lunedì 19 dicembre 2016

Dialogo col campione: Oliviero Bosatelli

Oliviero Bosatelli è un runner specializzato nelle ultra distanze e negli ultra Trail.

Vincitore dell'edizione 2016 del Tor des Geants, Endurance Trail che si snoda per 330km in Valle D'Aosta. 







Negli ultimi mesi sei stato spesso sotto i riflettori mediatici. Se dovessi descrivere la persona che sta dietro all'atleta con tre aggettivi, quali sceglieresti?

Io mi sento ancora la persona che c'era il giorno prima di diventare protagonista a livello mediatico. Per me non è cambiato nulla, ma preferisco lasciare giudicare gli altri.

E se dovessi scegliere 3 aggettivi?

Dicono che sono: disponibile, umile e simpatico.

Credi di essere disponibile, umile e simpatico anche in corsa?

Penso proprio di si, perchè, in fondo, il mio il carattere è così. Di base sono così.

Cosa significa essere un atleta umile?

E' un atleta che non si esalta e che non esalta le proprie capacità facendole così pesare sugli altri. Chiaramente quando c'è la gara si gareggia, però quando si vive la vita quotidiana si rimane una persona normale.

Ho avuto modo di constatare che l'umiltà è una dote diffusa e ricercata tra chi si rivolge alla corsa in montagna o alle ultra-distanze. Anche secondo te è una caratteristica apprezzata?

E' vero. Molte persone sono umili. Io credo l'umiltà faccia parte di questa tipologia di sport.
Non credo che queste discipline sportive creino il carattere, rendendo umili. Penso, però, che se sei umile sei attirato da queste discipline e in parte ne sei anche avvantaggiato.

Hai chiuso il Tor in 75,10 ore. Se dovessi suddividere il tempo trascorso in percentuali relative alle 4 principali emozioni provate in corsa (gioia, rabbia, tristezza, paura), quali potrebbero essere?

Non ho mai provato ne rabbia, ne tristezza. La paura mi ha accompagnato per 5 ore, nel periodo in cui sono stato stato avvisato di come Perez che avesse riguadagnato. La gioia, seppure relativa è stata con me per 70 ore, e per 10 minuti è stata assoluta.
Nella fase iniziale sei fresco, tieni il tuo passo, sai chi hai davanti e chi hai dietro. Da quando sono passato al comando, non ho mai guardato più di tanto indietro e ho tenuto il mio passo. Non ci sono state rabbia e tristezza. Non avevo motivo per arrabbiarmi o per rattristarmi.
Essendo sempre stato davanti, ho potuto provare molta gioia. La gente ti aspetta ai rifugi, fai le foto, hai la possibilità di trascorrere momenti piacevoli e di vivere belle emozioni. Anche se non fossi arrivato al traguardo, stavo vivendo dei bei momenti.
Gli ultimi 10 minuti la gioia è stata decisamente più forte. Dal momento in cui ho imboccato l'asfalto per arrivare nel centro di Courmayeur, acquisendo la consapevolezza di aver vinto, la gioa è diventata assoluta e questa sensazione mi ha accompagnato anche dopo il traguardo. Sai, finchè non arrivi sotto il traguardo non puoi mai sapere di aver vinto.
La paura l'ho invece provata, come ti dicevo, quando mi hanno avviato che Perez aveva recuperato qualche minuto. Non so se sia stata proprio paura, forse è stata più ansia.

Prima mi dicevi che finchè non passi sotto il traguardo non hai vinto. Quando ti sei reso conto che stavi portando a casa il Tor? Sotto il traguardo o prima?

Inizi a realizzarlo prima, inizi anche a pensare a cosa dire al traguardo. Immagini chi ti accoglierà al traguardo, immagini le persone che ci saranno. Inizi a pensare a come sarà la tua vittoria.
Bisogna però mettere in conto che la sicurezza la puoi avere solo al traguardo. L'imprevisto è sempre dietro l'angolo. E' un'incognita, e può sempre capitare.

Oggi hai 47 anni. Credi la maturità sia una risorsa nelle ultra-distanze? La trovi più o meno importante rispetto al “motore”?

Prima degli ultimi 2 anni non avevo maturato molta esperienza sulle lunghe distanze. Non so quindi dire se da giovane non avrei saputo gestire l'aspetto mentale connesso alle lunghe distanze o se l'avrei gestito in maniera diversa rispetto ai miei attuali 47 anni.
Dicono che chi ha qualche anno in più ha un passo più conservativo, è più cauto, più cosciente, mentre il giovane è più impulsivo, ha voglia di arrivare al traguardo e magari salta.
Per quanto mi riguarda, io uso molto la forza fisica, ma cerco sempre di abbinare la strategia e l'aspetto mentale. Io prendo ogni gara con il mio ritmo. Non sono mai arrivato distrutto all'arrivo, anche se in futuro potrebbe succedere.
Fino a questo punto mi è andata bene, ma anche se non dovessi arrivare primo non sarebbe un problema.

Quindi non arrivi mai distrutto al traguardo?

Si, se non consideriamo le corse di inizio anno. Durante l'inverno mi fermo per molto tempo. Ho altre cose a cui dedicare attenzione, la voglia un po' mi passa e quando a inizio stagione faccio una 40 km, non avendo allenamenti sui lunghi, mi vengono i crampi.
Alle Orobie e al Tor non ero distrutto al traguardo e credo avessi ancora delle energie. Diciamo che riesco a gestire le energie e avere sempre un po' di riserva.

