Ivan Cudin è un ultramaratoneta italiano.
Tre
volte vincitore alla Spartathlon (2010, 2011, 2014), gara podistica conosciuta
per essere una delle più impegnative del panorama mondiale. Il percorso si
snoda per 246km collegando Atene e Sparta.
Tra i suoi principali successi anche un campionato europeo nella 24 ore, ottenuto nel 2010.
Ciao Ivan, in un’intervista tempo fa rilasciata hai dichiarato che
per un atleta da lunghe distanze è importante l’equilibrio. Puoi
farci capire meglio in cosa consista per te l’equilibrio in corsa e
magari provare a fornire una tua definizione?
Dal mio punto di vista, la serenità è fondamentale per il
raggiungimento dell’equilibrio e questo vale tanto nell’ambito
sportivo quanto nella vita quotidiana. E’ inoltre importantissimo
essere consapevoli della propria condizione psico-fisica, delle
proprie caratteristiche e della difficoltà che si possono incontrare
nell’affrontare le lunghe distanze.
E’
importante poter contare su grandi spinte motivazionali per poter
gestire al meglio i momenti no e non lasciarsi sopraffare da pensieri
negativi e dalla sfiducia.
Ci sono delle caratteristiche che ti
fanno pensare “questo atleta ha un buon equilibrio?”
Sicuramente la consapevolezza delle proprie potenzialità e dei
propri limiti. Un eccessivo ed esclusivo desiderio di raggiungere una
prestazione sportiva può invece essere molto destabilizzante, in
particolare nelle prime fasi delle gare lunghe.
Quindi l’equilibrio si oppone al
desiderio di fare una perfomance, ho ben compreso?
No, non si oppongono, ma un eccessivo desiderio di performance può
condurre ad un’errata gestione del passo in gara. Il più grosso
rischio in una gara di endurance è proprio quello di eccedere nella
fase iniziale. Errore che non può essere recuperato.
So che dedichi molto del tuo tempo al
sociale con ragazzi diversamente abili e in progetti di cooperazione
in Africa. Credi che l’impegno per l’altro e l’apertura “umana”
all’altro possano contribuire a formare un atleta e in che modo?
E' difficile risponderti e generalizzare questo aspetto. Posso solo
cercare di far comprendere quanto vale per me. Per prima cosa mi ha
reso consapevole di essere fortunato, mi ha fatto apprezzare tanti
aspetti della mia vita che davo per scontati. In ambito sportivo mi
ha portato a vivere le corse come un puro piacere e non come una
sfida.
Queste
opportunità mi hanno sicuramente completato, non mi hanno
sicuramente rubato del tempo togliendolo alla pratica sportiva. Credo
mi abbiano piuttosto permesso di vivere lo sport nel modo migliore.
Collaborare in questi ambiti mi ha anche aiutato ad affrontare
diversamente i momenti di crisi in gara e i ritiri, dando loro un
valore molto relativo. Sono certo questa sia una grande ricchezza.
Ti è mai capitato in gara o in
allenamenti particolari di pensare a queste esperienze?
Si assolutamente. Soprattutto quando mi trovo ad affrontare momenti
difficili mi scorrono tantissime immagini di quei momenti.
Mi hai detto che la mente divaga. Tu
la lasci andare dove vuole o la guidi in una direzione?
L’importante per me è guidarla lontano dal dolore, dal malessere,
dalla crisi. Quando rimani concentrato sulla tua condizione non
ottimale, partono pensieri demotivanti. In quei momenti è
sbagliatissimo pensare alle aspettative iniziali ed invece è
fondamentale riformulare gli obiettivi. Questi pensieri mi permettono
di recuperare lucidità e, dopo aver fatto una sorta di “tabula
rasa”, concentrarmi su aspettative realistiche.
Ci sono scene di film, spezzoni di
libri/racconti o canzoni che ti ritrovi spesso a rivivere durante gli
allenamenti o in gara? C’è qualcosa che ti accompagna durante le
ore di corsa?
