Lisa Borzani è una ultratrailer che corre per l’Atletica Amatori Chirignago.
Bronzo a squadre ai mondiali ultratrail di Annecy 2015, come anche in Galles nel 2013.
Lisa Borsani si è inoltre aggiudicata numerose importanti competizioni a livello nazionale e internazionale.
Ciao Lisa, a volte il primo passo di una gara inizia mesi o anni prima con un'idea, un desiderio o un sogno che vogliamo realizzare. Per te in che modo i “sogni” sportivi influenzano il tuo allenamento e le tue gare? In che modo? L'influenza è solo positiva o può anche essere negativa?
Sicuramente avere un
obiettivo, indipendentemente che questo sia un semplice obiettivo o
un sogno è secondo me è notevolmente importante. La motivazione e
l'impegno che “metti” sono due aspetti funzionali al
raggiungimento di ciò che vuoi ottenere e sono connessi al porsi
degli obiettivi.
Anni fa ho visto il mio
compagno Paolo partecipare al Tor de Geants e, in quel momento, mi
sono detta “anche io parteciperò”, ponendomelo come obiettivo.
Questo mi ha trasmesso una grande motivazione per allenarmi e per
arrivare pronta all'appuntamento.
Sicuramente l'avere un
obiettivo o un sogno ha una valenza positiva e mi riesce difficile
considerarlo negativo. Anzi! Credo che l'avere un obiettivo ti
permetta di stringere i denti, facendoti uscire per l'allenamento
anche quando non ne avresti voglia. Senza una meta da raggiungere ci
sono cose che non faresti mai.
Nel porsi obiettivi a
lungo termine, secondo te quali sono i tratti caratteriali che
maggiormente possono favorire, per uno sportivo, questo processo di
pianificazione e l'iter di avvicinamento e di concretizzazione
dell'obiettivo?
Come diceva un mio ex allenatore, la virtù principale dell'ultramaratoneta è la pazienza. Credo sia importante saper pianificare con pazienza, senza avere il desiderio di bruciare le tappe.
Questo
aspetto è fondamentale soprattutto nelle fasi iniziali, poi entrano
in gioco la perseveranza e la resistenza mentale. Se una persona si
pone un obiettivo distante nel tempo, anche tre o quattro mesi, può
capitare che all'inizio sia pieno di voglia ed entusiasmo, ma durante
la preparazione abbia dei cali motivazionali. La resistenza mentale
quindi sicuramente aiuta. Altre caratteristiche psicologiche sono
senza dubbio la motivazione, la determinazione e la voglia di
raggiungere l'obiettivo prefissato.
Ricapitolando
credo che gli aspetti centrali siano quindi: pazienza; resistenza e
alti livelli di motivazione. Oggi va molto di moda la parola
resilienza e credo che riassuma bene quanto sia necessario per
raggiungere un obiettivo a lunga scadenza.
Pensando alle tue
gare, credo che una tua dote sia la resistenza. Ripensando alla tua
vita, fin da quando eri bambina, c’è stato un momento o
un’esperienza in cui ti sei accorta che eri portata per “la
resistenza” e che la sensazione di superare la fatica ti poteva
piacere?
Seppure io riesca nelle gare dove c'è da resistere, ho l'impressione che non sia io che so resistere ma che siano gli altri a mollare. Non credo di avere livelli di resistenza oltre il normale.
Mi
viene però in mente che fin da bambina sono stata abituata alla
resistenza. Ho il ricordo di vacanze passate a casa con la mia
famiglia dove la mattina uscivo con mio papà e andavamo a camminare
per ore e ore per raggiungere un paese vicino o per andare a trovare
mia nonna. Mia nonna abitava a 30 chilometri di distanza. Questo ci
permetteva di far trascorrere il tempo.
Camminare
per ore, alternandolo la camminata a delle corsette è una cosa che
ho fatto fin da bambina ed è quindi nel mio DNA. Credo che questa
forma mentis mi sia stata trasmessa da mio padre come “cosa”
normale.
A livello
esistenziale, quale definizione daresti alla parola fatica? Cos'è
per te la fatica?
La
fatica è quella sensazione che provi quando vuoi andare un po' oltre
i tuoi limiti. Quando vuoi spingerti un po' più in là rispetto al
tuo standard per riuscire a migliorarti, conseguendo un passo in
avanti. Senza lo sforzo, che la fatica stessa implica, non potresti
raggiungere un obiettivo.
