lunedì 19 settembre 2016

Dialogo col campione - Mauro Gianetti

Tra le tue vittorie più importanti sono senza dubbio una Amstel Gold Race e una Liegi Baston Liegi. Essere un corridore predisposto per corse di un giorno implica riuscire ad essere pronto proprio per quell'appuntamento. Credi ci siano degli aspetti caratteriali che contraddistinguono un corridore per le classiche?

Credo che il merito sia legato soprattutto all'aspetto fisico. Tu in un giorno riesci a dare molto di più, ma se dovessi ripetere il medesimo sforzo su più giorni, il corpo non saprebbe recuperare. Chiaramente poi c'è anche la parte mentale. Dopo esserti preparato per mesi, per giocarti tutto in poche ore, il corridore da corse di un giorno riesce a stare spesso fuori soglia, più di quanto facciano altri corridori.
L'aspetto mentale rientra nella capacità di giocarti tutto in quelle due/tre corse, dopo esserti preparato per tutto l'inverno. Per me queste corse erano la Amstel, la Freccia e la Liegi, che cadevano tutte in una settimana. Lo stress connesso all'avvicinamento di queste corse, in cui ti giochi tutto, va gestito e bisogna saper imparare a gestirlo.

Eri solito sentire lo stress pre-gara in modo particolare o vivevi tranquillamente l'avvicinarsi di una manifestazione?

La tranquillità in questi casi è un concetto molto relativo. Quando ti poni un obiettivo, tu stesso ti carichi di ambizioni. Maturi un senso del dovere nei confronti di chi ti stipendia, ma soprattutto nei tuoi confronti.
Nel percorso di avvicinamento ad un obiettivo fai molti sforzi e rendi la tua vita più rigorosa. Questo vale per l'allenamento, lo streaching, l'alimentazione e nei massaggi. La tua vita per 24 ore al giorno ruota esclusivamente intorno al riuscire ad essere performante. Nasce una sorta di senso del dovere, un devo “devo vincere”, che diventa quasi un'imposizione.
Per evitare questi rischi, ho sempre cercato di mantenere un approccio mentale differente. Guardavo la gara come un'opportunità. Pensavo a me stesso come una persona fortunata, che aveva la possibilità di lottare per vincere e per questo motivo volevo allenarmi bene. L'andare a letto presto, il curare l'alimentazione, non erano un obbligo, ma un'opportunità, per riuscire a concretizzare il mio obiettivo. Questa forma mentale mi aiutava a vivere l'avvicinamento alle gare con meno stress, emozioni positive e ambizioni sane.
Pensa ad esempio ai campionati del mondo di Lugano. Correvo in casa, tutte le persone che incontravo per strada, nei giorni precedenti all'avvenimento, mi chiedevano la vittoria o la grande prestazione. In questo frangente ho capito quanto sia importante prendere le aspettative, di chi ti sta attorno, come motivazioni, non come un obbligo nei loro confronti.
Motivazione a dare il massimo. E' la motivazione a dare il massimo che ti permette al termine di una gara a ripercorre mentalmente il percorso di avvicinamento, dicendo a te stesso che hai fatto il possibile, accettando così che qualcuno possa essere stato più forte di te. Se sai di avere fatto il massimo, in gara e nel percorso di avvicinamento, puoi arrivare primo, secondo o decimo e lo accetti.
In questi frangenti impari molto su te stesso. Comprendi a pieno l'approccio mentale necessario per affrontare questi eventi. Negli anni ho imparato quali erano, per me, i percorsi migliori per la gestione delle emozioni e dello stress dell'avvicinamento.

Mi parlavi del mondiale del '96 di Lugano. Quel secondo posto è stato per te una vittoria o una sconfitta?

E' stato esattamente il secondo posto. Io so di avere messo tutto me stesso in gara e nei mesi precedenti alla gara. Non potevo uscire di casa senza sentirmi dire “mi raccomando vinci!”, “mi raccomando facci fare bella figura!”, “siamo tutti per te!”. La pressione che ho dovuto sopportare è stata notevole.
Alla fine della gara ero secondo, ne più, ne meno. Io avevo fatto il massimo. Quel giorno, su quel percorso e per come è andata la gara, qualcuno è stato più forte di me. Sia io, che il pubblico, sappiamo che quel giorno più di così non potevo fare.
Gestire le aspettative del pubblico, 150 km di fuga e tirare più degli altri, prendere in mano la situazione e vedere il campionato del mondo a pochi metri da te chiaramente possono far nascere dei rimpianti. Ma questi sono anche abbastanza facili da digerire, perchè quel giorno qualcuno era più forte di me. Non è stata una sconfitta e non è stata una vittoria. L'essere vice-campione del mondo mi stava bene, perchè avevo dato il massimo.

Dopo essere stato uno sportivo sei stato direttore sportivo e imprenditore. Gli anni da ciclista ti hanno aiutato negli anni successivi?

