All’ultimo Tour
de France si è purtroppo ritirato dopo poche tappe Fabio Aru. I motivi non li
sappiamo, nonostante le ovvie speculazioni: problemi fisici generici,
condizione che non gli permetteva di reggere le ruote del gruppo nemmeno in
pianura (questo nella tappa del ritiro, perché nelle precedenti aveva fatto una
corsa quantomeno da corridore “normale”), oppure problemi psicologici. Sui
social o sui siti sono partite le accuse: non si impegna, guadagna troppo, non
ha la testa, sopravvalutato, bollito, eccetera. Ormai il mondo è così, il
commento non è più “al bar”, o tra amici, o a casa, ma si dice tutto sui social
o sulla sezione commenti dei siti d’informazione. Solo che le voci in questo
modo girano più velocemente, gli insulti arrivano più facilmente anche agli
stessi protagonisti, in questo caso uno sportivo, ma potrebbe essere un
qualsiasi personaggio pubblico.
Il limite non esiste più, ormai l’insulto è gratuito. Un giorno ho avuto uno
scambio di commenti sui social con una signora (che non so se avesse un passato
sportivo, dalla sua pagina non si capiva, ma diciamo che non sembrava) che ha
dato dell’arrogante a Elia Viviani, così, da non si sa quale pulpito e senza
alcun motivo di partenza. Lui le aveva fatto qualcosa? No, semplicemente lui ha
vinto un’Olimpiade (cioè, ripeto, un’Olimpiade), ha avuto altri successi abbastanza
importanti negli anni successivi, quest’anno (chiaramente un anno tutto strano,
con piani saltati e situazioni completamente nuove) ha fatto meno risultati per
motivi che nessuno può sapere (una forma peggiore?, qualche malanno che ha
rallentato la preparazione o ha ridotto le prestazioni?, gli altri che sono
diventati più forti contemporaneamente alla sua età che avanza?), ed ecco che
automaticamente il corridore che non fa più risultati è montato, o
sopravvalutato, o non si impegna abbastanza (che poi, se l’obiettivo principale
erano di nuovo le Olimpiadi e queste sono state rimandate all’anno prossimo,
potrebbe anche essere normale trovarsi un poco al di sotto del proprio standard
in attesa del prossimo anno). Oppure potrebbe allenarsi male o peggio di prima,
è possibile, ma questo non lo si può sapere e di certo a stabilirlo non credo
sia una tizia (o un tizio) qualunque che commenta da casa.
Di casi simili ce ne sono in quantità enormi: Vincenzo Nibali al Giro di Lombardia sofferente di crampi nel finale di corsa e poi gente da casa a suggerirgli sui social che avrebbe dovuto bere di più o alimentarsi meglio. Capito? Gente da casa che dice come bere e alimentarsi in gara a Nibali, il più vincente ciclista degli ultimi 10 anni e che corre in bicicletta ai massimi livelli da quando era bambino. Per non parlare delle critiche allucinanti che ho letto nei suoi confronti dopo il Mondiale di Imola che lo ha visto comunque tra i protagonisti. E si può già immaginare che se dovesse fare un ottimo Giro d’Italia alcuni suoi critici saliranno sul carro, oppure si lamenteranno del fatto che la concorrenza fosse scarsa, come hanno d’altronde spesso fatto i suoi detrattori, vai a capire perché poi.
In questi ultimi mesi ricordo anche critiche a Yeman Crippa (parliamo di
atletica leggera) alla sua prima apparizione post lockdown in una gara sui 1500
metri, “colpevole” di aver corso troppi secondi oltre il record italiano e che
col suo stipendio da poliziotto dovrebbe far di meglio, perché pagato dagli
italiani. Anche qua, poco impegno, sopravvalutato, allenato male, pagato
troppo, eccetera, le solite cose. Peccato che successivamente abbia fatto due
record italiani (3000 e 5000 metri) e sfiorato proprio quello dei 1500. Eppure
non è bastato, anche qua critiche, perché il record del mondo è lontano, gli
altri paesi fanno meglio, il record era vecchio, era ora, può far meglio, così
non si vincono le medaglie, eccetera eccetera (non considero nemmeno i commenti
a sfondo raziale, non meritano citazione). Cosa simile anche per Filippo Tortu,
ad esempio. Già dallo scorso anno sono iniziati i soliti commenti/insulti di
rito, reo di non essere più migliorato dopo il sub 10” nel 100 metri del 2018:
sopravvalutato, gonfiato, appagato, eccetera, oltre ovviamente ad accuse
sull’avere come allenatore il padre (che quando funziona è geniale, come ad
esempio per i fratelli Ingebrigsten, altrimenti è una cosa che non si fa, ma lo
si dice quando va male, non quando va bene, cioè fino al 9”99 del 2018).
Eppure, una finale mondiale lo scorso anno con tanto di 7° posto a Doha l’ha
portata a casa. Ma non basta, gli altri vanno più veloce, così non si vincono
le medaglie, e il solito bla bla bla.
L’elenco potrebbe andare avanti ancora a lungo prendendo da qualsiasi sport.
Credo che non esista sportivo al mondo che non abbia detrattori, compresi
quelli considerati i più grandi di sempre, quindi figuriamoci atleti comunque
pazzeschi ma che hanno “l’onta” di non essere dei supercampioni da libri di
storia.
Preferenze o simpatie fanno parte della vita, non esiste persona al mondo in grado di mettere tutti d’accordo, su qualsiasi tema, figuriamoci nello sport, ma il problema è quando si va oltre la simpatia o l’antipatia e persino oltre il tifo. L’insulto gratuito, il giudizio senza sapere nulla di quello che avviene ad un atleta, senza sapere cosa provi, quanto impegno abbia messo, persino quali siano i valori reali in un determinato sport (consideriamo ad esempio il doping, cosa a cui non voglio mai pensare ma che purtroppo esiste), spesso senza sapere le dinamiche stesse di una disciplina (un classico rimane il ciclismo, con le accuse di non attaccare in salita o cose simile, commenti fatti evidentemente da gente che non sa cosa voglia dire fare certe ascese a certi ritmi).
L’atleta è visto come un gladiatore. Il pubblico vuole lo spettacolo, il sangue, pretende la perfezione, vorrebbe gladiatori indistruttibili e probabilmente anche senza emozioni. Troppe persone che si definiscono tifosi non riescono a capire, anzi, non si sforzano nemmeno di pensare che un atleta è anche una persona che può avere alti e bassi, sia fisici che psicologici, e che l’insulto e il facile giudizio non è più tollerabile. Fa una certa impressione vedere come molti criticoni dei ciclisti di oggi rimpiangano Marco Pantani. È proprio l’eccessiva pressione che può rompere certe fragilità, com’è successo al campione romagnolo. Nessuno è indistruttibile, nemmeno gli sportivi professionisti, nemmeno i più forti al mondo. Ma troppi spettatori non se ne rendono conto e continuano imperterriti nel loro sport dell’insulto e della critica, lo sport più semplice e dove tanti possono essere campioni, dove troppi si credono vincitori e dove si perde solo una cosa: l’umanità.
(Articolo a cura di Stefano Ruzza, trail coach e ultratrailrunner)
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