martedì 2 maggio 2017

Walter Ray Allen, una tripla per cambiare la storia

‘Win or go home’. È la grafica impietosa che compare quando sei a una sconfitta dall’eliminazione nei playoff. È la pressione che si prova quando ogni minimo errore può essere fatale. È essere con le spalle al muro, mentre i tifosi sono in piedi sui seggiolini. Non sono solo parole, è uno stato d’animo.

19 Giugno 2013, a Miami siamo al sesto episodio delle Finals NBA. Il palcoscenico è tutto delle due contendenti, i San Antonio Spurs di Duncan, Parker e Ginobili, e i Miami Heat di James, Wade e Bosh. Due modi di essere grandi a confronto. Il passato contro il presente. Le gambe stanche di Tim Duncan contro l’esplosività dirompente di Lebron James. Ovest contro Est. La resa dei conti al termine della stagione.



Nelle prime 5 partite, il lavoro dei ragazzi di Popovich era stato perfetto. James limitato, gli Heat a rincorrere. Per arrivare al titolo era necessaria una sola vittoria in due partite, seppure nella tana del lupo. La missione non era impossibile.

James fa il fenomeno, ma sembra non bastare per vincere. Dopo un grande terzo quarto, nell’ultima frazione di gioco sembra diverso. Perde qualche pallone di troppo, gli Spurs scappano. A 28 secondo dal termine, il vantaggio dei texani è di 5 punti. LeBron sbaglia da tre ma si ritrova libero dopo il rimbalzo offensivo e mette la tripla del -2 (92-94) a -20”. Sulla rimessa palla a Leonard che va in lunetta a -19”: sbaglia il primo, mette il secondo. 3 punti di vantaggio. Tirare da tre, l’ultima speranza. Il numero 6 si carica la squadra sulle spalle, spara da tre, ma è a salve. Bosh lotta, prende il rimbalzo e riapre nell’angolo. Walter Ray Allen con il pallone tra le mani. La storia pronta a cambiare. Per l’ennesima volta.

Quasi 38 anni, le ginocchia che scricchiolavano. Gli infortuni e il peso del tempo su di loro, dopo anni da predicatore nel deserto a Milwaukee e Seattle, prima di salire sul tetto del mondo a Boston, con Garnett e Pierce. Una vita trascorsa sui campi da basket, una vita in movimento per seguire il padre, un militare. Poche costanti, un disturbo ossessivo compulsivo che sfociava in estrema precisione durante gli allenamenti, e il pallone a spicchi. Tutto dimostrato, l’Hall of Fame sicura. Una palla in mano e 7 secondi sul cronometro.

Step back oltre la linea dei tre punti, senza guardare altro che il canestro, tra gloria e fuori campo, con il un pallone pesante come il mondo in mano. Allen si alza con leggerezza, lascia andare il pallone, mentre Parker cercava disperatamente di disturbare il suo tiro. Un movimento ripetuto migliaia di volte, un solo risultato. Un solo suono. 95-95. L’overtime, l’inerzia che cambia. Il titolo di nuovo nelle sue mani dopo gara 7.


Candy Man, le mani bollenti, il ghiaccio nelle vene.


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