Vedo
la fatica anche come un mezzo per dare sale a quello che fai. Un
obiettivo raggiunto con fatica ha sicuramente un sapore diverso
rispetto ad un obiettivo raggiunto senza sforzi.
Nel
linguaggio comune normalmente gli viene conferita una connotazione
negativa, perché implica un disagio. Bisogna però considerare che è
anche un mezzo per raggiungere situazioni molto piacevoli come
ottenere un risultato sperato come portare a termine un trail
particolarmente impegnativo o un determinato posizionamento in
classifica.
Per te, in ambito
sportivo, esiste un pensiero felice dotato di una forte carica
energetica? Un pensiero “batteria”, che ti permette di andare
avanti anche quando le risorse fisiche sembrano ormai al lumicino?
Quando, in un trail o in un ultratrail, vado in crisi, mi concentro sul famoso qui ed ora. Mi concentro sul momento che sto vivendo, dicendo a me stessa che ce la posso fare e che tante volte dalle crisi sono uscita. Le crisi passano. Come sono venute, se ne vanno anche via.
Il
pensare alla temporaneità mi aiuta molto ad uscire da questi momenti
di disagio. Non è scritto da nessuna parte, infatti, che le crisi
devono perdurare per ore ed ore o che dureranno per tutta la gara.
Questi pensieri mi danno sollievo e mi permettono di essere ottimista
rispetto al superare la crisi che sto vivendo.
Ci sono dei pensieri
invece da cui attivamente ti tieni lontana, perchè sai che questi
potrebbero nuocerti a livello motivazionale compromettendo le tue
gare?
Assolutamente sì! Questo è il mio tallone d'Achille! Sono consapevole che, certi pensieri, certe persone, certe frasi e certi sguardi impressi nella mia memoria, devo tenerli lontani in ogni modo, per tutta la durata della gara.
Questa
la vivo come una grande fatica, perchè questi pensieri si annidano
tra le pieghe della mia mente e tenerli fuori risulta a volte
difficile. Nonostante questo, devo riuscirci a tutti i costi perchè
una volta entrati rischiano di compromettere le mie gare.
Alcune
mie gare infatti sono andate “a farsi friggere”, proprio perchè
mi sono concentrata su uno sguardo negativo o su una parola detta da
una determinata persona in una determinata situazione.
Hai qualche strategia per
rimandarli al mittente?
Come
ti dicevo questa per me è la parte più dura. L'energia e gli sforzi
che mi richiede non fare arrivare questi pensieri alla mente è
notevole, ma so che che se non dovessi farcela poi diventa molto
dura.
La
strategia è quindi quella di farli morire prima che nascano, prima
che arrivino alla mente. Posso concentrarmi su qualcosa di concreto
come mangiare un pezzo di cioccolata o una barretta. Posso
concentrarmi su sensazioni fisiche come masticare o come il sapore
che ho in bocca.
Sposto
l'attenzione dalla mia mente alle mie sensazioni fisiche, facilitando
la sperimentazione di sensazioni positive, ad esempio cercando un
pezzo di cioccolata nello zaino. Questo lo trovo d'aiuto.
Se lo sport, in questo
senso intendo i trail e gli ultratrail ti avesse modificato a livello
caratteriale, secondo te quali sono gli aspetti su cui questo
cambiamento è avvenuto?
Secondo me l'ultratrail mi ha reso più paziente. Tempo fa, otto ore in ufficio, seduta davanti a un computer, mi sembravano interminabili. Ora penso che sono solo la metà di quelle che passo in mezzo ai boschi a correre. Anche il lavoro, come la crisi, ha quindi un termine. Mi ha permesso, quindi, di avere una concezione diversa del tempo che passa, rendendomi di conseguenza più paziente nello svolgere le attività che non mi piacciono.
Anche
la possibilità di entrare e uscire continuamente da momenti di crisi
mi ha reso più resiliente. Andando spesso in montagna ho imparato ad
apprezzare di più le cime ed i paesaggi della natura, scoprendo
delle bellezze incredibili, che credo mi abbiano arricchito molto.
Questi
apprendimenti cerco di metterli in pratica nella vita di tutti
giorni, perché sento che mi aiutano a vivere meglio. Penso quindi
che se l'ultratrail mi ha modificato, lo ha fatto in meglio.
