Ci sono corridori che ci mettono anni a trovare la propria
strada, tra gregariato e capitani pesanti. Corridori che non riescono mai a
uscire dall’ombra, rimangono in gruppo, vivendo per qualche momento di gloria.
Capitani e gregari, due facce della stessa medaglia, aiutarsi e vincere
insieme.
Non sempre, però, la differenza tra capitano e gregario è
così netta. A volte, infatti, il nuovo che avanza è talmente forte da
sconvolgere gli equilibri e mettere in difficoltà anche chi, l’anno prima,
aveva vinto il Tour de France. Si pensi a Jan Ullrich e Bjarne Riis, 1996 e
1997, con il gregario in rampa di lancio più forte del capitano ultratrentenne.
Si pensi a Greg LeMond e Bernard Hinault.
1986, l’americano aveva 25 anni, non aveva ancora raggiunto
la piena maturità fisica, ma il suo indiscutibile talento lo avevano portato a
una continua e costante progressione, un rapido salire di colpi cominciato con
la vittoria nel campionato del mondo su strada e proseguito con due podi
consecutivi al Tour. Terzo prima, secondo dopo. Due podi, alle spalle di
qualcuno che, fino a quel momento, era un dominatore assoluto. Hinault, nel
1986, aveva già vinto 5 Tour de France e poteva tentare l’impresa sfuggita a
due grandi delle due ruote come Anquetil e Merckx. 32 primavere sulle spalle, l’ultima
occasione per provarci.
Eppure, nonostante questo bellissimo obiettivo davanti agli
occhi, Bernard non è convinto. Comincia il Tour sostenendo di essere un
gregario, dicendo a gran voce che il capitano fosse LeMond. Nessuno ci credeva
veramente, pretattica o voglia di mettere pressione al rivale.
L’inizio di Tour, infatti, è tutto a favore di Hinault:
vince una tappa, conquista la maglia di leader a Pau, all’undicesima frazione.
Si mette in testa alla classifica e si difende dai colpi degli avversari sui
Pirenei, grazie anche a degli ordini di squadra che impedirono all’americano di
attaccare.
Greg era teso, voleva quel Tour più di ogni altra cosa. Fino
a quel momento era stato perfetto, ma nel biennio precedente e in quella corsa
gli stava mancando la sfrontatezza. Fino a quando una scintilla più intensa
delle altre lo fa bruciare: LeMond attacca e a Serre-Chevalier prende la
maglia. Un sogno, la fine di un incubo…quasi.
All’Alpe d’Huez, la Montagna con la M maiuscola, va in scena
quella che sembravano resa e riconoscimento da parte del francese. Insieme fino
alla fine della scalata, con un abisso prima di trovare un altro corridore (il
terzo classificato a Parigi registrerà quasi 11 minuti di distacco dal
vincitore). A 500 metri dal traguardo il Panda affianca il giovane rivale, gli
sussurra qualcosa, e sul traguardo arrivano insieme. Lui davanti, Greg dietro,
tenendosi la mano: l’ultima vittoria di tappa di una leggenda, il primo
successo a Parigi di uno statunitense. Tutto scritto, tutto risolto? Quando
mai. Dopo il traguardo Hinault, con poche parole, rimette tutto in discussione ‘Può
succedere ancora qualcosa’, abbastanza da mandare LeMond in paranoia.
Gli ultimi giorni sono un incubo: LeMond si isola, non vuole
prendere borracce da altri, si fida solo di se stesso e della sua famiglia, che
lo seguiva passo dopo passo. Goddet, ex patron del Tour, lo aveva messo in
guardia da eventuali ‘boicottaggi’, probabilmente per mantenere vivo lo
spettacolo. ‘Hinault ha carisma in gruppo, lo vogliono vedere vincere’.
‘Arrivare sui Campi Elisi non fu una gioia, fu un sollievo’.
In maglia gialla, il traguardo più importante, il desiderio spasmodico di un
ragazzo che fino a pochi anni prima poteva
solo sognarlo e guardarlo in televisione, spesso in differita.
Hinault si ritirò al termine di quella stagione, lasciando al giovane compagno
i gradi di capitano e uomo guida.
Greg LeMond l’anno dopo si dovette ritirare temporaneamente dall’attività
agonistico per un incidente durante una battuta di caccia, perdendo anni di
dominio, ma riuscendo a tornare alle corse vincente un paio d’anni dopo. Non c’è
che dire, un campione che non conosceva il significato della parola ‘noia’.
Nessun commento:
Posta un commento