Davide Martinelli è un ciclista italiano che corre per la Etixx-Quick Floors.
Figlio di Giuseppe Martinelli, attuale direttore sportivo dell'Astana Pro Team, Davide Martinelli si fa subito conoscere nel ciclismo professionistico ottenendo due vittorie nella sua stagione d'esordio.
Ottimo cronoman, velocista e passista si propone al ciclismo italiano come uno dei giovani più interessanti.
Ciao Davide, le tue
caratteristiche ti predispongono per le volate. Quali credi siano gli
aspetti mentali che possiede un buon velocista?
La
concentrazione è senza dubbio un requisito fondamentale, perchè
tutto si decide in frazioni di secondo. In volata è necessario
mantenere la giusta freddezza per saper optare per la decisione
migliore, senza lasciarsi influenzare troppo dall'emotività e dal
desiderio di fare risultato a tutti i costi.
Un
corridore deve saper rimanere calmo per valutare se il punto che ha
scelto per passare è quello giusto o se è meglio aspettare 50
metri. Sangue freddo e calma sono fondamentali, anche se non è
sempre semplice mantenerle.
Secondo te ci sono
atleti a cui è preclusa la possibilità di ottenere un successo in
volata?
Secondo
me si. Non tutti hanno le giuste capacità in volata. Alcuni si fanno
prendere dall'emozione, altri scelgono di partire lungo. A volte
l'arrivo sembra molto vicino, ma quando esci a 300 metri e ti trovi
con il vento in faccia, ti accorgi come possono diventare infiniti.
In una situazione come questa non riuscirebbe a vincere nemmeno il
miglior velocista al mondo.
Bisogna
rimanere freddi, rimanere li e dire che ti giocherai tutto alla fine.
A volte può risultare la scelta migliore e a volte risultare
sbagliata. Se gli ultimi 20 metri esce un atleta, ti salta e vince,
lui può aver avuto una gamba pazzesca, ma tu, comunque, sai di aver
scelto il momento giusto.
Nel
ciclismo vince il più forte e tutti siamo battibili. Spesso siamo in
più di 200 e non è detto che il più forte sia tu. Non si può
quindi vincere sempre. A volte però capita ed è veramente bello e
ripaga gli sforzi fatti in precedenza.
A livello percentuale
sono più le volte che va male che quelle che va bene?
E'
meglio non pensarci, perchè altrimenti ti viene male. Posizionarsi
al via pensando di avere lo 0,5% sarebbe terribile. Lo 0,5% è
proprio poco.
Nelle volate ci si
confronta con il rischio e con la possibile paura connessa al
rischio. Ti è mai capitato di avere paura?
Si,
mi è capitato. In certe corse dove manca un velocista principe,
manca una squadra che prende in mano la situazione, la corsa è meno
impostata da treni, si crea più battaglia e ci ritrova nella mischia
in molti più del solito. In situazioni come queste ti capita di
avere paura, ma non devi assolutamente pensare di essere lanciato a
60 km/h e che se cadrai potrai farti male.
Devi
solo pensare al risultato e ai sacrifici fatti fino a quel momento.
Devi concentrarti sulla tua fame di vittoria ed essere un po' matto.
Si dice che i velocisti sono un po' matti ed è vero. Per fare una
volata deve esserci un po' di pazzia.
A tuo parere è
possibile allenare questa “pazzia”?
Secondo
me è una questione di priorità. Bisogna sapersi assumere questi
rischi nei momenti in cui ne vale la pena.
Se
in una data corsa puoi fare risultato ed è una gara, per te,
importante, allora è bene rischiare qualcosa in più. Se, invece, in
una corsa puoi fare risultato, ma dopo pochi giorni, prendi parte a
una manifestazione 10 volte più importante non vale la pena
rischiare.
Mi è
capitato di gareggiare in corse dove correvo per il risultato, ma
consapevole di non dover andare oltre il limite. Se, invece, ti
ritrovi nel finale di una Sanremo, una classica monumento di 300 km,
se c'è un buco devi passare, rischiando il tutto per tutto. In quel
momento la priorità è fare risultato, non farsi male non conta.
Il
rischio fa parte del nostro mestiere. Uno scalatore rischia meno, ma
soffre di più. Un velocista soffre meno, ma deve saper rischiare.
Parlando
specificamente di professionismo, quanto credi conti la mente nel
raggiungere un successo? Se dovessi dividere in percentuale il
contributo della mente, dell'allenamento e delle doti atletiche?
E'
una domanda a cui penso spesso. Io credo che nel ciclismo tutto conti
il 100%, perchè senza una di queste componenti non puoi raggiungere
nessun risultato.
Se
dovessi necessariamente dividerle allora direi che la mente conta il
33,3%, le doti atletiche il 33,3% e l'allenamento il 33,3%. Tutte e 3
sono fondamentali. E' come parlare di cemento, mattoni e mano d'opera
nella costruzione di una casa.
