"Morire per delle idee, l'idea è affascinante per poco io morivo senza averla mai avuta perché chi ce l'aveva, una folla di gente, gridando "viva la morte" proprio addosso mi è caduta. Mi avevano convinto e la mia musa insolente abiurando i suoi errori aderì alla loro fede dicendomi peraltro in separata sede moriamo per delle idee, va bè, ma di morte lenta va bè, ma di morte lenta."Fabrizio de Andrè, Morire per delle idee, 1974
Era il 1974 quando Fabrizio de Andrè pubblicò “Morire per
delle idee”, l’anno in cui, per le conseguenze dello scandalo Watergate,
Richard Nixon divenne il primo (e finora unico) presidente dimissionario nella
storia degli Stati Uniti. Un anno di rivoluzioni silenziose e meno, anche
calcistiche e sportive.
Fino al 1974, infatti, il format del Mondiale era diverso.
La televisione richiedeva un tributo in partite decisamente maggiore e, quindi,
dopo il primo girone di qualificazione prevedeva un secondo girone. Era un
Mondiale diverso, e non solo perché la Coppa Jules Rimet fu assegnata
definitivamente al Brasile al termine della competizione del 1970, ma anche perché
i livelli di forza del calcio erano stati mutati definitivamente dall’assenza
di Pelè e il ridimensionamento del grande Brasile 70. Ai nastri di partenza, la
Germania Ovest era la grande favorita, vogliosa di far dimenticare al mondo le
atrocità dell’Olimpiade del 72. Una competizione calda fin dall’inizio, con il
primo girone di qualificazione che vedeva lo storico scontro tra Germania Est e
Ovest. La tensione alle stelle.
Il mondiale 74 è il mondiale di Arancia Meccanica e dell’Olanda
di Crujiff, ma è anche il mondiale di Mwepu e del suo Zaire, oggi Repubblica
democratica del Congo. La prima nazionale subsahariana qualificatasi alla più
importante competizione internazionale. Era la prima volta che ciò accadeva perché,
fino al 1970, le squadre africane non avevano un posto assegnato, ma dovevano
superare gli spareggi. Un iter finalmente modificato sulla strada dell’effettiva
apertura dell’agone a tutti i continenti.
Nello Zaire, nel frattempo, la situazione non era delle più
rosee. Sotto la dittatura del presidente Joseph-Desirè Mobutu, succeduto a
Lumumba dopo l’assassinio di quest’ultimo, si perpetravano crimini e
prevaricazioni ai danni della popolazione civile. Un popolo non solo ridotto
alla fame, ma obbligato a vivere secondo le volontà e i costumi del suo “premier”.
Il calcio, nello Zaire, era in fase di sviluppo. La nazionale aveva ottenuto
dei buoni risultati nel proprio continente e per Mobutu poteva essere una buona
occasione per accrescere il consenso. Prima della partenza convocò la spedizione
congolese per rendere loro onore e omaggiarli. Una celebrazione prima di un
disastro annunciato che solo lui non aveva previsto.
Perché per quanto lo Zaire avesse ottenuto buoni risultato
in patria, il Mondiale era tutta un’altra cosa. In Germania la squadra allenata
da Vidinic, dopo il successo nella Coppa delle Nazioni Africane, era stata
inserita in un girone di ferro, tra Scozia, Jugoslavia e Brasile. La durezza
britannica, il genio e sregolatezza serbo e gli eredi della Jinga.
"May you always be courageous Stand upright and be strong And may you stay Forever young."Bob Dylan, Forever Young, 1974
Lo Zaire ci prova, ma la prima partita contro la Scozia fa
scattare i primi campanelli d’allarme su ciò che accadrà. Sconfitta 2-0 e
affanno costante. Prima della seconda partita arrivano i primi mugolii da casa
base. Contro la Jugoslavia la disfatta. Gli slavi erano una nazionale folle. Se
in giornata potevano battere nettamente chiunque. Quel giorno erano in
giornata. Il primo tempo finisce addirittura 6-0. Alla fine i gol saranno 9.
Mobutu non ci sta. Già nell’intervallo invia un Jet privato con dei suoi
uomini. “Motivatori”.
Il Jet atterra. Al termine della partita parlano con i
giocatori. Nell’ultima partita, contro il Brasile, i ragazzi si giocheranno non
solo la faccia calcistica, ma anche la vita e quella dei propri cari. I
verdeoro per qualificarsi avevano bisogno di segnare 3 gol, dopo i due 0-0
contro Jugoslavia e Scozia. 3 gol erano accettabili, un quarto sarebbe stato un’onta
da pagare con il sangue.
https://www.youtube.com/watch?v=fDbzSzg5T3o
Un 3-0 raggiunto in poco tempo. All’85esimo la qualificazione
brasiliana era in cassaforte. L’arbitro assegna un calcio di punizione dalla
trequarti. Sul punto di battuta Rivelino, il numero 10 della squadra. Il
direttore di gara fischia, Rivelino sta per avanzare, quando dalla barriera un
lampo d’ebano si avventa sul pallone. Mwepu calcia più lontano possibile. Lo
stadio si ammutolisce, poi scoppiano le risate. Rivelino, che ha visto la sfera
sfiorargli il viso, resta immobile. “Ma questi non sanno neanche le regole?” si
chiedevano tutti. Quando Mwepu ha calciato quel pallone, divenuto il simbolo
inconsapevole dell’arretratezza del calcio africano, non pensava più al campo,
al risultato o al gioco, ma pensava a portare a casa la propria pelle e quella
dei suoi compagni.
Irriso e deriso, mentre in realtà Mwepu aveva appena salvato
la vita ai suoi compagni. Gli ultimi minuti sono la strenua difesa del
risultato. Lo Zaire torna a casa tra lo sgomento generale. I calciatori non
vengono accolti da eroi, come invece erano stati salutati prima della partenza.
Escono dal retro, si nascondono. Sembrano dei Paria, gli intoccabili indiani.
You'r my only fascination, my sweet inspiration Everything i hoped could be You're the dawn that rises for me My summer breeze from the seaCat Stevens, My Only Fascination, 1974.
Umiliati, ma vivi.
Per riscattare l’ “onore” nazionale, pochi mesi dopo, Mobutu organizzerà l’incontro di Boxe più famoso della storia. Il Rumble in the Jungle che vide il trionfo e l’ingresso nella leggenda di Alì. Un onore mai perso o offeso dai risultati, ma solo da un uomo cieco nei confronti della realtà.
Per riscattare l’ “onore” nazionale, pochi mesi dopo, Mobutu organizzerà l’incontro di Boxe più famoso della storia. Il Rumble in the Jungle che vide il trionfo e l’ingresso nella leggenda di Alì. Un onore mai perso o offeso dai risultati, ma solo da un uomo cieco nei confronti della realtà.
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