lunedì 12 ottobre 2015

Dialogo col campione: Marco Lokar

Marco Lokar è un ex cestita italiano, che ha calcato i parquet dalla serie A1 fino alla serie C. Tra le sue esperienze anche due anni alla pallacanestro Trieste allenata da Bogdan Tanjević.
Marco Lokar ha anche giocato nel campionato universitario americano per la Seton Hall University dove viene ricordato per una partita da 41 punti e per essersi rifiutato di vestire la casacca con la bandiera americana durante il periodo della guerra del Golfo.
Oggi Marco Lokar lavora come manager.




Ciao Marco, quali sono le differenze mentali con cui deve confrontarsi un giocatore che affronta il campionato americano e italiano?
Ci sono molte differenze, che percepisci nel mondo dello sport come anche nel mondo del lavoro. Negli Stati Uniti d'America, in qualche modo, il merito viene premiato ed è quindi il campo a determinare il tuo futuro. In Italia e in Europa questo accade limitatamente al mondo dello sport, mentre negli Stati Uniti è sicuramente un mantra a tuttotondo.
Un'altra enorme differenza è che negli Stati Uniti lo sport è “crudo”. La seconda, terza o quarta possibilità sono molto difficili da ottenere. Quando arriva il tuo turno o quando hai la possibilità di giocarti la tua chance devi dimostrare quello che vali, con bravura e determinazione. Questa può sembrare una sorta di selezione darwiniana severissima, ma nei fatti è così.
Anche nello stile di gioco ci sono enormi differenze, ma non hanno a che fare con l'aspetto psicologico, organizzativo e umano.

Per farcela nel contesto che mi hai descritto secondo te quali sono le componenti caratteriali più importanti?
Serve un enorme determinazione e una straordinaria capacità di lavorare su te stesso, per obiettivi. Come giocatore, devi essere letteralmente focalizzato sul lavoro per obiettivi! Negli Stati Uniti i generalisti senza un ruolo specifico sono pochissimi. Anche se capita che spesso questi siano stati tra i più grandi della storia americana, in ogni singola generazione ne puoi trovare molto pochi. In Europa sono molti di più.
Bargnani ad esempio è un po' regredito overall, perchè ha dovuto lavorare tanto sulla specializzazione di un ruolo determinato. Il classico lungo che gioca un po' da cinque con la tendenza ad allontanarsi dal canestro per attirare i lunghi avversari che lo marcano, permettendo ai giocatori americani di attaccare il canestro. Questo chiaramente è un aspetto molto specialistico.
So che hai giocato in diverse serie in Italia. Secondo te quali sono le differenze che un giocatore sente scendendo di categoria?
Il gioco in serie diverse è sempre abbastanza fisico, ma lo è in maniera differente. In A1 la fisicità è spiccata, ma è “pulita”. Mano a mano che si scende di categoria la fisicità rimane, ma inizia ad essere più “sporca” e i contatti sono sempre al limite del fallo. Credo che scendendo di categoria i giocatori tendano a compensare aspetti di talento trovando altri modi di giocare.
Un'altra grande differenza è che nella serie maggiore tutti componenti della squadra conoscono molto bene le basi del gioco. Tu puoi quindi dare per scontato cose semplici come un pick and roll o una rotazione difensiva sul lato debole. Tu questi aspetti li puoi allenare, ma non li devi insegnare. Scendendo di categoria tantissimi giocatori invece molte cose non le sanno fare o le fanno in maniera insufficiente.
Dal punto di vista mentale hai notato delle differenze tra i giocatori di serie diverse?
Sì, non c'è ombra di dubbio. Anche se credo abbia cambiato nome, in A1 i giocatori sono determinati, focalizzati e abituati al ritmo del gioco. In serie B no e questo ti richiede un maggiore adattamento. In un certo senso giocare in serie B ti richiede di saper fare molte più cose, di non dare nulla per scontato, e quindi da molti punti di vista è più complesso che giocare in A1.
Quali sono gli aspetti caratteriali che caratterizzano un giocatore di una serie inferiore rispetto alle serie maggiori?
Ci sono due tipi di giocatori: quello che non è riuscito ad arrivare in serie A1 e il giocatore che ha "fatto" una carriera e che scende progressivamente di categoria, perché con il passare degli anni perde velocità e reattività. Questo gli permette di allungare la sua carriera rimanendo protagonista.
