lunedì 27 luglio 2015

Dialogo col campione: Stefano Ruzza

Stefano Ruzza è un ultratrailer italiano, che corre per il team Vibram e per l'Atletica San Marco.

Vincitore di diverse gare di livello nazionale e spesso competitivo coi migliori atleti in gare World Tour.

Nel suo palmares spiccano due vittorie ai campionati nazionali (2012 e 2013), un 7° posto all'europeo del 2013 e un 7° posto (2014) alla diagonale des Fous, prestigiosa competizione che si svolge sull'isola de La Reunion, nell'oceano indiano.





Ciao Stefano, ti sei avvicinato alla corsa in età matura. Sotto alcuni aspetti questo potrebbe averti limitato, come ad esempio non aver sfruttato pienamente gli adattamenti fisici della pubertà. Esistono però dei vantaggi di natura mentale, in questo avvio dopo i vent'anni? 

E’ vero che l’aver iniziato non in età giovanile mi abbia avvantaggiato dal punto di vista mentale. Da ragazzino avrei voluto provare col ciclismo, ma ripensandoci, non ne avrei avuto la testa. Da quando ho iniziato a correre ho sempre avuto degli obiettivi che mi hanno aiutato a spostare più in là i miei limiti, ma con coscienza e lucidità, mentre da ragazzino queste cose sicuramente non la avevo.

Sentire che non "avresti avuto la testa" ad alcuni potrebbe sembrare strano. Puoi spiegarci quali qualità mentali ti mancavano nel ciclismo che pensi di avere nell'ultra?

In questo momento qualità mentali forse non mi mancano, mi mancherebbero qualità fisiche, e pur piacendomi andare in bicicletta, preferisco correre. Ma da ragazzino, l’allenarmi tante ore, con il freddo o con la pioggia, il non uscire il sabato sera per andare a fare la gara, erano cose che probabilmente avrei retto solo poco tempo. Ho preso altre strade, che sicuramente non mi hanno fatto bene, ma mi hanno fatto capire col tempo che la strada dello sport e dell’impegno era quella giusta. Qualche piccolo rimpianto a volte affiora, ma la strada che mi ha portato fin qua era questa, e sono ugualmente contento.


So che alcune delle passioni che ti coinvolgono maggiormente hanno a che fare con l’ambito artistico: la musica  ascoltata, suonata e scritta, come anche la letteratura e la cinematografia. Se riflettessi sul tuo stile di corsa ci sono degli aspetti in cui questo è influenzato dalle tue passioni? In che modo queste passioni hanno un impatto nella tua pratica sportiva?

Queste passioni influenzano il mio modo di pensare e di vivere, e di conseguenza il mio modo di correre e fare sport. Di queste passioni mi interessa molto il lato introspettivo, e niente è per me più introspettivo che correre, specialmente in natura con il trail. Sono cose che mi aiutano a guardarmi dentro, che danno la sensazione a volte di aver trovato risposte a domande esistenziali, che forse in fondo non sono altro che altre domande, ma che aiutano ad andare avanti in una continua ricerca. Poi c’è da dire anche che la corsa è molto stimolante dal punto di vista artistico, le migliori idee vengono spesso durante una corsa, i pensieri si fanno chiari e perfetti. Il problema è ritrovare il filo una volta rientrati a casa. Il lato elegante, inteso come bellezza del gesto tecnico, è un’altra cosa molto importante: non credo di essere così bello da veder correre, ma quando ho ottime sensazioni ho anche l’impressione di farlo in modo elegante, almeno dal mio punto di vista.

Se dovessi descriverti come sportivo scegliendo una canzone, un cantante, un film, un regista, un libro o uno scrittore, quale sceglieresti? Ci puoi spiegare in che modo questa scelta ti rappresenta?

Mah, in realtà non mi vengono in mente molti esempi, soprattutto che possano descrivermi come sportivo. Ma c’è uno scrittore che forse ha descritto meglio di altri alcuni lati dello sport, ed è David Foster Wallace. Praticava tennis da ragazzino, e in alcuni romanzi, oltre che in alcuni saggi, ne ha parlato in modo incredibilmente efficace, descrivendo l’importanza del lato mentale, della sfida con se stessi e contro gli avversari, ma anche delle difficoltà estreme dell’essere un professionista, dello sport come metafora di vita, e del lato artistico di alcune gesta sportive, come ad esempio Federer. Oltre al lato filosofico del tennis, come un’attività dalle infinite possibilità in uno spazio finito, che in fondo si può spostare anche nel trailrunning, dove ad esempio la discesa ha infinite possibilità di traiettorie, di situazioni ed interpretazioni.

