lunedì 13 giugno 2016

Dialogo col campione: Claudio Chiappucci

Claudio Chiappucci è stato uno dei ciclisti italiani più importanti negli ultimi 30 anni.

Soprannominato El Diablo, vinse una Milano-Sanremo e ottenne, rispettivamente, 3 podi al Giro D'Italia e al Tour de France.








Alcuni commentatori di ciclismo sostengono che per creare l'atleta ideale sarebbe bastato unire il corpo di Bugno e la testa di Chiappucci. A questo proposito, vorrei chiederti quali sono le tue doti dal punto di vista mentale? Pensi di esserci nato o di averle costruite col tempo?

Innanzitutto ci tengo a sottolineare che la perfezione non esiste e questo è il motivo per cui spesso si associa il corpo di Bugno e la testa di Chiappucci. Detto questo, io non penso di essere nato da subito con delle doti mentali, ma di averle costruite durante il corso della mia carriera.
La caparbietà e la capacità di superare delle difficoltà sono essenziali nel ciclismo. Molto spesso è la testa a fare la differenza e questa va costruita negli anni. A volte ci sono atleti con un fisico bestiale, ma senza la testa per supportare il loro motore.
Quali pensi siano i tuoi punti forti a livello mentale?

L'essere capace di non mollare. Molto spesso l'istinto ti suggerisce di lasciarti andare, ma è in quei frangenti che subentra la testa, che ti ricorda le motivazioni che ti spingono verso l'obiettivo. Possono essere motivazioni personali, di squadra, legate ai tifosi, ma è la testa a saperle far fruttare, trasformandole in forza e energia.

Quando eri in difficoltà eri solito agganciarti a qualche pensiero?

No, non avevo un pensiero ricorrente. Sai durante una gara di 6/7 ore pensi a molte cose, le riflessioni sono in continua evoluzione e non ti soffermi mai su un pensiero unico.
Questo processo aiuta ad allenare la mente, perchè ti confronti con situazioni difficili e tu devi capire come uscirne, come far passare le difficoltà e come arrivare al traguardo. Lo slancio parte dalla testa e il fisico non fa che cogliere l'input che gli trasmetti con la testa.

La tua vittoria sul Sestriere del '92 è ancora negli occhi di molti appassionati. In quell'impresa hai passato molto tempo da solo. Quali sono secondo te i rischi, a livello mentale e di pensieri, in cui può incappare un ciclista che va in fuga?

I rischi possono essere molti. Mi sono trovato in fuga quasi per caso, non volevo andare da subito in fuga ma mi ci sono trovato. A quel punto inizia una fase di riflessione. Devi capire come mai sei in fuga e cosa puoi fare dal momento che sei in fuga. Continui o aspetti? Nel frattempo l'adrenalina ti sostiene e ti permette di proseguire.
I chilometri passano, il traguardo si avvicina, ma dall'altra parte il rischio di essere raggiunto o di avere un crollo è in agguato. Tu devi essere pronto ad affrontare qualsiasi evenienza si presenti e in quei momenti i pensieri spaziano dalla tua vita personale, alla situazione di gara, a come superare un momento di crisi, a come ti comporteresti nel caso venissi raggiunto, a prevedere come imposteresti la gara se la fuga dovesse finire.

Da quanto mi racconti un atleta in corsa pensa molto....

Questo vale per me, ma non so se per tutti sia cosi. Ero un corridore molto istintivo e per essere così avevo bisogno di pensare molto. Oggi gli atleti che pensano sono sempre meno, perchè sono i direttori a dare gli input attraverso gli auricolari.
Ai miei tempi, seppure delineavamo una tattica iniziale, noi corridori eravamo obbligati a pensare molto in corsa. In corsa potevamo decidere per tattiche non previste e per le quali la squadra non era completamente preparata. La riflessione scaturiva anche dal fatto che le situazioni di corsa erano in parte non prevedibili.

Uno degli aspetti che ti ha reso famoso sono i tuoi ripetuti scatti in salita. Oltre all'aspetto atletico, che deve essere sufficientemente allenato, ci sono degli stratagemmi mentali che possono rendere uno scatto efficace?

Lo scatto è un modo di pensare e può essere efficace o meno in relazione al tuo avversario. Per me uno scatto non è mai stato uguale a un altro, perchè i miei avversari variavano, variava la loro forma fisica e variava la mia.
Non puoi sapere come andrà uno scatto, non lo puoi preparare a tavolino, ma devi essere pronto ad adattarti alla situazione che si viene a creare.

Mi stai dicendo che uno scatto diventa efficace se sei capace di comprendere bene la situazione?

Certo! Uno scatto non nasce per caso! Studi la situazione e i tuoi avversari, pensi a quanto dista il traguardo, studi la conformazione della salita e quanto manca alla vetta. Anche il tempo atmosferico può rendere uno scatto efficace o meno.

Può capitare di prendere parte a un giro, di partire per una tappa alpina, e ci si accorge di essere in una giornata no. Non si vuol far capire agli avversari il proprio stato, per non dare loro un vantaggio. Quali possono essere degli stratagemmi da mettere in atto?

