mercoledì 4 novembre 2015

Musica in movimento: Van der Graaf Generator - Pawn Hearts

Pochi giorni fa, durante l'ultratrail sull'isola della Reunion, la Diagonale de Fous, anche il vincitore Antoine Guillon ha approfittato della musica con le cuffie, credo una cosa rara, se non unica, per lui, sempre attento ad ascoltare sé stesso e il proprio ritmo.
Durante un ultratrail la musica può essere importante non solo per il ritmo o la concentrazione, l'isolamento, ma anche per distrarre dal dolore. Ecco un'altra utilità della musica durante lo sport: distrarre dal dolore. E, quasi come per cercare una catarsi, si potrebbe ascoltare qualcosa che parli proprio del dolore, come per affrontare in faccia i propri demoni, e sconfiggerli.

Uno dei migliori album della storia del progressive, ma anche di tutta la musica rock, parla molto di questo, il dolore, la difficoltà del vivere, e lo affronta di petto, con decisione, senza giri di parole. Stiamo parlando di "Pawn Hearts", dei britannici Van der Graaf Generator. Album del 1971, in piena epoca di musica progressive, dopo i fasti della psichedelia e prima dell'esplosione punk, rappresenta uno dei vertici della storia della musica, nonostante la scarsa forza commerciale del prodotto. Solo 3 lunghe canzoni (nell'originale, mentre nelle nuove edizioni su cd sono state aggiunte altre brevi canzoni strumentali), di 11, 10 e 23 minuti, dove si alternano una miriade di emozioni forti e contrastanti.


Si parte con "Lemmings (incorporating COG)": l'atmosfera è subito cupa, grazie al lavoro incredibile di tutto il gruppo. A chitarra, piano e voce Peter Hammill, mente e anima del gruppo, paroliere favoloso e compositore sull'orlo di una lucidissima follia; a tastiere e basso Hugh Banton, grande polistrumentista sempre prezioso; alla batteria Guy Evans, portentoso, mai virtuoso fine a sé stesso, geniale; ai fiati, sax o flauti che sia, David Jackson, il "Van Gogh del saxofono", capace di suonare due strumenti contemporaneamente.



Subito si alternano melodie e dissonanze, con la voce di Hammill capace di spaziare su ogni ottava disponibile. Il tema è forte: i lemmings, quei roditori del nord Europa che la leggenda vuole in grado di suicidarsi (in realtà è solo il loro numero spropositato che porta alla morte per sovrappopolazione), perfetta metafora dell'uomo e dei suoi eccessi. Si sente e si percepisce il dolore nella voce e nella musica. Ascoltandola facendo un'attività fisica, sembra dare un appoggio a cui reggersi, per poi spingersi, per annullare, o quantomeno diminuire, la fatica e il dolore. Il finale della canzone, più morbido, seppur sempre atmosferico, dice "quale scelta rimane se non vivere? quale scelta rimane se non provare?", lasciando speranza, e accompagnandoci alla successiva "Man-Erg".

"Man-Erg", Introdotta da un bellissimo piano e da una melodia dolce, entra presto nel vivo con un crescendo potente e quasi epico. "Il killer vive dentro di me" e "gli angeli vivono dentro di me" dicono la prima frase delle due strofe. Ecco il tema della canzone, la difficoltà del vivere in queste due sembianze, demoniache e angeliche, e il tenerne a bada il contrasto continuo, che sia all'interno di sé stessi o all'esterno, nell'umanità intera. Se i fiati di Jackson avevano fin qui disegnato linee melodiche dolci, eccolo aprire nella parte centrale della canzone una lunga parte dissonante e insistente, quasi cacofonica, ma se si deve parlare dell'orlo della follia, del disagio interiore, in che altro modo si può rappresentare? A livello impressionistico, i VdGG sono tra i più grandi gruppi di sempre, e anche qua hanno trovato la giusta alchimia. Dopo l'esplosione, torna un momento di calma, con atmosfere sempre cupe, ma melodie meravigliose, per finire con il ritorno al tema iniziale, con Hammill a cantare "sono solo un uomo, ed assassini, angeli, dittatori, salvatori, rifugiati: tutti questi sono", tutte le contraddizioni dell'uomo.

 L'ultimo pezzo dell'album, "A Plague of Lighthouse Keepers", meriterebbe un articolo a sé, data la bellezza e la complessità. 23 minuti di viaggio nei meandri della solitudine dell'uomo, attraverso la metafora del guardiano del faro. L'inizio è cupo ma affascinante, la voce di Hammill che passa dall'essere un baritono, poi un falsetto, e poi di nuovo caldo e potente, fino ad arrivare quasi all'urlo, e il gruppo che meravigliosamente lo accompagna, e ci accompagna, verso i 2' più sperimentali dell'album e tra le più incredibili espressioni impressionistiche della musica rock. Vortici, rocce, navi, collisioni, solo con gli strumenti.

Ancora torna il tema iniziale, e successivamente una nuova musica tormentata e affascinante, prima del cuore centrale della composizione. Atmosfera cupa, e poi l'urlo del dolore e della solitudine, "sono completamente solo". Lo si guarda in faccia il dolore, e si copre quello fisico. Un momento di nuova cacofonica dissonanza, e ritorno a melodie pacate e una nuova luce, "tutto il dolore che ho visto mi lascia ad inseguire una pace solitaria", prima di un altro momento di 2' di totale ed esasperante follia musicale, effettivamente non facile da ascoltare. Per il finale torna il pianoforte, e torna la speranza: "penso che la fine sia solo l'inizio, inizio a sentirmi molto felice, ora". Il viaggio sta terminando. Lo si è guardato in faccia il dolore, realmente. La fatica è parsa lontana, quasi una nullità.

Ma dicevamo che la nuova versione contiene altre canzoni, che non sono poi così male, seppur rimanendo in chiave sperimentale. "Theme One" è una mosca bianca all'interno della produzione del gruppo, un pezzo strumentale movimentato, diventato poi colonna sonora per una te britannica. "W" è un pezzo soft e sempre con grandi atmosfere, che si propaga per 5' con un basso insistente in sottofondo.

"Angle of Incidents" è un altro pezzo strumentale, dove si sovrappongono la batteria di Evans e i fiati di Jackson in un esperimento sonoro al limite, anche qua, del rumore. "Ponker's Theme" è una chicca di un minuto e mezzo da richiami jazz, dove il gruppo fa vedere di sapersi destreggiare in ogni direzione. "Diminutions" sono altri 6' di atmosfere cupe create da tastiere e fiati. Un modo per rimanere in tema dell'album.
ARTICOLO A CURA DI:

Nessun commento:

Posta un commento