In questo 2016 sembra esserci una sorta di maledizione che colpisce alcuni tra i più influenti musicisti del rock. L'ultimo ad averci lasciato è Prince, artista poliedrico e spesso sottovalutato, più conosciuto per la sua capacità di attrarre attraverso l'immagine, ambigua e sexy al tempo stesso, che per la sua incredibile capacità compositiva e strumentale.
Nella metà degli anni '80 ebbe un grande successo commerciale con gli album "Purple Rain" e "Parade", lavori comunque dall'ottima qualità sonora, prima di offrire nel 1987 la sua prova definitiva, decisamente la sua migliore composizione, "Sign o' the Times", multi sfaccettato e geniale album doppio dell'estroso folletto di Minneapolis.
Analizzandolo sotto l'aspetto di accompagnamento per la nostra attività fisica, non si può che constatarne la pregevole capacità ritmica, sin dalla prima traccia, la title track "Sign o' the Times", scarna ma dal ritmo funky, e poi nelle successive trascinanti "Play in the Sunshine" e "Housequake", quest'ultima in territori quasi hip-hop.
Più pop e melodica "Ballad of Dorothy Parker", dal sound un po' retrò, mentre torna su dinamiche intense la selvaggia "It", dai chiari riferimenti sessuali nel testo e nell'interpretazione. Ancora melodia in "Starfish and Coffee" e soprattutto nella dolce "Slow Time", primo vero momento di respiro. Tornano ritmi funky e riferimenti sensuali in "Hot Thing".
Ancora un po' di respiro in "Forever in My Life", chiusura del primo dei due album. Il secondo si apre con la dinamica "Got That Look", dove suoni tipici da anni '80 si mescolano con chitarre hendrixiane e suoni sempre nuovi e decisamente inconsueti. Suoni particolari e ritmi più pacati in "If I Wash Your Girlfriend", con una voce che si avvicina a quella di Michael Jackson (e gli accostamenti tra i due non sono mai mancati nei tempi, seppur distanti sotto la maggior parte dei punti).
Toni quasi ballabili in "Strange Relationship", ma si tratta di un momento di transizione prima della parte più rock dell'album, "I Could Never Take the Place of Your Man", decisamente movimentata, e il capolavoro assoluto, "The Cross", canzone che parte tranquilla e con una bellissima melodia, prima di una seconda parte intensa, una chicca rock che non si sarebbe immaginata ascoltando il resto dell'album. Ritmi funky e ballabili anche in "It's Gonna Be a Beautiful Night", ultima lunga tirata spinta. Il finale infatti è per la lenta ballata "Adore", il classico defaticamento per la nostra attività.
Pur non raggiungendo il successo di altri album, probabilmente anche meno rock di molti altri lavori di Prince, "Sign o' the Times" rimane un'opera cardine della sulla carriera, quello che lo ha definitivamente consacrato come musicista e compositore, forse da quel momento in poi non sempre fedele alla sua fama, ma senza freni e decisamente prolifico, innamorato della musica come pochi altri.
ARTICOLO A CURA DI:
Nessun commento:
Posta un commento