultimo minuto parte per un finale dirompente, come un treno al limite del deragliamento. "Wake Up" ha un taglio decisamente più rock in partenza, prima che un'arpa apra ad un coro barocco e al cantato ancora una volta intenso di Butler: il sound corposo si conferma imponente grazie al lavoro prezioso di ogni singolo componente della numerosa band (William Butler, fratello del leader cantante, Richard Reed Parry, Tim Kingsbury, Sarah Neufeld, Jeremy Gara); la canzone conferma la capacità di sorprendere degli Arcade Fire, grazie al cambio di ritmo quasi da marcetta cabaret della seconda parte. "Haiti", omaggio al paese di origine di Régine Chassagne, conferma il gusto per il ritmo e per gli arrangiamenti ricercati (lo xilofono e i fiati). "Rebellion (Lies)" è la canzone più radiofonica dell'album, pianoforte e grancassa a tenere il tempo per la melodia tanto semplice quanto efficace. "In The Backseat" regala una performance straordinaria della Chassagne in un'atmosfera sognante e sospesa nella prima parte, dove archi e chitarra elettrica convivono senza infastidirsi, prima dell'ingresso della batteria che aumenta la drammaticità spinta al punto giusto, senza mai eccedere.
Un album davvero memorabile, seguito da altri incredibili e pregevoli album che hanno confermato gli Arcade Fire come una delle migliori realtà della musica moderna. Alla faccia di chi si lamenta della pessima qualità musicale dei nostri tempi. Basta cercare fuori da quello che viene propinato per scoprire che nel mondo la musica sta andando avanti con gruppi completamente ignorati sul nostro territorio. Forse non solo nella musica.
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