Oltre a stimare Foster Wallace, credi tra voi ci possano essere dei punti di contatto? 


E’ stato uno dei primi scrittori che ho ammirato, e ha influenzato molto il mio modo di scrivere. Capita addirittura delle volte di leggere nelle sue cose spunti che avevo già trovato da me. C’è affinità, sì. Ma lui era un  genio assoluto e di una cultura spropositata, io in confronto sono una formichina.

Emozioni scomode nella vita quotidiana, come la tristezza, la rabbia, la paura o come anche la frustrazione, diventano una benzina importante per uno sportivo che si rivolge all’endurance. Esistono delle emozioni, anche normalmente concepite come negative, che volontariamente vai a sollecitare per coltivare le tue performance? Ti posso chiedere quali sono e quando ti rivolgi loro?

E’ vero, delle volte sono molto importanti anche le emozioni negative. Oltre alla rabbia che può fungere da sprono durante un allenamento, aiutando a sfogare l’energia accumulata, delle volte anche altre emozioni aiutano. Ad esempio se ci sono dei pensieri negativi, tristi o bui, l’allenamento, o anche la gara, aiuta a concentrarmi sull’attività che sto svolgendo, lasciando le difficoltà altrove. Ma capita anche, quasi inconsciamente forse, durante periodi di duri allenamenti, di richiamare emozioni negative, come per aumentare le difficoltà e avere così ancora maggiori benefici dall’allenamento, come per sentirmi più forte e temprato.

Esistono invece degli stati d’animo di quiete che ricerchi attivamente durante le gare? Come ce li descriveresti a livello di sensazioni e pensieri, per te? In quali momenti di una gara pensi siano maggiormente importati: la preparazione, l’avvio, la crisi, lo sforzo massimo o lungo la durata complessiva?

Nei giorni precedenti a una gara spesso è difficile trovare calma, perché ho paura che il lavoro possa essere pesante e compromettere la gara, paura di allenarmi troppo o troppo poco, e poi la preparazione logistica e gli spostamenti. Ma una volta sulla linea di partenza, nonostante spesso di fronte a campioni che ammiro mi trovi un po’ emozionato, riesco a liberare la testa e pensare solo alla voglia di correre, trovando uno stato di quiete. Punto spesso le gare sul mio ritmo, senza lasciarmi trascinare dalle partenze forsennate, e di solito, dopo 2 o 3 ore di gara, entro in uno stato di trance e di tranquillità perfetti. Proprio in quei momenti, quando di solito inizio a rimontare posizioni, riesco a correre diverse ore in uno stato di calma e rilassatezza totali, per spendere meno energie possibili e ritardare crisi, che quasi sempre prima o poi arriva. Durante i finali di gara invece, cerco soltanto forza ed energia per dare tutto quello che è rimasto.

Se dovessi riflettere all’approccio di un ultratrailer a questo sport, secondo te quali sono le qualità mentali più importati? Ci puoi spiegare come mai hai scelto proprio queste?

Nell’ultratrail trovo molto importante avere appunto calma e pazienza, per gestire al meglio il ritmo, senza fretta di dare fondo alle energie. Ma è una cosa che trovo molto importante anche nell’allenamento o nella ripresa dopo una gara faticosa: avere pazienza di ritrovare stimoli ed energie, e ricordarsi che il corpo ha bisogno di riposo. Ma capita anche a me di sbagliare approccio, delle volte è difficile non farsi trascinare.

INTERVISTA A CURA DI:
Cesare Picco autore del libro "Stress e Performance Atletica"
Psicologo/Psicoterapeuta e psicologo dello sport

2 commenti:

  1. Molto interessante il connubio #psiche e #sport perchè se è vero che è fondamentale un'ottima preparazione fisica, una preparazione mentale adeguata è necessaria.
    Vi adotto nel gruppo #adotta1blogger su Facebook se vi va di venirci a trovare!

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