Nell'ambiente
dell'ultratrail le tue sfide col tuo compagno Paolo sono ormai
famose. Il fatto di allenarvi insieme e fare quasi sempre le stesse
gare a ritmi simili in che modo senti possa essere un fattore
motivante e in che modo lo può essere meno?
Non posso neanche concepire che questo possa essere uno
svantaggio. Pianificare con lui le gare e condividere con lui tempo e
le esperienze secondo me è un grossissimo vantaggio, perchè ho al
mio fianco una persona che mi capisce rendendo meno probabile la
nascita di difficoltà.
A livello motivazionale è inoltre, per me,
importantissimo avere il suo appoggio. Se sentissi che non approva la
mia partecipazione ad una gara, credo che non ne prenderei parte o se
lo facessi non renderei al meglio. Credo sia una bellissima
opportunità poter condividere una passione e questo tipo di vita e
questa condivisione ci permette di crescere come coppia.
Un trail, inoltre, ti va bene quando hai una condizione
di vita e famigliare che ti permette di correre con la mente libera.
Sapere che ho l'appoggio di Paolo e che lui è per me un compagno in
tutto e per tutto mi infonde un senso di sicurezza e una serenità
che diventano per me un valore aggiunto in corsa.
Gareggi
tutto l'anno, quasi ogni weekend, su distanze spesso molto lunghe. A
volte ti sono state rivolte critiche per questo. Anche se molte di
queste gare le utilizzi come allenamento, pensi che ti intacchino un
po' le risorse di resistenza mentale, oppure sono sempre allenanti
anche sotto questo punto di vista?
Per me correre è sempre un gran piacere, per cui lo faccio sempre molto volentieri e nelle gare trovo uno stimolo che non trovo in allenamento. Non è sempre agevole andare ore e ore da sola per monti e avere la possibilità di prendere parte a una gara diventa per me un vantaggio.
Molte persone mi dicono che gareggio troppo, ma io mi
diverto, ci metto passione e impegno e quando arrivano dei bei
risultati sono anche contenta. Mi alleno e gareggio anche per questo,
non voglio fare finta di non essere competitiva. Inoltre avendo un
lavoro, non potendo vivere di solo trail, non devo rendere conto a
qualcuno e quindi cerco di godermela.Dal punto di vista mentale non mi sento assolutamente
provata, non sento le energie mentali che se ne vanno. A differenza
di molti io non vedo la gara come un appuntamento in cui devo
dimostrare qualcosa a qualcuno, ma come un momento per divertirmi e
per fare il meglio che posso.
La gara inoltre può essere anche un allenamento in
vista di un obiettivo futuro. Ad esempio, per preparami al Tor de
Geants ho partecipato a molte gare lunghe, nell'ottica di arrivare
nel migliore dei modi a questo evento.
Quando ho partecipato alla Dolomiti Skyrun, all'Orobie e
alla Lavaredo ero consapevole che arrivavo da un periodo di carico e
che i risultati sarebbero potuti essere buoni o meno. A livello
mentale, però le energie non mi sono mai venute meno.
Inoltre un mio parere personale è che in Italia molti
top runner non si allenano a sufficienza e questo, a mio avviso,
spiega il motivo per cui non riusciamo ad emergere, a livello
maschile, sulle lunghe distanze. Quattro o cinque ore di allenamento
non credo siano un gran lungo e in Francia infatti molti atleti
lavorano più di noi.
Vedendo
da spettatore le gare di ultratrail, una domanda che sorge spontanea
riguarda il rapporto tra fatica e divertimento. Quale secondo te è
il rapporto, a livello quantitativo, tra fatica e divertimento?
Se ti rispondessi che mi diverto e basta mentirei. Ci
sono dei frangenti in cui la frase “chi me l'ha fatto fare”
emerge, però la componente della soddisfazione e del divertimento è
sempre prevalente.
Forse più che divertimento puro c'è una componente di
soddisfazione che è sempre presente nei miei allenamenti e nelle mie
gare. Una sensazione di godimento e di appagamento connesso ad un
buon risultato o unicamente legato all'aver preso parte ad una gara
che ti piace molto è sempre presente. Passare in posti che amo,
come la Val D'Aosta e le sue vette, è già una ragione che mi spinge
a partecipare a queste gare.
La fatica e lo sforzo sono presenti, ma lo sono in
proporzione inferiore rispetto ai lati positivi che ti regala la
partecipazione ad un trail.
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