Tu
puoi avere tutti i mattoni che vuoi, ma senza cemento e mano d'opera
la casa non la puoi costruire. Lo stesso discorso vale per la mano
d'opera e per il cemento. Nessuna componente da sola può bastare e
un gap in uno di essi rende inutili le altre due.
La
mente può fare la differenza quando le gambe non ci sono o senti che
ti manca un qualcosa. Chiaramente la mente può sopperire se ti manca
un 5%, ma già se manca un 10% la mente non può fare molto. La
vittoria in questo caso non può essere raggiunta.
Secondo te come si fa
a capire che un ciclista è forte di testa?
Si
capisce dalla fame di vittoria. Ad alcuni piace allenarsi di più, ad
alcuni di meno, ma è un dato di fatto che tutti in bici soffriamo.
Quando soffri, il tuo corpo ti dice di fermarti. In quel momento la
tua mente deve spingerti ad andare avanti.
Quando
inizia il mal di gambe, la tua testa deve continuare a ripetere che
vuoi vincere. Questo aspetto fa la differenza, perchè ti porta ad
allenarti di più. Inoltre, quando ti ritrovi in gara con un grande
allenamento alle spalle, ti senti consapevole di esserti allenato più
degli altri e ti senti in diritto di poter raccogliere il risultato.
Un
atleta forte di mente sa andare, in parte, contro al suo fisico,
sposando così il suo limite sempre più in alto. Questo deve
accadere ogni giorno e in ogni corsa.
Altra
caratteristica importante è il sapersi rialzare dopo una batosta.
Quando tutto va bene è semplice, ma dopo una caduta, un infortunio o
una gara preparata al meglio, ma in cui non si è raggiunto ciò che
si desiderava, rialzarsi fa la differenza. Bisogna saper tirare una
linea e ripartire.
Trarre
da ciò la motivazione per allenarsi ancora meglio, per curare con
più attenzione l'alimentazione e tutto il resto. Credo che è in
momenti come questo che si nota chi è più forte di testa.
Quali sono a tuo
parere le componenti che aiutano a ripartire dopo un infortunio o
dopo una sconfitta?
Posso
solo parlare della mia esperienza, non posso generalizzare.
Chiaramente avere delle persone vicino è fondamentale, ma non credo
sia sufficiente. Deve anche scattarti una molla dentro che ti fa dire
“non ci sto” “adesso riparto ancora più grintoso, perchè il
mio obiettivo è vincere”.
Essendo
un ragazzo giovane, giustamente, in molte corse, devo mettermi al
servizio della squadra. Se non ho svolto il mio lavoro al meglio, mi
ripeto che sono pagato per essere al 100% e se il mio 100% non basta
posso migliorarmi. Se non basta andare a 50 km/h posso allenarmi per
andare a 51 km/h. Se 51 non basta posso allenarmi per andare a 52
km/h. La
mia motivazione è allenarmi per migliorare costantemente e riuscire
a svolgere nel miglior modo possibile il mio lavoro.
Prima mi accennavi che
mente, qualità atletiche e allenamento pesano tutte il 33,3%. Pensi
la percentuale possa variare in relazione alla tipologia di ciclista
(ciclista da corse a tappe, da classiche di un giorno, velocista)?
Credo
che per un corridore da corse a tappe, che si rivolge al Giro
d'Italia, al Tour o alla Vuelta, la mente conti di più.
Io
non ho ancora esperienza diretta di un grande giro, ma quando arrivi
al termine di una corsa di una settimana come il Romandia, il giro di
Polonia o il Tour Down Under, il fisico è al limite. Non oso
immaginare cosa possa accadere dopo 3 settimane.
Probabilmente
tutti si svegliano con il mal di gambe, tutti sentono dolori vari, e
credo quindi la mente faccia ancora di più la differenza. Un
corridore da classifica, che deve andare forte in salita, credo debba
essere molto forte di mente, perchè nell'ultima settimane le gambe
saranno limitate per chiunque. I corridori da grandi giri credo
sappiano tenere duro più degli altri e soffrire un po' di più.
Anche
tra i cronoman la mente ha un ruolo molto importante e questa è una
specialità in cui me la cavo. Devi sempre cercare di essere al tuo
limite, ma leggermente sotto. Devi sempre correre al 99% delle tuo
potenzialità. Se corri al 98% rischi di perdere un secondo al km e
se la gara è di 40Km terminerai con un distacco di 40 secondi. Se
rischi però di andare al 101% salti.
Secondo
me la mente conta di più in prestazioni lunghe dove lo sforzo è
intenso, quindi in cui bisogna saper soffrire. Scalatori e cronoman
credo siano le due tipologie in cui queste caratteristiche siano più
presenti.
Come si acquisisce
questa capacità di stare al massimo senza esagerare?
