sabato 18 novembre 2017

Le riflessioni di uno psicologo che prepara la mezza maratona di Milano

Ho lasciato l'agonismo sportivo più di 15 anni fa. Avevo circa 19 anni e avevo voglia di godere a pieno delle serate con gli amici e dedicarmi all'università. Non è stata una vera e propria scelta, ma non avevo più il desiderio di fare sport in modo competitivo.

Non che fossi un grande atleta. Giocavo a calcio ad un livello medio. Avevo piedi da muratore che compensavo con grinta e intelligenza tattica, ma le mie qualità erano senza dubbio limitate. Mi impegnavo molto negli allenamenti e cercavo di dare il massimo per fare parte dell'undici titolare e per vincere le partite.

Come ho detto però ho lasciato e da allora ci sono state tante partite a calcetto, magari anche scommettendo il campo, e birre in compagnia a seguire. La forma era sparita, ma mi divertivo.

Alla soglia dei 30 anni ho scoperto la bici. La libertà che riusciva a comunicarmi era meravigliosa. Molti sono i ricordi legati alle due ruote. Alle elementari ero l'unico bambino che andava a scuola in bici. Tutti venivano accopagnati dai genitori, mentre io, solitario, entravo nel cortile retrostante la scuola a legare la mia bici.

Per me la bici è il simbolo della mia precoce indipendenza e forse per questa ragione la amo in modo così viscerale.


Seppure negli ultimi anni ho percorso molti km con la bici da corsa, partecipando a diverse granfondo, non mi sono mai allenato veramente. Raramente i compagni di gruppo mi hanno visto aprire il gas. Amo il vento sulla pelle, il sole che scalda il viso e riempirmi gli occhi dei panorami. Ammetto però che il desiderio di scoprire i miei limiti mi ha accompagnato negli ultimi 5 anni, seppure non l'abbia mai realmente ascoltato. A volte provavo ad accellerare, a volte mi dicevo che avrei provato ad allenarmi, ma non l'ho mai realmente fatto.

Il lavoro poi ha preso il sopravvento. Il tempo per le passioni si è ridotto continuamente e la bici è diventata un lusso che non potevo quasi più permettermi. Per questa ragione nell'ultimo anno ho messo le scarpette da corsa più di una volta. Un'oretta nelle vie o nei boschi vicino casa e l'organizzazione di vita non è mai stata problematica.

Correndo si sono rinverditi altri ricordi. Alle campestri scolastiche o alle gare di paese spesso vincevo o chiudevo in ottime posizioni. Anche negli anni adolescenziali, quando le sigarette e gli alcolici non si contavano, riuscivo a togliermi diverse soddisfazioni. La voce della competizione è diventata sempre più forte e nitida e due mesi fa ho deciso di darle ascolto.

La prima cosa che ho fatto è stato chiedere aiuto. Chiedere aiuto a persone più competenti non mi è sempre riuscito facile, ma è una conquista fatta negli ultimi anni. Tra le mie amicizie c'è Stefano Ruzza, fortissimo runner e autore di Psichesport. Stefano tra le sue qualità ha il saper essere flessibile e questo lo porta a saper modulare i piani allenamenti, cucendoteli addosso. Era proprio quello che mi serviva.

A volte ho molte ore libere, ma altri giorni allenarmi è un'impresa. Mi capita spesso di uscire di casa alle 6.30 del mattino e tornare dopo le 20.30. A volte ho dei buchi nel pomeriggio per allenarmi, che saltano perchè i piani di lavoro cambiano. Allenarmi più di 3/4 giorni a settimana è difficile, come è difficile seguire una tabella di allenamento. Per queste ragioni sapevo che Stefano sarebbe stata la persona più adatta per supportarmi.

La gara obiettivo sarà la mezza maratona di Milano e si svolgerà tra una settimana. Come mai un post prima della gara? Non porta male scriverlo ora?

Non credo sia importante il risultato che otterò. Ho fatto il massimo che potevo fare a fronte dei vincoli di vita e della mia poca esperienza podistica. A volte ho saltato giornate di allenamento. A volte ho rallentato in considerazione dello stress che mi portavo a casa dalla giornata di lavoro. Ho però fatto il massimo.

In fondo la torta è buona anche senza ciliegina e la torta già c'è. Domenica 26 farò il massimo per guarnirla al meglio, ma è solo un dettaglio. Quello che potevo guadagnare e quello che volevo scoprire l'ho già ottenuto.

Perchè ricercare le sensazioni dell'agonismo dopo tanti anni? Volevo conoscermi scoprendo i miei limiti. In fondo è il limite che disegna la forma di un oggetto e desideravo tornare a battagliare. Inoltre sentivo il bisogno intellettivo di comprendere cosa significa allenarsi, di quali sono le difficoltà che si possono affrontare e quali sono le motivazioni migliori per proseguire.

Cosa ho compreso? Innanzitutto fare sport in modo serio una volta che si ha una vita professionale non è una cosa per nulla semplice. Tornare a casa dopo 12 ore, sapere che fa un freddo becco, vedere il divano, pensare alla cena e scegliere di uscire a volte è una violenza.

Inoltre svolgere allenamenti di qualità non è mai stata la mia passione. Odio letteralmente sentire la fatica che pulsa. Da una parte è quasi terapeutico, perchè la testa si svuota completamente e assaporo la leggerezza. Dall'altra parte c'è qualcosa di religioso, perchè la salvezza si ottiene con la sofferenza e non ho mai sposato questa filosofia. C'è già tanta sofferenza nella vita di ognuno di noi, perchè ricercarla anche nello sport? Nonostante ciò non ho mollato.

Capitolo costanza. Mantenere la continuità per due mesi è un campo minato. Ogni tre x due si presentano ragioni valide per cui l'allenamento non può essere svolto. Raffreddori, contratture, dolori articolari, urgenze lavorative, impegni relazionali. L'atleta lavoratore è un equilibrista con una motivazione fuori dal comune.

Detto questo due mesi di allenamento sono passati e settimana prossima mi presenterò sulla linea di partenza. Sono stranamente tranquillo. Questo percorso di allenamento ha accresciuto la mia auto-efficacia.

Non posso perdere. Io ho già vinto e settimana prossima mi impegnerò al massimo per ottenere il mio premio.



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Autore: Cesare Picco - psicologo/psicoterapeuta e psicologo dello sport
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