mercoledì 15 giugno 2016

Musica in movimento: Interpol - Antics

Uno dei migliori prodotti rock del primo decennio del millennio 2000, una nuova linfa al movimento della new wave nata tra fine anni '70 e inizio anni '80, o un altro clone di quei gruppi dallo stile decadente, con voce baritonale alla Ian Curtis e i suoi Joy Divison, per intenderci? Io sarei più tendente per la prima. 

I newyorkesi Interpol hanno regalato diverse perle negli anni zero, anni zero anche per la musica rock, probabilmente, da cui hanno cercato di coniugare l'eredità difficile dei vecchi Curtis e soci con un nuovo indie rock essenziale ma proiettato verso il futuro.

Dopo l'esordio fulminante di "Turn On The Bright Lights" del 2002, gli Interpol si trovarono due anni dopo a dover produrre un altro album di qualità per mostrare di non essere stati solo un caso e di avere ancora molto da dire. Ecco che nel 2004 uscì "Antics": formula simile, ma sempre efficace. Un album colmo di gran belle canzoni di presa rapida ma per nulla stupide e scontate, e piuttosto adatte come accompagnamento per le nostre attività sportive.

Quattro semplici accordi di organo aprono la malinconica "Next Exit", con la splendida voce baritonale di Paul Banks a prendere la scena: troppo simile a Ian Curtis? Chissenefrega, è una grande voce che regala grandi emozioni. Per noi è stato solo un riscaldamento, perché il basso di Carlos Dengler apre la successiva "Evil", probabilmente la loro canzone più conosciuta, con un ritornello da far saltare, letteralmente. 

"Narc" si destreggia sulle chitarre di Banks e Daniel Kessler, con la sempre precisa sezione ritmica di Dengler e la batteria di Sam Fogarino. Abbiamo preso il ritmo, e non lo perdiamo nemmeno con "Take You on a Cruise", nonostante l'atmosfera decadente e oscura creata dalle chitarre. 

In "Slow Hands" possiamo rialzare decisamente il ritmo, un pezzo che più Interpol non si può. "Not Even Jail" tiene ancora il tempo alto con la batteria sincopata di Fogarino e i riff di chitarra. "Public Pervert" torna su atmosfere più dark e melodie più malinconiche, permettendoci di prendere fiato. 

Rimane ancora il tempo per alzare la cadenza grazie a "C'mere" e "Lenght of Love", ancora chitarre taglienti e ritmo che non cala mai. Il finale è il nostro defaticamento, "A Time to be so Small", dove si rallentano i toni e torna quella vaga malinconia di inizio millennio.

Un grande album. Migliore questo o l'esordio di "Turn On The Bright Lights"?, o il successivo "Our Love to Admire"?, o il ritorno alle origini di "Interpol" del 2010? Forse la risposta non esiste, forse l'unica risposta è di godersi ogni opera a sé stante smettendola di fare paragoni.

ARTICOLO A CURA DI:


Nessun commento:

Posta un commento