Chi è stato nelle serie più alte ha appreso una serie di virtù, come la capacità di leggere il gioco e di stare assieme in una squadra. Un giocatore di questo tipo sa esattamente cosa deve fare in determinati momenti della partita per portare a casa una vittoria. Ci sono dei momenti nelle partite, momenti specifici, in cui le partite sono tirate e per vincerla devi fare alcune cose in un dato momento. Non parlo necessariamente di un canestro, può essere un blocco fatto bene o un taglia fuori sul lato debole, una palla sporcata, una difesa corretta o un rimbalzo in attacco. Il giocatore che ha toccato con mano la serie maggiore queste cose le hai innate. Ha toccato con mano la serie maggiore e il bagaglio di competenze se lo porta con sé. Il giocatore che ha sempre navigato nelle serie inferiori, la maggioranza, per qualche ragione può saperle fare, non dico che non le sappia fare, ma non puoi darle per scontato.
Ogni volta che iniziavo un campionato di serie B cercavo di costruire quelle competenze e quelle caratteristiche, che poi ti permettevano di portare a casa quelle 8, 9 o 10 partite punto a punto, che risultavano poi determinanti per la classifica finale. Questo è un lavoro estremamente complesso.
Mi ricordo di una stagione a Trapani in cui sono arrivato a metà anno.  Non è stato facile trovare un equilibrio all'interno della squadra, ma quando ci siamo riusciti abbiamo vinto tantissime partite punto a punto.
Secondo te nella costruzione di una vittoria quanto conta il feeling all'interno della squadra? Come si costruisce questo feeling?
Conta tantissimo, anche se è difficilissimo da creare. Credo che questa sia una delle cose più complesse al mondo.
Per questa ragione, una cosa che non capivo e che mi faceva arrabbiare era quando una società al termine della stagione cambiava molti giocatori della rosa. Magari incontravi diverse difficoltà ad inizio stagione, perdevi numerose partite, ma poi lavorando in palestra riuscivi a costruire un equilibrio di squadra e iniziavi a far cambiare il campionato. Cominciavi a vincere le prime partite in casa, poi in trasferta e terminavi il campionato nella seconda metà della classifica o anche nella parte alta. All'arrivo dell'estate però capitava regolarmente, salvo alcuni casi illuminati, ad esempio quando ero con Tanjević, che gli equilibri venissero stravolti da cambi di 7 giocatori. Tu magari ti ritrovavi con maggior talento, ma con gli equilibri di squadra completamente distrutti.
L'anno di cui ti parlavo prima è stato un anno come questo. Andai a Trapani, eravamo ultimi in classifica, poi raggiungemmo un equilibrio di squadra e iniziammo a vincere le partite fino ad arrivare ai playoff. Certo non fummo promossi, ma riuscire ad arrivare ai playoff partendo dall'ultimo posto in classifica nella seconda parte della stagione fu una cosa incredibile. In estate però ci furono numerosi cambiamenti. A Jesi successe la medesima cosa. In estate cambiarono 7 giocatori e quando arrivai in ritiro c'erano 7 nuovi giocatori. Probabilmente il talento che avevamo in squadra era maggiore, ma gli equilibri erano distrutti e non vincemmo più.
Che cos'è l'equilibrio all'interno di una squadra e come si costruisce? Devi riuscire a mettere nelle condizioni ogni giocatore di avere un ruolo all'interno della squadra che esalti le sue caratteristiche sportive. Cosa complessissima, perchè soltanto nel momento in cui 10 soggetti si sentono di avere un ruolo attivo in una squadra, un ruolo che li soddisfa, esaltando le loro caratteristiche sportive crei il movimento di motivazione e lo spirito di essere partecipe, riuscendo ad ottenere dei risultati che vanno al di la di quella che è la semplice somma del talento che è presente nell'organico.
Nelle imprese/aziende questo aspetto è quasi sconosciuto. La capacità di mettere qualcuno nel suo ruolo, rendendolo soddisfatto del ruolo stesso, non viene quasi mai raggiunto. Anche se si tende a questa meta, difficilmente la si raggiunge.
Se ti ponessi come un osservatore esterno, quali sono secondo te gli indicatori che ti fanno capire che in una squadra c'è un buon equilibrio?
Provo a risponderti sulla base del basket che vedo adesso, anche se lo seguo poco (soprattutto il basket italiano).