Si
dice che più crono fai, più migliori. Oggi esistono strumenti che
misurano i wattaggi. Seppure siano numeri ipotetici, se tu mi chiedi
quanti watt posso erogare per 40 minuti, ti rispondo 380. Se mi
chiedi su mezz'ora, ti rispondo 390.
Devi
però sapere che ogni giorno è diverso dall'altro. Puoi avere
sensazioni pessime il primo km, non riuscere ad espriemere i tuoi
valori, ma tenendo duro, nella seconda parte puoi riuscire ad
accelerare. Una persona che va a lavorare può svegliarsi bene il
lunedi e male il martedi, per il ciclista, anch'esso un uomo, i
giorni non sono tutti uguali.
Secondo
me questa competenza si acquisisce col tempo, attraverso l'uso di
strumenti e conoscendo te stesso. Questo però vale soprattutto in
allenamento, mentre in gara è una battaglia con te stesso.
Immagino che nella tua
famiglia d'origine si sia respirato ciclismo fin da quando eri
bambino. Se potessi scegliere di competere in un altro sport, quale
sceglieresti? Perchè?
Sinceramente
sono cresciuto in una famiglia dove si parlava sempre di ciclismo e
non saprei dirti un altro sport. Mi attira il tennis, ma il mio sogno
è sempre stato quello di correre in bici.
Oggi
mi sento appagato, perchè ho realizzato il mio sogno. Nonostante ciò
ho sempre voglia di migliorare, perchè sono consapevole che sono
solo alla partenza. C'è davanti a me una storia da scrivere e un
percorso da delineare.
Quando
da bambino mi chiedevano cosa volevo fare da grande, io rispondevo il
ciclista. Ogni mattina quando mi sveglio, mi sembra incredibile
essere in mezzo a dei campioni. Mi sento come un tifoso trasportato
in una squadra di professionisti, che corre con loro e li aiuta a
vincere.
Sei un ciclista
all'inizio della carriera professionistica e un giovane uomo. Posso
domandarti cosa pensano i tuoi amici più stretti della vita del
professionista e del tuo lavoro?
Quando
sei un ragazzino di 12/13 anni, come anche 15, è una cosa strana.
Vedi i tuoi amici tutto il giorno, ma la sera invece di andare al bar
o nelle prime discoteche, tu vai a casa.
A 17
anni, l'età più difficile e in cui la maggior parte degli atleti si
perde, si vede quanta voglia hai di correre e quanto vuoi raggiungere
il tuo sogno o quanto vuoi vivere una vita normale. Passato questo
scoglio inizia la discesa, perchè la gente intorno a te inizia a
capire che hai raggiunto qualcosa di importante.
Io
ho un ottimo rapporto con i miei amici storici, ma in passato
vivevano la mia vita come qualcosa di strano.
Anche
per me non è sempre stato semplice. A 13/14 anni non è ovvio capire
che ti stai costruendo un futuro. In questo senso la mia famiglia è
stata importantissima, perchè mi ha fatto capire quanto sia
difficile rendere la tua passione il tuo lavoro. Le possibilità sono
pochissime. Per questa ragione mi hanno supportato nel cammino per
raggiungere il mio sogno.
Oggi
che ce l'ho fatta sono grato infinitamente alla mia famiglia, ai miei
tifosi storici e ai miei amici che mi sono sempre stati vicini.
Seppure allora non mi capissero a pieno, siamo riusciti a mantenere i
rapporti e quando ho un po' di tempo libero mi piace uscire insieme.
C'è qualcosa che non
ti ho chiesto e di cui ti piacerebbe parlarmi?
Il
ciclismo è uno sport che ti porta spesso lontano da casa, le persone
che ti stanno vicine giocano quindi un ruolo fondamentale. La
famiglia, la fidanzata, gli amici, i tifosi, è importante che ti
facciano sentire a casa anche quando non lo sei. Questo ti permette
di allenarti in modo sereno.
Se
avessi una famiglia che non approva il mio lavoro o che mi fa pesare
la distanza, non riuscirei ad allenarmi serenamente. Oggi abbiamo
fatto 5 ore, domani ne facciamo 5 e mezza e 4 ore dopodomani. Se non
sei pronto mentalmente ed emotivamente non riesci a svolgere un
carico del genere al meglio. Se le tue condizioni emotive non sono
adatte dopo 2 ore puoi avere la sensazione che manchi un'infinità,
mentre sei già a metà percorso.
Avere
delle persone intorno a te che inseguono, con te, il tuo sogno fa la
differenza. E' come ritrovarti su di una barca. Le persone intorno a
te possono non remare, remare con te o remare nella direzione opposta
alla tua. Se tutti remate nella stessa direzione è molto più
facile, fai meno fatica. Inoltre, la tua motivazione cresce
continuamente perchè percepisci come tutti vogliano andare nella
direzione in cui stai andando tu.
INTERVISTA A CURA DI:
Cesare Picco autore del libro "Stress e Performance Atletica"
Psicologo/Psicoterapeuta e psicologo dello sport
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