Non guardo molto la televisione e ultimamente leggere mi è difficile
perché ho veramente poco tempo libero. Quando corro mi perdo nel
paesaggio; mi estraneo dalla gara conversando con i volontari della
corsa e cercando, per quanto possibile, un dialogo con loro. Penso
inoltre a persone care e luoghi a cui sono affezionato, soprattutto
legati alla mia infanzia. Quando mi trovo ad affrontare la notte, le
ore si fanno lunghe e non passano mai, la mente vola ancora di più
lontano.
Alcuni paracadutisti raccontano che i
tempi in caduta si dilatano, sembrano essere più lunghi di quanto
l’orologio misuri in realtà? Come scorre il tempo in una
ultramaratona? Senti che sia più lento, più veloce o in linea con
quanto dice l’orologio?
Assolutamente, lo stato emozionale fa percepire in modo diverso lo
scorrere del tempo. Quando sono in buone condizioni o quando sto
correndo con un’altra persona scorre rapidamente, mentre quando
affronto situazioni difficili i tempi si dilatano parecchio e
sembrano lunghissimi. Lo scorrere del tempo fluisce in modo variabile
in relazione di quello che è il mio stato.
Credi che le ultramaratone o le lunghe
distanze possano aiutare in qualche modo le persone che vivono la
nostra contemporaneità? Quali sono gli aspetti principali di
cambiamento e crescita che producono?
Credo che uno sport come l’ultramaratona possa essere d’aiuto per
trovare una adeguato bilanciamento interiore nell’affrontare
situazioni non facili della vita. Sicuramente è uno sport che
consiglierei, ma richiede anche una predisposizione per evitare che
una gara divenga un’inutile sofferenza. Non riesco ad affermare che
questa sia un’attività consigliabile a chiunque.
Sicuramente
alcune tecniche che ci vengono insegnate, come quelle di cui parla
Pietro Trabucchi, credo sarebbero utilissime anche nella vita
quotidiana per tenere lontani da sé certi momenti di stress o certi
disordini mentali che possono originarsi nella vita quotidiana.
Mi parlavi di predisposizione, secondo te
quali sono le caratteristiche caratteriali di un buon ultra-runner?
La tenacia, la caparbietà, la positività nell’affrontare ogni
situazione, assieme ad un fisico adeguato che possa reggere a stress
così intensi.
Seppure il ciclismo sia uno sport
diverso dall’ultramaratona, si possono trovare nomi di spicco con
vissuti interiori fortemente tormentati. Pantani forse è il più
famoso. Ci hai raccontato che l’equilibrio invece è un’importante
caratteristica per un buon ultra-runner….
Credo siano sport diversi, comunque le persone che ho avuto la
fortuna di conoscere e che hanno ottenuto buoni risultati nelle
ultramaratone sono persone molto equilibrate e molto forti dal punto
di vista mentale.
La tua capacità di resistere al
dolore è molto conosciuta nell’ambiente. È una qualità innata
che pensi di aver sempre avuto? O l'hai coltivata in qualche modo,
con esercizi di rilassamento, o di concentrazione?
Da ragazzo ero molto più fragile e insicuro, ma comunque resistente
al dolore. Credo che le prime due caratteristiche siano molto
migliorate anche grazie alla corsa di endurance, ma la capacità di
resistere al dolore non credo possa migliorare. Esistono però dei
metodi efficaci per allontanare pensieri negativi legati alla
percezione del dolore.
La
differenza tra un ultramaratoneta e un maratoneta o una persona che
fa corse brevi è che la prestazione nasce dal giusto approccio alla
crisi. Spiegandomi meglio, nelle altre corse, se arriva la crisi ti
giochi la prestazione, nelle nostre gare si susseguono diverse crisi
e la volontà di tenere duro in quei momenti ti permette di ottenere
una prestazione valida.
