giovedì 22 ottobre 2020

L'importanza delle parole

Le parole sono importanti, soprattutto quelle scritte, quelle che rimangono. Io delle volte mi perdo letteralmente alla ricerca delle parole migliori per raccontare o spiegare qualcosa. Tutti gli articoli che scrivo o che ho scritto sono o sono stati un parto. Per non parlare degli altri progetti che ho da anni e che non mi decido mai a completare nell’incertezza di non averli scritti abbastanza bene o di aver dimenticato qualcosa. Scrivo, modifico, cancello, riscrivo, taglio, sposto, rimodifico, aggiungo, taglio ancora, riscrivo, fino a che ad un certo punto non mi decido a pubblicare quello che è rimasto, anche se non mi convince, anche se puntualmente, rileggendo il tutto una volta pubblicato, trovo dentro errori, omissioni, frasi uscite male, concetti non chiari, con un senso di “incompleto” che mi perseguita da sempre.

Eppure non sono giornalista. Sono un atleta, allenatore e… bo, blogger si può dire? Scrittore sarebbe troppo, potrei definirmi più un aspirante scrittore, uno dei tanti, perché non basta scrivere per definirsi tale, così come non basta avere un mantello per essere un supereroe. Creatore di contenuti? Forse, qualunque cosa voglia dire. Poi questi contenuti possono anche essere di pessima qualità, non sta a me giudicarli, ma cerco di proporre qualcosa. Ma sto divagando, queste ultime frasi erano una sorta di premessa, torniamo all’importanza delle parole. Ecco, un giornalista dovrebbe porre un’enorme attenzione alle parole. Dovrebbe raccontare i fatti, e poi eventualmente anche esporre opinioni, certo, se ben argomentate e supportate, ma sappiamo bene che spesso si va ben oltre. Da sempre si sa come non tutta la categoria sia della stessa fattura. Ma va bene, è così per ogni lavoro. Negli ultimi tempi, poi, stiamo assistendo purtroppo a una totale deriva, con articoli di bassissimo livello, spesso anche presso quotidiani più letti e venduti che parlano di premi Nobel o ricercatrici con titoli ridicoli e ridicolizzanti. Ed è (anche) un certo modo di scrivere e di far giornalismo che fa allontanare molte persone dalle notizie vere e la avvicina alle fake news o a siti totalmente inattendibili o alle teorie più strampalate. Sta accadendo di nuovo anche con gli ultimi eventi. Non parlo comunque di tutti i giornalisti, sia chiaro, non è un attacco a tutta la categoria, è obbligo precisarlo.

Ma dove voglio arrivare? Voglio arrivare ai titoli del giornalismo sportivo. Anche in questo caso non si tratta di tutto il giornalismo sportivo, solo alcuni titoli. Ne trarrebbero beneficio pesino giornali (o siti) e giornalisti stessi se certi titoli fossero più semplice. Gli atleti e i loro sforzi ne guadagnerebbero in riconoscenza. Titoli come “Delusione”, “Tizio solo terzo”, “Inizio della fine per Caio?”, “Esonero in arrivo?” distorcono la realtà ed estrapolano sentenze da un semplice risultato, frutto di infiniti fattori concomitanti. Spesso son proprio questi titoli a dare il peggio di sé, mentre gli articoli a volte sono un po’ più specifici e meno superficiali (non sempre), ma basta leggere quotidiani o siti di sport per trovare queste espressioni molto spesso, troppo spesso. Di certo c’è chi cerca il titolo ad effetto più di altri, c’è chi vuole innescare appositamente polemiche e ci sguazza dentro, ma in molto lo fanno credo senza nemmeno rendersene conto. E non è un bene. Sin dal “solo 2° posto per Sara Simeoni” in un’edizione olimpica, passando per qualsiasi articolo negativo riguardante un campione dello sport, questi titoli hanno proseguito ad apparire imperterriti, sempre di più, senza sconti per nessuno.

L’ultima vittima è stata Eliud Kipchoge, che nella Maratona di Londra dello scorso 4 ottobre (un evento per pochi atleti élite, senza pubblico, su un anello da ripetere più volte) ha avuto dei problemi fisici terminando così al 8° posto. Dopo aver vinto 11 delle 12 maratone disputate (prima di Londra), con tanto di titolo olimpico, record del mondo ufficiale e primo uomo sotto le 2h in maratona (non ufficiale), è bastata una gara non uscita bene, in un anno come questo, con condizioni gara non proprio ideali (pioveva anche e c’era molto freddo umido, non il massimo per la prestazione), per far combaciare il tutto con l’inizio della sua decadenza, secondo alcuni. Questo era solo l’ultimo caso abbastanza clamoroso di uno sport che seguo, ma ce ne saranno stati certamente altri anche in discipline che conosco meno in articoli che mi sono sicuramente sfuggiti.

Ecco, in un momento storico in cui chiunque si sente libero di poter scrivere qualsiasi commento sui social (o appunto nella sezione commenti dei siti d’informazione), sarebbe molto utile se si facesse un po’ più attenzione nel dare giudizi negativi a sportivi per una prestazione minore rispetto al solito. Le parole sono importanti, dovrebbe ricordarselo chi con le parole ci lavora ogni giorno e con esse può influenzare i pensieri delle persone comuni.


(Articolo a cura di Stefano Ruzza, trail coach e ultratrailrunner)

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