Ascoltare
musica attraverso le cuffie: una cosa che per me era eresia fino a pochi anni
fa, e che sotto alcuni aspetti ancora lo è. Uno dei piaceri degli sport di
fatica è per me quello di ascoltarsi, e ascoltare il silenzio della natura
(quando si fa sport in natura). Ma quando ci si trova in palestra, costretti
per la buona riuscita di una preparazione atletica, oppure quando allenarsi
pare molto difficile, in momenti in cui la stanchezza mentale sembra prendere
il sopravvento sulla stanchezza fisica, ecco che una buona musica ha un ottimo
effetto sulla prestazione. Doping psicologico? Forse, ma mentre a differenza
del doping chimico, che sposta i limiti fisici oltre i limiti naturali, questa
pratica della musica nelle orecchie non fa altro che aiutare la mente ad
avvicinarsi a quei limiti di resistenza psicologica che sono semplicemente
nascosti dentro la mente stessa.
Passiamo
quindi alla musica. Con cosa posso aprire questa serie di “recensioni”? Bè,
parto con un album che è stata una vera sorpresa per me quando ho provato ad
ascoltarlo durante un allenamento in palestra: parliamo di
"Lateralus", album del 2001 dei californiani Tool. Un mix perfetto di
energia e ipnosi, perfetti per aiutare il fattore mentale durante lo sforzo.
Decifrare
lo stile di questo fondamentale gruppo musicale è difficile. Ritmiche non
abituali, passaggi da atmosfere cupe e quasi sornione a deflagranti raptus
elettrici dal sapore metallaro, tutto rivoltato in un incedere progressive.
Dalla
partenza degli 8 minuti di "The grudge", è subito chiaro il motivo
della potenza di questa musica sulla testa dell'atletico ascoltare. Ritmo
martellante e sottofondi ipnotici, perfetta per entrare in una sorta di trance
prestazionale.
Qualche
minuto di calma apparente con "Eon Blue Apocalypse" e la prima parte
di "The patient" (che però rimane anche nel finale come in attesa di
un'esplosione che non avverrà del tutto), e il minuto di "Mantra", ed
ecco entrare nel cuore dell'album, dalle ritmiche ipnotiche e potenti di
"Schism", al nuovo passaggio tra calma ed energia di
"Parabol/Parabola", alla furia di "Ticks&Leeches" (con all'interno la classica calma apparente tooliana di metà canzone, prima dell'esplosione finale con la voce di Maynard James Keenan a inseguire la pazzesca batteria di Danny Carey), alla meravigliosa "Lateralus", una travolgente cavalcata di 9', quasi una preghiera tra rock e matematica (ma questo è un discorso che tralasciamo), per spingere il corpo in quel momento stanco dallo sforzo fisico ad una nuova e diversa percezione della fatica, sublimandola in un'alternativa dimensione dal gusto potente.
Cinque minuti di respiro, sempre dal sapore ipnotico, nella psichedelica e morbida "Disposition", che prepara il terreno al nuovo viaggio di 11' della fantastica "Reflection", con la chitarra di Adam Jones e il basso di Justin Chancellor a formare un altro incredibile tappeto ipnotico in cui perdersi e lasciarsi andare ("crofiggi l'ego", dice il testo, ed è quello a cui a volte viene spinto il corpo nel momento di massimo sforzo).
Cinque minuti di respiro, sempre dal sapore ipnotico, nella psichedelica e morbida "Disposition", che prepara il terreno al nuovo viaggio di 11' della fantastica "Reflection", con la chitarra di Adam Jones e il basso di Justin Chancellor a formare un altro incredibile tappeto ipnotico in cui perdersi e lasciarsi andare ("crofiggi l'ego", dice il testo, ed è quello a cui a volte viene spinto il corpo nel momento di massimo sforzo).
La
strumentale "Triad" continua nel potente incedere ritmico il discorso
presentato durante tutto l'album, prima di salutare l'ascoltatore con il
delirio tra parlato e suoni claustrofobici di "Faap de Oiad", dove la
fatica sin qui accumulata nei quasi 80' di ascolto (e sforzo, sempre che non si
siano usate solo poche canzoni e non l'album intero - ma il consiglio è di
approfittare dell'interezza dell'opera) terminano con probabili visioni
mistiche.
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