Per esempio i San Antonio Spurs sono una squadra NBA dal talento scarso. Ci sono Diaw, Parker, oltre a Ginobli e Duncan che hanno ormai superato i 35 anni, ma giocano tutti in un sistema di gioco con un ruolo proprio. Percepisci immediatamente che c'è una coesione di squadra e un'accettazione da parte di ogni giocatore del proprio ruolo e del ruolo del compagno.
Un altro esempio abbastanza eclatante sono i Golden State Warriors dove sono riusciti a creare, soprattutto grazie all'allenatore, un modello di gioco dove ciascun elemento è un tassello all'interno del sistema di gioco. Vedi la palla circolare bene in attacco, come anche azioni in cui un giocatore ha un buon tiro, ma vi rinuncia per fare un extra-pass per un compagno che è ancora più libero. Il passaggio ulteriore è segno di un enorme fiducia. Se ho un buon tiro potrei segnare facendo bella figura, ma percepisco che un compagno, del quale mi fido, potrebbe avere un tiro ancora migliore.
Un altro esempio classico riguarda le rotazioni difensive sul lato debole, quando si difende a uomo. La Lituania che ci ha sconfitto agli Europei è stata un ottimo esempio. Il modo in cui giocavano il face offense, ruotavano 11 giocatori e, in particolare, mettevano pressione sul lato della palla e le rotazioni sul lato difensivo è stato un elemento caratterizzante.
Secondo te quanto l'allenatore può incidere sulla bontà di una squadra?
Questa è una domanda da un milione di dollari. Per me il primo compito di un allenatore è quello di non far danni. Considera che fare l'allenatore è un mestiere difficile, come è complesso fare il manager in un'impresa.
Assodato che il primo compito è non far danni, il secondo è dare un'impronta alla squadra. Voglio giocare la palla a 24 secondi, voglio giocare a campo aperto, voglio giocare una difesa molto forte sul lato della palla, voglio dare un'impronta alla squadra. Questo è un compito complesso perché deve riuscire a trovare, soprattutto nelle rotazioni e nell'idea che ha di gioco, un equilibrio per ciascun giocatore. Deve chiaramente avere all'interno della squadra i giocatori che lo seguono, però deve essere anche capace di mettere questi giocatori nella condizione di potersi esprimere al meglio.
Il terzo ruolo di un allenatore, anche se forse non è il terzo in ordine di importanza, è certamente quello educativo nei confronti dei giocatori. L'allenatore ha si la responsabilità di far crescere i giocatori a livello sportivo, ma ha anche la responsabilità di far crescere i giocatori come persone. Non per caso si chiama coach, perché ha un ruolo di guida.
Io ho avuto la fortuna di avere avuto degli allenatori che hanno tutte queste caratteristiche. Tanjević senza ombra di dubbio, anche se gli aspetti più evidenti mi sono stati chiari quando non era più il mio allenatore. Ero molto giovane quando mi allenava, oggi ho capito molte cose che faceva, ma che allora non mi erano chiare. Un altro allenatore per cui ho avuto il piacere di giocare è stato Riccardo Sales, ahimè scomparso. Sales anche lui aveva, con uno stile diametralmente diverso da Tanjević, tutte e 3 queste caratteristiche. Aveva veramente a cuore la crescita delle persone. Due allenatori con cui è stato un piacere e un onore poter lavorare. Cito questi due, ma ce ne sono stati anche altri.
Per quanto riguarda Tanjević mi hai detto che ti ha allenato in età giovanile e hai capito più avanti nel tempo cosa ti aveva trasmesso dal punto di vista umano e professionale. Quali sono gli aspetti che ti ha lasciato?
La prima cosa, che purtroppo ho capito troppo tardi, è che Bosha era una persona molto diretta e molto dura, incredibilmente dura con tutti, ma equa con tutti. Una delle cose che sicuramente mi porto dietro di Bosha è il non crearti mai degli alibi. Sei tu il fautore della tua fortuna.
Non stai sbagliando un tiro perché il compagno ti sta passando male la palla. Tu pensa a prendere la palla e far canestro. Senza crearti degli alibi, sii responsabile del tuo futuro e delle tue azioni.
