21 minuti da recuperare. Il sogno giallo pronto a sfumarsi
alle prime ore del mattino del 13 Luglio. La maglia di leader sulle spalle di
Bobet, un ventitreenne di talento che, solo pochi anni dopo, si sarebbe
trasformato da promessa a campione, dominando il Tour in tre anni consecutivi.
Il pronostico contro, i giornalisti italiani tornati in patria perché lo
consideravano spacciato, una sola idea in testa: provare.
Gino Bartali aveva 34 anni. Aveva vinto il suo primo Tour
nel 1938, davanti a Vervaecke, prima che la Seconda Guerra Mondiale gli rubasse
anni di vittorie. Anni senza competizioni, ma con la Resistenza nel cuore. Anni
a consegnare documenti nascosti nella canna della bicicletta, sfruttando le
gambe e la popolarità. Anni di lotta segreta.
Gino Bartali conosceva il significato della parola
sofferenza, sapeva benissimo che una crisi poteva cogliere chiunque. Era un
ciclismo diverso, più solitario, meno scientifico. Fantasia e gambe erano
sufficienti per cercare qualsiasi impresa.
Da Cannes a Briançon, tredicesima tappa. Prima alpina.
Bartali, sui primi due colli non esagera, tiene il controllo, ma sulla terza
salita, l’Izoard, lancia la sua offensiva. Gli avversari vengono decimati uno
dopo l’altro, Bobet non riesce a rispondere. I minuti scorrono rapidi. La tappa
è sua. Il Tour quasi. Il distacco dai primi, adesso, è solo un minuto.
Con il vento in poppa il rivalissimo di Coppi non si ferma
più. Vince altre 4 tappe e conclude trionfalmente sui Campi Elisi. Dalla morte
(sportiva) al ritorno alla vittoria più dolce. Dieci anni dopo. Un record
ancora imbattuto. I Campi Elisi in festa. La dimora delle anime dei morti era
diventato una trasmutazione della vitalità di un uomo in grado di superare ogni
ostacolo.
L’Italia quasi sull’orlo della guerra civile dopo l’attentato
a Togliatti trovò, ancora una volta, in Gino Bartali il simbolo per rialzare il
capo.
Gino Bartali, il simbolo della rinascita. Quando lo sport non è solo un passatempo.
“Molto perdemmo, ma molto ci resta: noi siamo la forza più che ne’ giorni lontani moveva la terra e il cielo: noi, s’è quello che s’è: affraliti dal tempo e dal fato, ma duri sempre in lottare e cercare e trovare né cedere mai” Ulisse, G. Pascoli.
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