Sicuramente! Le prime lezioni di vita, da cui ho imparato molto, sono iniziate quando avevo 12 anni e quando ho iniziato a correre, quasi per caso.
Sono nato in un paesino disperso sulle montagne e il mio approccio con il mondo dell'asilo e della scuola è stato molto traumatico. Il dover andare a scuola i primi anni, per me era una sorta di sofferenza. Avevo grandi dubbi verso me stesso e verso il mondo. Nel quotidiano e con gli altri mi sentivo male, facendo parecchia fatica per riuscire in qualcosa. Mi domandavo cosa potesse essere il mondo se io facevo già così tanta fatica nel mio piccolo paese. Il futuro mi spaventava.
Poi un giorno l'autista del pullman, che ci portava alle scuole medie, mi chiese se volevo fare un giro in bici con lui. Lo battei su una salita e lui andò da mio padre, dicendogli di prendere la sua bici e di farmi correre, perchè avevo talento. In quel momento compresi che il mondo non era formato solo i miei 15 compagni di scuola. Compresi che il mondo non si confinava all'aula scolastica e che che forse c'era spazio anche per me.
Quel momento cambiò radicalmente la mia vita, perchè per la prima volta iniziavo a ricevere dei complimenti. Finalmente stavo facendo qualcosa che andava bene, che piaceva agli altri e che a me piaceva moltissimo! Mi piaceva al di la dei risultati, perchè io in bici mi sentivo bene.
Compresi che con ambizione, voglia, desiderio e mettendoci l'impegno, anche io potevo riuscire. Compresi che questo approccio valeva in ogni ambito della mia vita. Valeva per la bici, ma era così anche a scuola. Il mio approccio alla vita da quel momento cambiò del tutto. Avevo un nuovo approccio in bici, ma avevo anche un nuovo approccio a scuola e nel mondo extra-sportivo.
La lezione che derivai da quel momento fu notevole. Iniziai a imparare da tutto quello che accedeva, dalle cose belle e dalle cose brutte. Imparai a non montarmi la testa, comprendendo che tutto va e viene.

Il ciclismo ho avuto un ruolo notevole nella formazione del tuo carattere...

Quando sei bambino, il mondo è talmente grande da farti un po' di paura. Inoltre, quando in un paesino, ti senti l'ultimo della classe, la tua percezione del mondo diventa ancora più complessa e complicata.
Credo sia molto importante che i genitori diano spazio ai propri figli in una disciplina sportiva, musicale o in un qualsiasi ambito in cui provano interesse e in cui dimostrano un minimo di talento. Se stimoli i tuoi figli in questi ambiti, permetti loro di accrescere la loro autostima, allentando il senso del dovere di seguire un via predeterminata.
Oltre all'importante ruolo dei genitori, anche gli allenatori e i maestri, è fondamentale siano persone in gamba, capaci e rispettose. Allenatori e maestri è importante siano in grado di motivare qualsiasi ragazzo, anche chi può avere qualche difficoltà in una data disciplina. Nessuno deve sentirsi obbligato a diventare un campione di tennis, calcio o di qualsiasi disciplina. Un ragazzo deve sentirsi in diritto di praticare una disciplina, con dei compagni con cui si diverte.
Lo sport può giocare un ruolo importante, ma è necessario che siano presenti persone capaci di gestire le emozioni che questi ragazzi sperimentano. Frustrare un ragazzo perchè non riesce bene in una data disciplina sportiva sicuramente non lo aiuta a crescere. Ad un ragazzo vanno date delle indicazioni per migliorare, stimolandolo e rassicurandolo sul fatto che ce la può fare. E' la società stessa che deve lavorare, non per creare dei campioni sportivi, ma persone che hanno una buona fiducia in se stessi, che pensano di potercela fare, affrontando la vita quotidiana con impegno e con passione.

Ripensando alla tua vita, fino dagli anni della tua infanzia. Credi ci sia una frase detta da una persona per te importante (genitore, parente, allenatore) che ti ha caratterizzato come atleta?

Di frasi ce ne sono state molte, ma credo che anche il semplice atteggiamento delle persone che mi sono state vicino sia stato fondamentale. I sorrisi, la gioia sincera delle persone care, hanno giocato un ruolo per me importante.
Chiaramente quando Ettore Fora, l'autista con cui ho iniziato a pedalare, è andato da mio padre a dargli la sua bici, dicendogli di farmi correre, perchè avevo un talento, mi sono trovato disorientato. Poi, quando, dopo tre giorni mi trovai a correre, arrivando quinto al traguardo, nonostante fossi il più piccolo, scoprii una cosa bellissima: qualcuno credeva in me. Gli amici, gli allenatori, credevano in me.
Penso di essere stato molto fortunato, perchè intorno a me ho trovato persone molto intelligenti, sin dall'inizio della mia carriera. Gli allenatori sono stati per me dei padri. Non padri severi, ma genitori che mi comunicavano il desiderio di vedermi crescere e che mi trasmettevano la passione.
Sono stato fortunato. Da subito ho trovato persone che amavano il ciclismo, che mi stimolavano e che mi trasmettevano la passione nel fare bene le cose che facevo. Persone che mi hanno insegnato ad avere dei sogni, facendomi capire che non ci deve essere paura nel sognare in grande. Non ci deve essere paura nel sognare di diventare campione del mondo quando hai 12 anni, perchè sognare è una cosa piacevole.
Quando Ettore Fora mi ha chiesto di fare una gara con lui in salita la mia vita è cambiata. Io con la Graziella di mia mamma e lui con la Master, ma l'ho battuto. Da quel momento poi ci sono state frasi e soprattutto atteggiamenti positivi, che hanno sostenuto questo cambiamento.

