martedì 3 ottobre 2017

Peter Norman, l'eroe silenzioso

Tommie Smith e John Carlos sul podio di Città del Messico, nel 1968, con il pugno alzato, avvolto in un guanto nero, i piedi scalzi e il capo chino mentre nello stadio risuonava l’inno americano è, sicuramente, una delle immagini più forti del XX secolo. Un’immagine di protesta, di lotta, di giustizia. La lotta contro l’apartheid, la lotta contro un mondo che non li voleva lì.
Tommie e John scelsero di rischiare, mentre dietro le quinte il capodelegazione USA prometteva conseguenze. “Se ne pentiranno tutta la vita”, parole pesanti per un gesto fortissimo.



Ci sono proteste “rumorose” come quella dei due ragazzi afroamericani, ci sono proteste “silenziose”, come quelle di Peter Norman, il secondo classificato in quella gara storica. Peter non alzò il braccio, non si unì fisicamente al gesto dei due. Rimase immobile, con il capo alzato e la schiena dritta. Impassibile, ma non distaccato.

Al petto Norman aveva lo stemma del Olympic Project for Human Rights, un urlo silente che riecheggiava nello stadio in un boato. Una parte attiva della storia, dimenticata troppo spesso. Rivali, ma uniti dalla stessa passione bruciante per uno sport che gli ha permesso di superare le diversità.
Eppure l’agonismo era alle stelle in quei giorni, tra record olimpici che duravano poche ore. Prima Norman, nelle batterie, poi Carlos e Smith. Una successione di bocche aperte al passaggio degli atleti. Agonismo, ma non odio. Agonismo, ma con rispetto.

La finale dei 200 doveva essere storica, e storica fu. Smith la vinse, come da pronostico, mentre alle sue spalle Norman riuscì a superare lo statunitense Carlos e guadagnare la medaglia d’argento.
I tre si guardano, una volta terminata. Carlos e Smith parlottano, a quanto pare un paio di guanti neri da indossare al termine della gara sul podio è andato perduto. Norman sente. Si avvicina e indica ai due il paio di guanti rimasto. “Dividetelo”. Smith si prende il destro, Carlos il sinistro. In tre a fissarsi. Smith chiede a Norman se crede in Dio, se crede nei diritti umani. Norman annuisce, vuole uno stemma anche lui. Vuole partecipare alla protesta, non solo alla cerimonia. Così Hoffman, un canottiere statunitense attivista, gli da il suo. Sta per entrare nella storia, sta per diventare una sorta di martire, consapevolmente.

“Non ho visto cosa succedeva dietro di me – raccontò Norman – Ma ho capito che stava andando come avevano programmato quando una voce nella folla iniziò a cantare l’inno Americano, ma poi smise. Lo stadio divenne silenzioso”

Norman sapeva che protestare a favore dei diritti umani, con uno stemma passatogli dai ‘ragazzi del black power’ non sarebbe stato visto di buon occhio dalla federazione e dai media del suo Paese. Peter Norman era australiano e in Australia le leggi sull’apartheid erano dure quasi quanto quelle sudafricane.



Norman sale sul podio. Un piccoletto bianco in mezzo ai giganti neri. Secondo, alle spalle di chi doveva essere di un altro pianeta. Orgoglioso di se stesso. Orgoglioso di trovarsi un momento storico. Orgoglioso di essere battuto dal più forte e da lui soltanto. Orgoglioso della sua idea. Disgustato dalla segregazione.

I media e le federazioni non presero bene questo gesto. Peter Norman fu messo da parte, fu boicottato in ogni modo. A Monaco 72’ non fu convocato, nonostante si fosse qualificato in pista. L’Australia si presentò senza velocisti, ma Peter, medaglia d’argento ai giochi precedenti, venne tenuto fuori. Decise così di farsi da parte, lasciò l’atletica. Lasciò lo sport per aver deciso che non si poteva stare in silenzio. Per non aver pensato solo a correre e lasciato “la politica” ad altri. Perse tutto perché era giusto rischiare per gli altri.



E mentre Smith e Carlos sono stati riabilitati e il tempo ha reso loro onore, Peter non potette vedere con i suoi occhi il mondo dirgli un semplice “grazie”. Solo 6 anni dopo la sua morte, infatti, l’Australia gli riservò gli onori del caso.
Adesso all’Università di San Josè c’è una statua. Un podio sul quale si ergono Smith e Carlos, ma accanto a loro manca proprio Peter Norman. Un vuoto pieno di significato, simbolo di un eroe silenzioso di cui la storia non si accorse. Perché Peter Norman era lì. Con il braccio basso, ma con il cuore aperto.



Peter Norman, l’eroe silenzioso.




 

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