mercoledì 24 febbraio 2016

Musica in Movimento: Radiohead - In Rainbows

Se si pensa ai Radiohead si associano subito intimismo, malinconia, lentezza, sperimentalismo esasperato. Eppure hanno saputo darci dentro anche con ritmi, chitarre, melodie più accattivanti (seppur mai, e dico mai, scontate). Consigliare però un loro album da ascoltare durante lo sport in effetti non è proprio facile. I loro più grandi capolavori, entrati nella storia della musica, non sono propriamente consigliabili per correrci sopra (penso a "Ok Computer", "Kid A", "Amnesiac"). 

Più intenso, dinamico e meno complesso nell'approccio appare invece "In Rainbows", album del 2007, diventato storico per essere stato il primo album ad essere venduto online al prezzo di preferenza del cliente (anche gratis, volendo), operazione forse di marketing, e che potevano permettersi Radiohead e pochi altri, ma di riflessione sulla direzione della musica contemporanea.

L'album, si diceva, è molto più intenso rispetto ad altri lavori del quintetto di Oxford. La partenza è per "15 Step", con un ritmo elettronico di 5/4, presto accompagnato dalla voce di Thom Yorke e dalla batteria di Philip Selway (perfettamente sincronizzato al beat elettronico), e successivamente dalle chitarre languide del resto del gruppo. 

In "Bodysnatchers" chitarre più tipicamente rock diventano vere protagoniste, con Ed O'Brian e Jonny Greenwood che con spennellate nevrotiche accompagnano il cantato ancor più nevrotico di Yorke. La partenza è stata intensa, tra le più dinamiche che i Radiohead abbiano mai regalato, ma presto arriva il momento del respiro, "Nude", ballata lenta e struggente, che parte in toni minimal grazie al basso di Colin Greenwood, lasciando spazio nel finale a violini mai stucchevoli, e con la voce di Yorke a dare il suo meglio con il suo classico falsetto. 

Atmosfera liquida in "Weird Fishes/Arpeggi", dove le tre chitarre si amalgamano tra di loro con tre differenti arpeggi (appunto), lasciando una sensazione quasi onirica di sospensione, con però un ritmo di batteria veloce ad accompagnare: una canzone in grado di donare dinamismo e uno stato quasi di trance all'ascoltatore sportivo. Altro momento di respiro con la ballata "All I Want", che parte con toni sempre minimalisti (caratteristica importante dell'album, dove gli arrangiamenti sono sempre ricercatissimi, ma senza eccessi di ridondanze e sovraincisioni, anzi, tutt'altro), e che nel finale esplode grazie al pianoforte e ad un generale crescendo strumentale

Perfetto incrocio di musica acustica e orchestrale nella successiva "Faust Arp", due minuti in cui le principali menti pensanti del gruppo (Thom Yorke e Jonny Greenwood) si incontrano in una sequenza di accordi e ritmiche inusuali, dove gli arrangiamenti degli archi (di Greenwood) perfettamente si adagiano sulla melodia intensa della voce di Yorke. Percussioni e batteria sono le protagoniste di "Rockoner", fornendo quindi ancora ritmi dove poter rilasciare energia: la struttura della canzone rimane in linea con l'altra peculiarità dell'album, ovvero la mancanza di ritornelli a favore di intermezzi riflessivi ed atmosferici e con finali in crescendo. 

Nell'alternanza quasi perfetta tra pezzi ritmici ad altri più lenti, ecco arrivare "House of Cards", un andamento vagamente reggae accompagnato da chitarre eteree, con le solite splendide melodie. Canzone tra le più pop della loro carriera, ma per nulla scontata, "Jigsaw Falling Into Place" torna a dare carica con la batteria di Selway e il basso del più giovane dei fratelli Greenwood a dare un tappeto ritmico importante, dove chitarre e voce continuano a macinare fino al crescendo finale. 

L'ultimo brano è il defaticamento, "Videotape", pianoforte con pochi e semplici accordi incessanti e la melodia struggente di Yorke, con l'ingresso di percussioni e suoni cupi e atmosferici.
40' di grande musica dove i Radiohead, tra i gruppi più influenti ed ermetici della storia della musica, riescono per una volta a coniugare originalità ad essenzialità e accessibilità a (quasi) tutti.

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