Ripartire dopo una brutta caduta. La paura ti ha mai influenzato in corsa e cosa si pensa nelle fasi più concitate e pericolose di una tappa?

In gara la concentrazione è sempre massima, perchè sei consapevole di essere su una bici senza essere molto riparato. A quei tempi io ero uno degli unici corridori a portare sempre il casco, nonostante non fosse obbligatorio, perchè indossavo soltanto dei pantaloncini e una maglietta. Non è che non pensi mentre sei in bici, ma in certi frangenti devi stare con gli altri e lasciare andare l'adrenalina.
Quando sono caduto non mi sono accorto di una fessura nella strada e fui vittima di una caduta molto brutale. Credo che anche da quell'incidente scoprii di avere forze e capacità che non immaginavo di possedere. Secondo i medici ero fortunato ad essere sopravvissuto e che la mia carriera doveva terminare in quel momento.
La mia reazione però fu decisa, perchè ero leader di coppa del mondo, era giugno e volevo vincere il mondiale che si sarebbe tenuto ad ottobre. Non volevo piangermi addosso e mi fissai subito un obiettivo. Non volevo vivere con una scusa. Volevo provare a tornare me stesso immediatamente. Al mondiale arrivai quarto, ma dopo una gara notevole e con una forza mentale altrettanto notevole.

Mi hai parlato più volte di forza mentale, quali sono le caratteristiche di un atleta forte di testa?

Innanzitutto un atleta deve sapere che esiste una forza mentale e che non contano solo le gambe. Sapere che hai delle emozioni, hai una famiglia, hai degli allenatori, degli sponsor e che devi imparare a gestire anche questi aspetti non è sempre immediato ed evidente.
Un atleta può essere vincente, perchè è talmente forte fisicamente da non avere bisogno anche la forza mentale. In un caso come questo il corridore è quasi arrogante, perchè è completamente sicuro dei propri mezzi. Può però capitare che un corridore vinca, perchè ha una buona tempra mentale.
Un corridore come me, con un carattere mite, che ha iniziato la propria carriera ciclistica con delle insicurezze, aveva bisogno di rendersi conto dell'esistenza dell'aspetto mentale nello sport e che questo era altrettanto importante dell'aspetto fisico. Dovevo allenare entrambi gli aspetti, visualizzando quanto stavo facendo. Pensavo che stavo percorrendo una salita forte, perchè domenica avrei affrontato una salita simile. Questo mi permetteva di arrivare pronto al momento saliente.
Credo che un atleta, quando gareggia a livello internazionale, abbia bisogno di lavorare anche su questi aspetti. Spesso vediamo molti ragazzi talentuosi, che praticano diverse discipline sportive, perdesi. Questo accade nonostante questi ragazzi abbiano già firmato contratti importanti.
I soldi, a differenza di quanto molti pensano, non creano difficoltà agli atleti, perchè li portano a spendere quanto più possibile. I soldi creano difficoltà agli atleti, perchè sono un peso non indifferente da sopportare. Quando un atleta firma un contratto importante, inizia a pensare di essere obbligato a ottenere prestazioni eccellenti, perdendo il piacere nel fare ciò che fa. Spesso i soldi più che uno stimolo diventano un freno, un impedimento. Non è per tutti così, ma per alcuni i soldi mettono sul tavolo il dovere imperativo di fare qualcosa, finendo per agire da freno.

Quello che mi colpisce ascoltandoti è che la tua vita sportiva corre e si sviluppa parallela alla tua vita personale....

Spesso capita che poniamo alcuni sportivi talmente in alto, al punto che loro si dimenticano che la vita è una. In alcuni momenti sei uno sportivo, in altri non lo sei. In ogni caso rimani sempre te stesso. Non siamo fatti da due personalità differenti.

I problemi nascono quando lasciamo che questi due aspetti umani si dividano. In questo caso, quando l'atleta smette di essere sportivo, si ritrova a vivere una realtà dimenticata per anni. Il trauma subito nel tornare nella vita quotidiana è difficile da superare o addirittura insormontabile. 

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