Mi pare di capire che in corsa hai sempre un po' di gioco. Ti capita mai di dover gestire delle crisi sulle lunghe distanze?

Ripeto, al Tor sono stato benissimo. Non ho mai avuto crisi o dolori. Alle Orobie probabilmente avevo sbagliato i sali e sono andato un po' in crisi alimentare. Non riuscivo più a mangiare e bere nulla.
Se bevevo qualcosa che non fosse acqua mi veniva il vomito. Probabilmente un mio errore che mi ha portato a giocare male la gara, anche se sono arrivato bene. Mi sono però gestito e non ho vomitato, come a molti accade.

Un parere diffuso tra gli atleti di ultra distanze che ho intervistato riguarda l'importanza della gestione della crisi. Ascoltandoti mi sembra invece più importante saper scegliere un ritmo a portata delle proprie possibilità. Cosa ne pensi?

Sono d'accordo. Come ti ho detto non ho mai intaccato il mio organismo al punto da andare in crisi. Fino ad ora, mantenendo la mia andatura e la mia alimentazione sono riuscito sempre ad andare abbastanza bene.
Se mi arrivasse una crisi forse non saprei nemmeno come fare, dato che non mi è mai capitato di dover star fermo un quarto d'ora o mezz'ora prima di ripartire.

Tante persone guardano alle ultra-distanze con curiosità, ammirazione, ma considerandole un mondo “fuori dal comune”. Nella tua esperienza cosa cambia al progressivo crescere delle distanze?

Seppure mi sia fermato qualche anno, ho sempre corso. Prima praticavo corsa in montagna, qualche maratona, ma sfidare me stesso per vedere fino a che punto il mio organismo era in grado di arrivare è stata una nuova avventura.
Il mio obiettivo non era arrivare primo. La sfida era terminare una data gara e completare una determinata distanza. L'essere abbastanza forte l'ho scoperto solo in un secondo momento.
Credo che quello che cambia, con l'aumentare delle distanze, consista innanzitutto nella tipologia di sfida che noi proponiamo al nostro organismo. C'è poi un fattore mentale. La volontà è una discriminante importante. Non è patrimonio di tutti, ma solo di alcuni. Se preferisci fare allenamenti di 1 ora è meglio indirizzarsi su gare più corte. Se hai caparbietà, resistenza e testardaggine, forse diventa più semplice essere disponibili a fare allenamenti di 6/7 ore.

Mi hai raccontato di aver iniziato a praticare lunghe distanze per una sfida con te stesso...

Quando si sono inventati le Orobie Ultra Trail sui nostri sentieri, ho pensato fosse una bella occasione poter partecipare ad una gara così lunga su sentieri che conosco. Mi sono detto: “lancio una sfida a me stesso e vedo se riesco a terminarla”. La prima volta che l'ho corsa, ho poi scoperto che oltre a finirla quasi riuscivo a vincerla.

Come ultima domanda vorrei domandarti quando è stata la prima volta dove, in tutta la tua vita, fin da quando eri un bambino, ti sei accorto di essere particolarmente resistente?

Uno degli sport che ho praticato da piccolo è stato il calcio. Quando, nei pulcini, facevamo la corsa intorno al campo, i miei compagni mi dicevano di stare in fondo al gruppo altrimenti facevo alzare l'andatura e li facevo scoppiare. Sai sono frasi a cui non dai peso, però già in quel momento vedevo come avevo più resistenza di tutti i miei compagni di squadra.

I pulcini hanno 6/7 anni?

Si, 6-8 anni.

Quindi eri il ragazzino che correva più di tutti?

Si, io andavo avanti e indietro sul campo. Mi trovavi sia in attacco che in difesa e non mi pesava.

In che ruolo giocavi?

Facevo il difensore, ma non ero molto bravo. Non avendo problemi di fiato, andavo su e giù e alla fine facevo sia il difensore, il centrocampista, che l'attaccante.

C'è una domanda che non ti ho fatto a cui vorresti rispondere? Qualcosa che vorresti dire e di cui non hai ancora parlato?

Molti vedono l'ultratrail come uno sforzo esagerato che va contro il nostro fisico, ma se una persona sceglie questo sport è perchè trova gratificazioni mentali e soddisfazioni che vanno oltre allo sforzo fisico che si compie.
Da parte mia penso che se uno vuole provare questa esperienza è giusto che la faccia, anche se il giorno dopo è distrutto. A volte bisogna saper ascoltare la propria mente, anche a discapito dei possibili problemi fisici. Per stare bene credo sia importante saper accontentare la mente.

Quali sono i benefici che ti porta l'ultratrail?

Ti permette di scaricare la tensione, vai in posti mai visitati in precedenza, stai in mezzo alla natura e in mezzo alle montagne, conosci altre persone ed esperienze diverse dalla tua. Scopri un nuovo mondo.

Io ad aggi non dovrei correre perchè ho il legamento laterale del ginocchio che mi fa male, ho la schiena malconcia, ma a livello mentale e psicologico mi trovo meglio così e vado allora avanti così.  

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