Secondo me la miglior difesa è l'attacco. Vuoi far vedere ai tuoi avversari che ci sei, soprattutto quando sei al tuo meglio. Cerchi di ingannare i tuoi avversari costruendoti un'immagine, un ruolo.
Gli dimostri che sei forte, anche se sai che le tue potenzialità quel giorno sono ben diverse. Sai non sempre puoi essere un fenomeno, ma hai la necessità di comunicare che sei in forma anche quando non lo sei.
Mi è capitato di vincere delle gare quando non ero in forma e di perderle quando ero molto sicuro delle mie potenzialità. Quando pensi poco e ti approcci alle gare con semplicità, perdi quell'adrenalina che ti permette di avere la forza per fare la differenza.

Sei stato un ottimo discesista. Hai mai avuto paura in discesa?

No, mai. Pensa che io arrivavo da una caduta i primi anni da professionista in cui mi sono rotto una clavicola e un piede. Seppure non per colpa mia, mi sono trovato coinvolto in una caduta.
Dopo questo infortunio, mi sono ritrovato più forte di prima in discesa. Forse questo è accaduto perchè sono riuscito a convincermi che la caduta era stata un caso e non era dipesa da me. Ho scoperto infatti di essere un ottimo discesista e in particolare nelle situazioni a maggiore difficoltà, ad esempio con la pioggia.

Se dovessi dare un consiglio ad un giovane ciclista per affrontare le discese quale consiglio daresti?

Non so se un consiglio potrebbe servire, perchè non sempre quando sei sulla strada riesci a mettere in pratica quello che pensi andrebbe fatto. Senza un'esperienza importante alle spalle del ciclista non è possibile dargli un consiglio. A volte i consigli sono semplicistici.

Quando si è a tutta, ma non si vuole mollare, ci sono dei pensieri che secondo te possono aiutare? E' differente essere a tutta in gruppo o in solitaria?

Se sei a tutta da solo significa che stai facendo la differenza, stai vincendo o stai facendo qualcosa di grande. Se sei in gruppo significa che stai soffrendo o che sei al gancio. Segui gli altri, ma stai facendo fatica, e quindi la sensazione che provi è che qualcosa non quadri. Meglio essere da soli e provare la sofferenza connessa a fare la differenza sugli altri.
Quindi è meglio essere soli quando si fa fatica?

Meglio soli che male accompagnati.

In diverse interviste hai dichiarato di essere un appassionato di calcio e di averlo anche praticato. Quali sono le componenti del Calcio che mancano al ciclismo e quali sono le componenti del ciclismo che mancano al calcio?

Non credo. Il calcio è fatto di schemi, è tattica. Lo schema nel calcio funziona sempre. Nel ciclismo la tattica è in continua evoluzione, cambia sempre. Varia in relazione al momento, alla gara, al percorso, al tempo atmosferico, agli avversari e dalle tue condizioni. Le variabili sono molte nel ciclismo e questo porta a renderlo imprevedibile.
Nel calcio conosci già gli avversari, sai come giocano e questo rende importante la tattica.

Secondo te non ci sono competenze che un calciatore potrebbe imparare da un ciclista?

No, sono sport troppo diversi. Il calcio è uno sport di squadra in cui esiste una panchina. Il ciclista non può essere sostituito e deve pedalare in ogni eventualità. Anche a livello di leadership ci sono importanti differenze. Nel calcio nel momento in cui sei dotato di estro, prima o poi lo metterai in mostra. Nel ciclismo non è sempre così.
Sono sport molto differenti. Il ciclismo è molto variabile. C'è la pianura, la salita e i percorsi cambiano sempre. Credo di essere passato dal calcio al ciclismo, perchè sentivo mi desse la possibilità di esprimere al meglio il mio essere.

C'è qualcosa che vorresti dirmi e che non ti ho domandato?

II ciclista dal punto di vista mentale è forte, perchè senza forza mentale il fisico vale di meno. I risultati arrivano perchè hai un carattere forte. Non credo che per forza si debba nascere così. Io le mie qualità le ho scoperte col tempo, affrontando le difficoltà e le problematiche che la vita mi proponeva.
Ho scoperto di essere caparbio. Questo mi ha permesso di esprimermi e di dirigermi nella direzione degli obiettivi che desideravo raggiungere. Non ho mai voluto essere come tutti gli altri, volevo essere unico e questo mi ha portato anche ad essere perseverante. Non sono nato campione, mi sono costruito, affrontando le difficoltà.

C'è stato un momento in cui tu, pensando alla tua storia sportiva, ti sei accorto di avere delle capacità importanti?

Credo la maglia gialla nel '90. Mi sono accorto che tutto il mondo mi guardava e ho capito che c'era qualcosa di me che piaceva alla gente e ai media. In quel momento mi sono detto “da questo momento devo dimostrare, questo è il mio momento!”. Volevo dimostrare a me stesso e a chi mi osannava che non ero un fuoco di paglia, che io c'ero.

INTERVISTA A CURA DI:
Cesare Picco autore del libro "Stress e Performance Atletica"
Psicologo/Psicoterapeuta e psicologo dello sport

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