martedì 21 febbraio 2017

Mike Tyson, una vita in fumo

Diciamolo chiaramente: per stare su un quadrato a farsi massacrare di pugni da un essere umano di 100 chilogrammi bisogna essere estremamente coraggiosi o decisamente folli. 

Mike Tyson aveva coraggio misto alla follia, l’energia di una tigre e la voglia di lottare tipica di chi prova rabbia nei confronti di chiunque, in particolar modo della vita.
Titoli mondiali, arresti, molestie, guai con la giustizia. La vita del più eccitante pugile del dopo Ali non è stata semplice. Figlio della relazione extraconiugale di Lorna Smith e Jimmy Kirkpatrick, Mike è cresciuto in un ghetto, tra un bicchiere di birra e una rissa costante. Il male di vivere dentro, il dolore sulla faccia dopo ogni rientro a casa in piena notte. La storia di un ragazzo sbandato, destinato a chiudere nella solitudine del silenzio della propria anima, tra le urla di una vita troppo brutta.

Le premesse da emarginato diventano le cause del successo. La rabbia e gli occhi della tigre. Talento e potenza sul tetto del mondo.
Storie su Tyson ce ne sarebbero tante, ma soffermiamoci su di una in particolare. L’ultima occasione del ragazzo di Brooklyn di conquistare il titolo.

1999
Dopo l’ennesimo arresto e il ritiro della licenza, Tyson riprende a lottare con un nuovo manager. Basta Don King, basta luci della ribalta e basta guai. La voglia di rinascere dopo aver perso troppo tempo.
Non è necessaria una grande pubblicità a un catalizzatore di soldi come il Tyson di fine millennio, ma gli basta allacciare i guantoni per attirare sponsor e contratti televisivi. Mike rientra sul ring, vince, ma non convince. Gli avversari sono di basso profilo, durano poco, ma un match vero è un’altra cosa.

2002
L’anno dei Mondiali di calcio in Giappone e Corea doveva essere l’anno del riscatto per lui. La rincorsa al titolo lunga più di un decennio sembrava a un passo dalla sua conclusione. La federazione, a caccia di visibilità per uno sport che non viveva più i fasti del passato, fissò il match del millennio (o almeno così veniva venduto ai tifosi).
Lennox Lewis contro Mike Tyson, due leoni messi in gabbia a contendersi la preda dorata.
Inghilterra contro Stati Uniti, altezza contro potenza, costanza contro follia. La lunga attesa si conclude l’8 Giugno, con un ritardo di due mesi dovuto a una rissa durante la conferenza stampa che precedeva il match. Oro colato per la stampa. 

Tesi e concentrati, i due cominciano a colpirsi in maniera convinta. Lennox tiene a distanza il suo avversario con una semplicità disarmante, la forza di chi non è diventato campione del mondo per caso. Mike ci prova, cerca di inserirsi sotto la guardia del rivale, ma ogni volta che il suo pugno sembra sul punto di far male, Lewis lo allontana nuovamente con una combinazione di colpi. Un gancio, un montante e un diretto. Lennox Lewis gioca come se fosse un gatto e Tyson un topolino. Mike barcolla e non solo per i pugni. Sembra stanco e appesantito, come se improvvisamente su di lui si fosse abbattuto il tempo. Fino all’ottava ripresa.

Lewis lo provoca, lo tocca leggermente con il sinistro, ma non ci sono reazioni. Mike sembra in stato catatonico, i demoni in testa, la sconfitta a un passo. Nessuna epifania, nessuna fiaba. Tyson crolla sotto i colpi di Lewis, si accascia, ma l’ultimo barlume d’orgoglio lo spinge a rialzarsi, prima del gran finale. Lennox Lewis lo centra con un destro potente. Lo mette al tappeto. Mike non si alza. È finita.
La parabola di Iron Mike Tyson, da invincibile terminator a sparring partner, tra guai finanziari e tunnel infiniti.


‘Adesso non sono più in vetta della mia carriera, non guadagno neanche un decimo rispetto a prima, ho un cartone animato, spettacoli teatrali, non avrei mai potuto realizzare tutto questo quando combattevo. Non sarei mai andato d'accordo con il produttore, sarei stato arrogante. Invecchiando si impara l'umiltà. Si impara che se non si nasce umili è la vita che ti forza ad esserlo.’
Lezioni di vita mai imparate.



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