L'importanza dell'attivazione psicofisica attraverso la musica è stata capita anche da Michael Phelps, il più medagliato della storia delle Olimpiadi. Era solito ascoltare musica fino a pochi istanti prima di entrare in vasca e distruggere avversari e record mondiali. Oltre l'attivazione, la musica può avere anche a un compito di aiuto ritmico, oppure di distrazione dalla fatica e dal dolore, oppure che aiutino ad entrare nel flow, quello stato mentale in cui si diventa un tutt'uno con il fegato atletico. Uno degli album che meglio di altri riesce a svolgere tutti questi aiuti è "De-Loused on the Comatorium", album del 2003 degli americani Mars Volta, gruppo rock con alcune origini portoricane tra i propri membri.
È una musica che non si può ben confinare in un genere. Hardrock, hardcore, progressive, psychorock, musica atmosferica, ritmi latini... Insomma, una vera babele sonora condensata in un'ora di energia e riflessione.
L'album si apre con l'introduzione di "Son et Lumiere", con un cantato armonioso seguito da veloci colpi di batteria che accompagnano alla successiva "Inertiac ESP", una vera esplosione rock con strofe più melodiche. La voce di Cedric Bixlea Zavala raggiunge picchi estremi; la chitarra di Omar Rodriguez-Lopez si mette subito in evidenza, tra virtuosismi mai fini a se stessi alternati a melodici arpeggi; la parte ritmica è eccezionale, con la furiosa batteria di Jon Theodore e il perfetto lavoro al basso di Flea (in prestito dai Red Hot Chili Peppers); i lavori oscuri della tastiera di Isaiah Owens e del manipolatore di suoni Jeremy Ward (morto pochi giorni prima dell'uscita dell'album) non sono meno importanti per creare le atmosfere folli e a tratti ridondanti.
"Roulette Dares" mette in mostra ancora tutte le capacità del gruppo, in grado di passare da momenti di calma apparente e atmosfere morbide a sfrenate accelerazioni hardcore, senza mai tralasciare la melodia. Musica che passa attraverso tutti i canali percettivi.
"Tira Me a las Aranas" è un breve intermezzo di chitarre sbilenche. "Drunkship of Lanterns" parte con percussioni centroamericane, chitarre dissonanti e ritmo incessante, e poi continui passaggi tra esplosioni di pura potenza rock e momenti di respiro. Il finale tra suoni distorti accompagna alla successiva "Eriatarka", che parte con un arpeggio in acido della chitarra, prima della strofa melodica e bellissima, che non può che portare ad un ritornello come sempre cattivo e con in primo piano la voce di Bixler, capace di arrivare a note altissime senza perdere intensità. La canzone, tra le più lineari dell'album, è un continuo susseguirsi di simili passaggi, ma mai noiosi e prevedibili.
"Cicatriz ESP" è la più ambiziosa, con i suoi 12'30" di durata: l'inizio con un riff classico, voce, chitarre e strumenti che continuano ad accompagnarci in questi sconfinati meandri musicali, prima dell'esplosione del ritornello, "ho fallito", il canto di dolore di un esistenza difficile e sofferta. Piccola parentesi: questo è un concept album, tratto da un racconto scritto dal cantante, e a sua volta ispirato ad un fatto realmente accaduto ad un suo amico, in cui si racconta la storia di un uomo entrato in coma a seguito di assunzione di diverse sostanze, attraverso le folli visioni avute durante l'esperienza comatosa. Bè, ecco che nella parte centrale di "Cicatriz ESP" i tempi si dilatano, si ascoltano suoni che fanno da vero sfondo a possibili visioni psichedeliche ed assurde, grazie anche all'aiuto di John Frusciante, mitico chitarrista dei Red Hot, uscito da un'esperienza simile a quella raccontata. Nel finale la canzone riprende il tema iniziale per concludersi con un nuovo urlo di sofferenza. Eccoli lì, tutti gli stati possibili di attivazione per l'attività sportiva. "This Apparatus must be Unearthed" ha di nuovo ritmiche folli e frenetiche, tra pause ed esplosioni, tra sonorità dure e psichedeliche.
"Televators" si apre con suoni che sembrano uccelli, ma di nuovo non si sa dove ci si trova, arriva un effetto di chitarra distorto, e poi a sorpresa una chitarra acustica: è la canzone più lenta e dolce dell'album, con il cantato intenso e una melodia meravigliosa, ma di certo non stucchevole. Ecco invece di nuovo il momento di ritrovare energia e follia con la finale
"Take The Veil Cerpin Taxt", dove tutto il gruppo dà il meglio di sé nei quasi 9' di passaggi estremi tra le pieghe delle possibilità musicali: la parte centrale appare come una sorta di free jazz chitarristico tecnologico di inizio millennio, ma nel finale torna la tutta la potenza rock del gruppo, qualunque cosa accada al termine della storia dell'opera.
Ascoltare l'album prima di un'attività dona la possibilità di caricarsi e ricercare energia attraverso una sorta di lucida follia, liberando gli istinti. Ascoltarlo durante, permette di passare continuamente da ritmiche veloci e potenti a momenti di respiro e recupero, lasciando sempre quel retrogusto di schizofrenia e sofferenza che possono dare la possibilità di vedere e percepire le cose da un punto di vista diverso.
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