L'altro grande insegnamento te lo racconto con un esempio. Eravamo ragazzi, io avevo 16 anni credo, e Tanjević con noi era  durissimo. Quanto ci siamo allenati con Tanjević non era vero! 7, 8, 9 ore al giorno. Giochiamo una partita e la perdiamo perché facciamo un errore stupido e banale, che lui per miliardi di volte ci aveva detto di non fare. Gli unici responsabili di quella sconfitta eravamo noi giocatori. Tanjević andò in sala stampa e dichiarò che la responsabilità della sconfitta era completamente sua e che i ragazzi avevano fatto esattamente quello che lui aveva chiesto di fare. Quello per noi fu un insegnamento importantissimo. Anche davanti al più grande errore noi stessimo facendo, lui andava in sala stampa e ci metteva la faccia.
Grazie a questo insegnamento ho capito qual è la figura del leader. Il leader è colui che è disposto a mettersi davanti al plotone di esecuzione a prendersi tutte le pallottole, anche se non ha delle responsabilità dirette. Dopo quella partita noi giocatori siamo diventati una macchina da guerra. Eravamo disposti a seguire l'allenatore al 100% ed infatti terminammo con una promozione dalla serie A2 all'A1, per poi arrivare alla semifinale scudetto.
Hai imparato tanto da sportivo, cosa hai portato nella tua carriera professionale?
Grandissima domanda. Mai nessun dipendente dell'area personale e mai nessun Head Hunter in 15 anni che lavoro in compagnie assicurative mi ha posto questa domanda. Questo dimostra quanto poco sono attenti a questi aspetti.
Cosa mi sono portato? Molto! La prima cosa è che sei responsabile delle tue azioni. Il basket, e lo sport professionistico in particolare, è un mondo che non ti permette di nasconderti. Se vai in campo e sbagli l'ultimo tiro sei tu che l'hai sbagliato. La responsabilità è tua e non di un soggetto terzo.
La seconda è che quando fai sport professionistico e in particolare sport di squadra, anche se vale anche per sport individuali, è che devi prendere decisioni in millesimi di secondo. Quando siamo 80 pari e ho la palla in mano, quale attacco chiamo? A chi do la palla? In quale momento? questa decisione tu la devi prendere in millesimi di secondo. Non hai il tempo di sederti e pensarci due settimane prima di prendere una decisione, eseguirla ed implementarla.
La terza cosa è più complessa ed è stata compresa solo in certe mie esperienze lavorative. Le persone che fanno parte di un team spesso, sbagliando, pensano di aver raggiunto il proprio potenziale. Io dirigo il commerciale di una compagnia di assicurazioni. Ho all'interno del mio team dei ragazzi molto bravi che raggiungono risultati migliori degli altri e molto spesso si siedono, perché pensano di aver raggiunto il loro potenziale. Ma non è vero! Hanno raggiunto il 20% del loro attuale potenziale e, forse, il 10% del potenziale in termini assoluti, ma possono fare molto di più! Possono essere dei professionisti molto più bravi! Questo te lo insegna lo sport.
Quello che oggigiorno viene percepito dalle imprese, quindi non in ambito sportivo, sono solo gli slogan. Ti fanno vedere il video di Velasco che racconta delle cose, ma rimangono lettera morta. Molti di loro non avendo fatto sport e non avendo avuto un'esperienza sportiva ad alto livello non capiscono l'essenza che sta dietro a certe frasi. Inoltre non credo ci sia una vera condivisione di determinati pensieri, perché l'importante è portare un risultato mentre il come lo porti non lo è.
Esistono delle tecniche che possono aiutarti a mantenere la lucidità durante i tiri liberi?
Si, sicuramente. I tiri liberi sono una meccanica, è l'esecuzione di un movimento identico migliaia di volte. Nel momento in cui prendi un tiro libero, magari anche importante, oltre alla meccanica, che deve essere completamente identica ogni singola volta, hai anche un aspetto di mentalizzazione. Devi andare in lunetta con la certezza di segnarlo e devi visualizzare il pallone che entra.
Quando tiri un tiro libero che può costare una vittoria o una sconfitta il pallone pesa, solitamente è un po' più grande di quanto è in realtà e il canestro è un po' più piccolo di quello che è in realtà. Non è semplice. La prima cosa è avere una meccanica perfetta e ripetuta migliaia di volte al giorno. Se non alleni il tiro libero nella sua meccanica non sarai un buon tiratore di tiri liberi. Poi ovviamente c'è un aspetto mentale che ti richiede di visualizzare di fare canestro, oltre ad avere la certezza di segnarlo. Devi essere molto sorpreso quando la palla non entra.
INTERVISTA A CURA DI:

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