Interlagos, 8 Novembre 2008.
Un giro alla fine. Mazzoni, in cabina di commento, inizia a
snocciolare numeri, cifre e date. Massa è virtualmente campione del mondo.
Brasiliano vincente in Brasile. L’apoteosi della gioia per la torcida, l’apoteosi
per un ragazzo cresciuto accanto a Schumacher, inseguendo il sogno di Ayrton, dopo un weekend vissuto guardando gli altri dall'alto, con il mirino sulla freccia d'argento di Lewis Hamilton. Vincere e sperare. Vincere e vedere Hamilton al sesto posto. Vincere e voler credere nel destino. Sotto un diluvio torrenziale.
Mancano solo due giri, Felipe è in testa, Hamilton sesto.
Virtualmente a pari punti, con il brasiliano davanti per la classifica avulsa.
Vettel ha appena superato l’inglese, facendolo piombare nuovamente nell’incubo
della stagione precedente, in cui per la rivalità interna alla Mclaren, con un
duello al limite dell’assurdo tra Lewis e Fernando Alonso, aveva perso il
titolo all’ultima gara, a favore di Kimi Raikkonen. Negli occhi il terrore di
aver ormai perso tutto.
Massa arriva al traguardo, i tifosi sono in piedi, i
commentatori Rai sono in festa. Hamilton è dietro, ma…
Timo Glock, pilota tedesco della Toyota, ha problemi alla
vettura. Rallenta. Lo passa Vettel. Lo passa anche Hamilton. Quinto. Il
mondiale è suo, strappato all’ultimo secondo dalle braccia e dal viso pulito di
Felipe. Le lacrime inondano Interlagos, dal cielo, dagli spalti e dai box.
Incredulità e dolore, guardando ciò che pochi secondi prima era il coronamento
di un sogno, diventare prima un incubo e poi realtà.
Le lacrime e i ricordi, gli errori propri e quelli del team,
le coincidenze e la sfortuna. Il destino ridiede a Hamilton quello che perse l’anno
prima, ma non ridarà mai a Felipe una chance per il titolo. Testacoda e
muretti, strategie e bocchettoni innestati. Bastava un punto in più.
Non è arrivato il titolo, è rimasto il rispetto.
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