mercoledì 2 settembre 2015

Musica in movimento: The Rolling Stones - Exile on Main Street

Era il 2007 quando la maratona di New York impose il divieto ai partecipanti di usare cuffie o auricolari durante la manifestazione, in quanto avrebbe alterato le prestazioni al pari del doping. Chissà dunque quali tempi i più forti maratoneti del mondo potrebbero fare con l'utilizzo delle cuffie! O forse, loro, forgiati da anni di attività ad altissimo livello e una capacità di concentrazione assoluta, sanno già pescare dalla propria testa tutta la motivazione necessaria per arrivare a dare il 100% delle proprie possibilità...
Fatto sta, che una buona musica aiuta, sempre, in particolare chi non corre per professione. E uno degli album che nella storia della musica occupa una parte importante in tutte le parti del globo, e che con maggior probabilità può dar aiuto per ogni attività fisica, è senza dubbio "Exil on Main St." dei Rolling Stones.

Album del 1972, pur senza contenere una canzone entrata in particolare nell'immaginario collettivo relativo al gruppo, è sicuramente il loro più coerente e completo, nonché classico, indicato in modo oggettivo come il loro capolavoro.


Si apre con il ritmo agile di "Rocks off", coi fiati a dare un tocco di classicità, per proseguire con "Rip this joint", rock'n'roll che più classico non si può, con Mick Jagger grintoso e urlante come non mai. Si suda già, e "Shake your hips" sembra concedere una pausa, ma falsa, perché il ritmo rimane, col riff blueseggiante di Keith Richards, vero protagonista dell'album. Ecco invece che da "Casino boogie" i ritmi si calmano davvero, anche se la forza dirompente dell'album continua a farsi sentire, così come nella quasi gospel "Timbling dice". Si prosegue in clima puramente americano, che sa di malinconia e tradizione, che per gli Stones non è per nulla difficile da raggiungere: "Sweet Virginia", con cori ancora quasi gospel, armonica e sax, a fare da contorno a questa splendida ballata honky-tonk. Non poteva mancare un tocco country con "Tom and Frayed",  seguita dall'acustica "Sweet Black Angel". Ma per sudare e muoversi non serve solo velocità o potenza musicale, perché di ritmo ne rimane sempre tanto, tanto davvero, anche in "Loving cup", con pianoforte in primo piano.


L'album era nato come un doppio, ai tempi del vinile. La prima parte è finita, e si apre la seconda, di nuovo con un rock incalzante, "Happy", col basso di Wyman a costruire una solida base, e subito il blue rapido di "Turn the run", un titolo e un perché dell'importanza di questa musica per correre, o comunque muoversi. "Ventilator blues" è blues graffiante, sempre invitante, dal passo deciso, sicuro di sé. "I just want to se your face" è la traccia più particolare dell'album, con un tappeto di percussioni e tastiera in cui la voce di Jagger si fa strana e straniante. "Let it loose" invita alla calma, a non esagerare, a tenere un passo costante, tranquillo (ma non troppo). "All down the line" si presente con un classico riff alla Keith Richards, e l'anima torna a ballare. "Stop breaking down" è di nuovo blues allo stato pure, cover di un classico di Robert Johnson e ripreso trent'anni dopo dagli White Stripes, come in un passaggio di consegne. Siamo al finale, ecco il pezzo più famoso dell'album, quella "Shine a light" che ha dato il titolo al film-documentario di Martin Scorsese sullo storico gruppo britannico, e una luce sembra muoversi davvero tra la propria mente e il proprio corpo. La potente "Soul survivor" è il finale in volata di quest'album consegnato alla storia del rock, e della musica in assoluto.

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