giovedì 8 ottobre 2020

Lo sport dove in troppi si credono vincitori

All’ultimo Tour de France si è purtroppo ritirato dopo poche tappe Fabio Aru. I motivi non li sappiamo, nonostante le ovvie speculazioni: problemi fisici generici, condizione che non gli permetteva di reggere le ruote del gruppo nemmeno in pianura (questo nella tappa del ritiro, perché nelle precedenti aveva fatto una corsa quantomeno da corridore “normale”), oppure problemi psicologici. Sui social o sui siti sono partite le accuse: non si impegna, guadagna troppo, non ha la testa, sopravvalutato, bollito, eccetera. Ormai il mondo è così, il commento non è più “al bar”, o tra amici, o a casa, ma si dice tutto sui social o sulla sezione commenti dei siti d’informazione. Solo che le voci in questo modo girano più velocemente, gli insulti arrivano più facilmente anche agli stessi protagonisti, in questo caso uno sportivo, ma potrebbe essere un qualsiasi personaggio pubblico.

Il limite non esiste più, ormai l’insulto è gratuito. Un giorno ho avuto uno scambio di commenti sui social con una signora (che non so se avesse un passato sportivo, dalla sua pagina non si capiva, ma diciamo che non sembrava) che ha dato dell’arrogante a Elia Viviani, così, da non si sa quale pulpito e senza alcun motivo di partenza. Lui le aveva fatto qualcosa? No, semplicemente lui ha vinto un’Olimpiade (cioè, ripeto, un’Olimpiade), ha avuto altri successi abbastanza importanti negli anni successivi, quest’anno (chiaramente un anno tutto strano, con piani saltati e situazioni completamente nuove) ha fatto meno risultati per motivi che nessuno può sapere (una forma peggiore?, qualche malanno che ha rallentato la preparazione o ha ridotto le prestazioni?, gli altri che sono diventati più forti contemporaneamente alla sua età che avanza?), ed ecco che automaticamente il corridore che non fa più risultati è montato, o sopravvalutato, o non si impegna abbastanza (che poi, se l’obiettivo principale erano di nuovo le Olimpiadi e queste sono state rimandate all’anno prossimo, potrebbe anche essere normale trovarsi un poco al di sotto del proprio standard in attesa del prossimo anno). Oppure potrebbe allenarsi male o peggio di prima, è possibile, ma questo non lo si può sapere e di certo a stabilirlo non credo sia una tizia (o un tizio) qualunque che commenta da casa.

Di casi simili ce ne sono in quantità enormi: Vincenzo Nibali al Giro di Lombardia sofferente di crampi nel finale di corsa e poi gente da casa a suggerirgli sui social che avrebbe dovuto bere di più o alimentarsi meglio. Capito? Gente da casa che dice come bere e alimentarsi in gara a Nibali, il più vincente ciclista degli ultimi 10 anni e che corre in bicicletta ai massimi livelli da quando era bambino. Per non parlare delle critiche allucinanti che ho letto nei suoi confronti dopo il Mondiale di Imola che lo ha visto comunque tra i protagonisti. E si può già immaginare che se dovesse fare un ottimo Giro d’Italia alcuni suoi critici saliranno sul carro, oppure si lamenteranno del fatto che la concorrenza fosse scarsa, come hanno d’altronde spesso fatto i suoi detrattori, vai a capire perché poi.

In questi ultimi mesi ricordo anche critiche a Yeman Crippa (parliamo di atletica leggera) alla sua prima apparizione post lockdown in una gara sui 1500 metri, “colpevole” di aver corso troppi secondi oltre il record italiano e che col suo stipendio da poliziotto dovrebbe far di meglio, perché pagato dagli italiani. Anche qua, poco impegno, sopravvalutato, allenato male, pagato troppo, eccetera, le solite cose. Peccato che successivamente abbia fatto due record italiani (3000 e 5000 metri) e sfiorato proprio quello dei 1500. Eppure non è bastato, anche qua critiche, perché il record del mondo è lontano, gli altri paesi fanno meglio, il record era vecchio, era ora, può far meglio, così non si vincono le medaglie, eccetera eccetera (non considero nemmeno i commenti a sfondo raziale, non meritano citazione). Cosa simile anche per Filippo Tortu, ad esempio. Già dallo scorso anno sono iniziati i soliti commenti/insulti di rito, reo di non essere più migliorato dopo il sub 10” nel 100 metri del 2018: sopravvalutato, gonfiato, appagato, eccetera, oltre ovviamente ad accuse sull’avere come allenatore il padre (che quando funziona è geniale, come ad esempio per i fratelli Ingebrigsten, altrimenti è una cosa che non si fa, ma lo si dice quando va male, non quando va bene, cioè fino al 9”99 del 2018). Eppure, una finale mondiale lo scorso anno con tanto di 7° posto a Doha l’ha portata a casa. Ma non basta, gli altri vanno più veloce, così non si vincono le medaglie, e il solito bla bla bla.

L’elenco potrebbe andare avanti ancora a lungo prendendo da qualsiasi sport. Credo che non esista sportivo al mondo che non abbia detrattori, compresi quelli considerati i più grandi di sempre, quindi figuriamoci atleti comunque pazzeschi ma che hanno “l’onta” di non essere dei supercampioni da libri di storia.

Preferenze o simpatie fanno parte della vita, non esiste persona al mondo in grado di mettere tutti d’accordo, su qualsiasi tema, figuriamoci nello sport, ma il problema è quando si va oltre la simpatia o l’antipatia e persino oltre il tifo. L’insulto gratuito, il giudizio senza sapere nulla di quello che avviene ad un atleta, senza sapere cosa provi, quanto impegno abbia messo, persino quali siano i valori reali in un determinato sport (consideriamo ad esempio il doping, cosa a cui non voglio mai pensare ma che purtroppo esiste), spesso senza sapere le dinamiche stesse di una disciplina (un classico rimane il ciclismo, con le accuse di non attaccare in salita o cose simile, commenti fatti evidentemente da gente che non sa cosa voglia dire fare certe ascese a certi ritmi).

L’atleta è visto come un gladiatore. Il pubblico vuole lo spettacolo, il sangue, pretende la perfezione, vorrebbe gladiatori indistruttibili e probabilmente anche senza emozioni. Troppe persone che si definiscono tifosi non riescono a capire, anzi, non si sforzano nemmeno di pensare che un atleta è anche una persona che può avere alti e bassi, sia fisici che psicologici, e che l’insulto e il facile giudizio non è più tollerabile. Fa una certa impressione vedere come molti criticoni dei ciclisti di oggi rimpiangano Marco Pantani. È proprio l’eccessiva pressione che può rompere certe fragilità, com’è successo al campione romagnolo. Nessuno è indistruttibile, nemmeno gli sportivi professionisti, nemmeno i più forti al mondo. Ma troppi spettatori non se ne rendono conto e continuano imperterriti nel loro sport dell’insulto e della critica, lo sport più semplice e dove tanti possono essere campioni, dove troppi si credono vincitori e dove si perde solo una cosa: l’umanità.

(Articolo a cura di Stefano Ruzza, trail coach e ultratrailrunner)

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