mercoledì 19 agosto 2015

Muscica in movimento: Pearl Jam - Ten

Il grande ultra maratoneta greco Yiannis Kouros ascoltava musica nelle cuffie, già negli anni '80. Esiste un filmato che racconta un po' la sua storia e la sua visione della corsa, e racconta di come per lui la musica durante lo sforzo fisico fosse importante, quasi essenziale. Anche perché faceva cose un pelo fuori dalla norma. Cose che vanno dalla 24 Ore, che ancora può definirsi “normale”, fino alle 6 giorni,o gare come la Sydney Melbourne (875 km). Una buona musica era decisamente importante.

Dedichiamo quindi questo articolo ad un gruppo che molto probabilmente Yiannis Kouros non ascoltava, e parliamo dei Pearl Jam, e nello specifico del loro album di esordio, "Ten", del 1991.


Dopo l'intro di un basso a 12 corde di Jeff Ament, parte la coinvolgente "Once" a dare subito energia ed aiuto psicologico e ritmico all'attività sportiva. "Even flow" rimane sulla stessa lunghezza d'onda, e così la tormentata "Alive", meno potente musicalmente all'inizio, ma dal ritornello intenso, con un riff di chitarra diventato leggenda, e con il finale in crescendo grazie all'assolo, forse perfino troppo auto compiacente, del chitarristaMcCready. Con “Why go"  si torna a ritmiche energiche, con la voce di Eddie Vedder perfetta come sempre. "Black" è una chicca dalla stupefacente bellezza, struggente al punto giusto, non infarcita di eccessivi mielismi, ma rimane la meno adatta del lotto per avere fiatone come sottofondo: buona per un momento di respiro ed introspezione, e probabilmente, dopo l'inizio caldo, è un'occasione da sfruttare. Anche perché "Jeremy" ridona energia, soprattutto nella lunga coda finale, con Vedder a dare il meglio di sé. 



"Oceans" è un altro momento di calma apparente, dove l'atmosfera galleggiante non disdegna un certo ritmo, che non si avvicina comunque a quello di "Porch", canzone cavallo di battaglia delle esibizioni live del gruppi e causa di enormi sudate da parte del pubblico dei concerti. "Garden" parte sommessa, con atmosfere crepuscolari create dalle chitarre (in particolare quella di Stone Gossard), ma il ritornello ridona linfa ed energia, come la successiva "Deep", forse la meno perfetta dell'album, ma pur sempre adatta per tenere ritmo.

Il finale è molto soffuso con la stupenda "Release", il giusto defaticamento dopo la sbornia.

Se si ha la versione "deluxe", ci sono altri tre brani, ovvero la versione live di "Alive", che non aggiunge nulla a quella da studio, l'atmosferica e quasi psichedelica "Wash", e la divertente "Dirty Frank", pezzo quasi funky alla Red Hot Chili Peppers, ottimo per qualche allungo finale.

Insomma, un classico del rock, un disco immortale, forse il più imperfetto dei Pearl Jam, ma sicuramente il più fresco e vitale.

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