In Africa sono molto importanti i
riti, perché segnano il passaggio da una fase della vita a quella
successiva. Credi nella tua carriera sportiva ci sia stato un momento
che ha segnato una svolta, che ti ha permesso di fare un passo in
avanti dal punto di vista mentale?
Da un punto di vista sportivo sicuramente si, perché in passato ho
vissuto lo sport in un modo per nulla agonistico, per poi decidere di
mettermi in gioco vivendo la mia carriera con un approccio più
metodico e serio.
Dal punto di
vista mentale credo ci siano situazioni nella vita che mi hanno
aiutato ad avere un approccio diverso. Non ho mai avuto la spinta
motivazionale del dover far risultato ad ogni costo, ma ho raggiunto
una maggiore determinazione e convinzione di me stesso. Ciò non
significa voler primeggiare, ma cercare di terminare le gare dando il
meglio di me stesso.
Anche le tue rimonte sono ormai
famose. Nelle 24 ore o nelle tue vittorie alla Spartathlon, sei
sempre partito con un ritmo costante, navigando in posizioni di
rincalzo, senza lasciarti influenzare dalle partenze più rapide
degli altri atleti, per poi rimontare prepotentemente. Trovi
difficile resistere alla tentazione di seguirli? Oppure ti concentri
semplicemente sul tuo ritmo, senza tenere conto dei ritmi di gara
altrui?
In gara sono abbastanza cosciente dei ritmi che posso gestire e non
mi interesso alla gara degli altri. Faccio la mia gara. Quando ho
provato a seguire il ritmo degli altri, ho ecceduto e non ho potuto
dare il meglio.
La decisione di procedere con il tuo
ritmo è maturata con il tempo?
Si, ovviamente ho provato a fare dei test andando più forte di
quanto potevo e ho finito per avere delle crisi o incappare in
problemi. Logico comprendere che per rendere al meglio è opportuno
tenere un ritmo adeguato. Chiaramente prima che trovassi il passo
giusto c’è voluto un po’ di tempo. Bisogna inoltre dire che non
è scontato che sia sempre lo stesso perché le condizioni atletiche
di una persona cambiano con l’età e sono influenzate da altri
fattori fisici. E’ importante accettarlo.
Ti capita, o ti è capitato, di
pensare che ti sarebbe piaciuto avere altre caratteristiche fisiche,
per poter competere ad altissimi livelli ad esempio in gare più
brevi e veloci?
No, come ti dicevo il fatto di primeggiare non è mai stato per me
importante. Ho iniziato partecipando a corse non competitive poi un
giorno mi sono detto “proviamo a metterci in gioco e vedere fin
dove posso arrivare”, guardando me stesso e senza dare rilevanza
alle prestazioni degli altri.
Mi capita di
partecipare anche a qualche corsa breve assieme agli amici. Ad alcune
partecipo per crescere dal punto di vista aerobico, ma non ho mai
avuto un particolare desiderio di migliorarmi. Al di la dell’aspetto
fisico, sono portato mentalmente per gioire e soffrire in gare di
endurance e non ho mai avuto il desiderio di avere caratteristiche
fisiche diverse per avere buoni riisultati in altri tipi di gare
podistiche o in altri sport. Penso di essere già stato fin troppo
fortunato.
All’interno di Psiche&Sport una
rubrica presenterà alcune storie di ragazzi con disabilità di
diversa natura, che praticano sport. E’ attivo sul territorio
milanese un progetto che si chiama Sportabilia che si propone di fare
una mappatura delle strutture che propongono la possibilità di
svolgere un’attività sportiva accessibile a tutti. Cosa pensi di
questo progetto?
Il giudizio è senza dubbio positivo. Vivo i contesti di diversa
abilità da ormai vent’anni quindi conosco bene realtà di questo
tipo. All’interno delle associazioni ci è capitato di proporre ai
ragazzi alcune attività sportive che li hanno coinvolti ed hanno
permesso loro di trovare un modo diverso di comunicare e di
integrarsi. Sono esperienze molto formative, sono convito sia
un’attività utile e interessante.
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